Betty Love: il punto interrogativo è d’obbligo

Betty Love (2000) di Neil LaBute.
Un’opera distribuita in Italia con notevole ritardo.
Un’opera difficilmente catalogabile: oscilla tra la fiaba e il thriller, la commedia e il noir, il melodramma e il film denuncia, l‘umorismo e l‘impegno.


Premiato al Noir Festival di Courmayer, vincitore a Cannes per la migliore sceneggiatura, il film ha avuto ottime recensioni negli USA e in Europa: gli aggettivi elogiativi si sono sprecati (brillante crudele sorridente irresistibile divertente graffiante commovente intrigante ironico).

Eppure si ha l’impressione di un tentativo malriuscito di imitare l’umorismo surreale e metaforico di Fargo, con l’aggravante di essere anche molto lento, senza ritmo, con situazione incongrue e altamente improbabili. Una black comedy complessivamente noiosa e a volte irritante (la cosa migliore risulta alla fine… la locandina).

Oscillante tra la commedia sorridente e “la denuncia dei rapporti umani basati sulla prevaricazione e la crudeltà” (‘Repubblica’, 25 Novembre 2001), tra il ritratto di un personaggio molto simile alla Dorothy del Mago di Oz e l’analisi del potere falsamente consolatorio della televisione, non ché “metafora di ogni dipendenza e di ogni fuga dalla realtà” (‘Il Messaggero’, 26 Novembre 2001), Betty Love è diretto da Neil LaBute,  per la prima volta alla regia di un’opera non tratta da un suo soggetto e da una sua sceneggiatura).
Molti i riferimenti culturali (Fellini, Coen, Tarantino…) ma non bastano per rendere un lavoro coinvolgente ed interessante.

Dopo Bridget Jones, abbiamo la conferma che Renée Zellweger possiede un grande talento drammatico ma non comico:  esagera puntando tutto su smorfie e mossettine, ripetitive e fastidiose (e qui non è aiutata da un pessimo doppiaggio): la Zellweger, in una pallida imitazione di Doris Day, ha conquistato con questo film il Golden Globe, preferita –inspiegabilmente– alla Juliette Binoche di Chocolat e alla Brenda Blethyn de L’Erba di Grace… Misteri delle giurie…).
Bravo, come sempre, Morgan Freeman ma i suoi duetti