Cosa significa esattamente Body Shaming?
Il termine Body Shaming è nato nel web ed è uno dei tanti nuovi inglesismi davanti a cui si è arresa anche la Crusca. La difficoltà principale sta nella corretta traduzione di questo termine in italiano, possibile solo servendosi di lunghe perifrasi; è per questo che, a piccole dosi, è entrato lentamente a far parte del nostro modo di esprimere questo fenomeno.
Letteralmente il termine Body Shaming deriva dal verbo to shame, identico a shame ‘vergogna’, per cui il sostantivo che significa ‘vergogna’ rappresenta anche il verbo (to shame) che significa ‘generare vergogna’, quindi ‘far vergognare’, ‘umiliare’.
La traduzione italiana ”svergognare qualcuno” non sarebbe corretta in quanto non è uno ”smascheramento” pubblico per cui sentirsi a disagio ma un meccanismo per cui la persona che si vergogna finisca per sentirsi così non perché abbia fatto qualcosa di sbagliato, ma semplicemente perché è stata esposta a una critica condivisa in pubblico. È appunto il caso del body shaming sul web, dove l’oggetto della critica può essere una corporatura che non rientra nei canoni di bellezza, un tatuaggio o in generale una caratteristica fisica che non giustifica di per sé la vergogna, ma può condurvi per il modo, la circostanza o la ripetizione di più persone che condividono la critica.
Se in italiano dovremmo usare una formula del tipo ”far vergognare una persona del suo corpo o riguardo al suo corpo”, l’inglese ( che a differenza dell’italiano ha spesso il dono della sintesi) giustappone due parole creando un breve composto: Body Shaming.
Chi è vittima di Body Shaming viene colpito perché considerato non aderente ai canoni estetici e/o culturali in cui la vittima vive, come alcune assurde superstizioni o pregiudizi derivanti da antiche credenze: non ha importanza che sia effettivamente anormale o dannoso per la salute, né che la vittima in questione abbia la possibilità di modificarlo. Così la vittima viene colpevolizzata e indotta alla vergogna.
Body Shaming: tutti per uno un per…ah, no.
Molti diranno: dove sta la novità? Il giudizio sull’aspetto esteriore dell’altro, più o meno spietato, è sempre esistito. Esprimere giudizi sugli altri è il primo modo per autodefinirsi ed è insito in tutti noi. Giudicando la vita, le azioni e l’aspetto esteriore degli altri non facciamo altro che affermare il nostro modo di essere, definendo implicitamente tutto ciò che non corrisponde all’idea che abbiamo di noi stessi. Un atteggiamento spietato, cinico e ipercritico nasconde insicurezza e frustrazione; sminuire e denigrare gli altri ci fa sentire migliori. Il web e i social, in quanto nati per creare interazioni, sono il luogo ideale per muoversi sotto anonimato e dar sfogo alla propria voce. Alcuni considerano gli atteggiamenti degli haters come ”il prezzo da pagare” per l’esposizione mediatica a cui ci si sottopone pubblicando le proprie immagini.
Da Rihanna a Demmy Lovato, da Lady Gaga a Selena Gomez: se queste celebrità hanno sentito il peso delle critiche quando godono già di successo, denaro e fama, possiamo solo immaginare quale impatto possano avere su soggetti insicuri e che ricercano l’approvazione sui social come gli adolescenti.
Ed è così che oggi tutti cavalcano l’onda del Body Shaming; abbiamo visto il successo di magazine iper femministi come Freeda raggiungere il successo inneggiando al diritto di non essere giudicate se non ci depiliamo, se mettiamo gli shorts mostrando la cellulite e non vergognandosi di un seno troppo piccolo.
Vediamo camminare alle sfilate dei mostri sacri della moda e sui giornali che hanno fatto la storia del fashion le modelle Curvy, perché ci piace pensare che anche il grasso può essere bello. Vediamo additate serie televisive, pubblicità e giornali di beauty e moda accusate di Body Shaming o Fat Shaming. C’è chi ironicamente denuncia l’uso di Photoshop modificano in modo esasperato le loro foto, come recentemente hanno fatto Alessia Marcuzzi e Elisabetta Canalis. Anche chi ha costruito un’intera carriera con i social e il giudizio della community ha fatto sentire la sua voce: per citare una connazionale ( ma potremmo parlare di moltissime altre star internazionali che hanno fatto lo stesso) #BodyShamingIsForLoser è l’hastag di Chiara Ferragni, stufa di essere perennemente giudicata e sbeffeggiata per il suo aspetto e supportato anche dalla la sorella Valentina, sempre sotto attacco per le sue curve.
Un enorme grido alla ”diversità” come ”altra bellezza” che si alza dal web, dalle sfilate, dalle copertine, dalle star. Ma da chi stiamo prendendo le distanze? Da quale diversità? Come rischiare di non cadere in contraddizione?
Dolcemente complicate: ecco perché parlare di body shaming è complicato
Parlare di Body Shaming è complicato perché ad esserne colpite sono principalmente le donne e sì, le donne sono così: dolcemente complicate. Cerchiamo su Google ”vestito adatto a chi ha il seno abbondante” ma guai a sentirci dire on line ( e offline) che non è il caso di mettere un vestito molto scollato con una quinta coppa C perché fa risvegliare in noi la femminista del ’69 che bruciava i reggiseni in piazza.
Le nostre beniamine influencer sprecano fiumi di giga per dire alla pubblico che tutte le donne sono belle come sono, naturali, convivendo con i propri difetti e poi ci mostrano la loro vita fatta di appuntamenti dall’estetista, trattamenti estetici, palestre e fotografie dove appaiono sempre perfette.
Personaggi come la bellissima Anne Hathaway e molte altre star neo-mamme si sono sentite di dover giustificare i loro chili di troppo con lunghi sproloqui sulla difficoltà a rimettersi in forma dopo il parto, cospargendosi il capo di cenere davanti alle accuse dei loro fan e cercando l’approvazione della comunità.
Le donne sono, spesso, contraddittorie: ammiriamo ma proviamo stizza di fronte alle star che mostrano fieramente e spudoratamente i loro rotolini perché la loro ciccia e le loro smagliature sono comunque nobilitate dalla celebrità, e metterle in mostra è una provocazione mascherata dalla volontà di gridare ai fan “sono come voi”: ma tutto ciò non ha niente a che vedere con la nostra ciccia anonima e solamente ”sbagliata”. Il nostro like mentre corriamo in palestra vale la vana speranza che la perfezione veramente non esista (ed è proprio così, come gli unicorni).
Essere “al meglio” non è più un piacere, ma quasi un obbligo sociale ed è per questo che il nostro corpo ci fa stare bene e ci fa stare male. Il nostro aspetto ci definisce, ci racconta e ritaglia il nostro spazio nella società ed è per questo che il nostro modo di apparire non è mai solo affar nostro. Non è solo il nostro involucro ma è anche il luogo su cui si decidono tante cose, subendone le conseguenze quando lo diamo in pasto ai social. Lo stesso corpo che sbandieriamo nei cortei per rivendicare diritti che dovrebbero essere scontati.
Il Body Shaming è un tema delicato e siamo arrivati a dirlo: è complicato perché è solo la punta dell’iceberg della nostra società, spesso assurda, contraddittoria e famelica.
Ma non è tutto da buttare: parlarne, senza giri di parole, è forse il primo passo per ridurre il Body Shaming a body scemo. Un neologismo che non ha nulla di nuovo nel suo perché: inutile, fastidioso e umiliante proprio quanto quell’odioso rotolino che non se ne va e con cui abbiamo imparato a convivere.
Senza giri di parole: qual è il tuo primo passo?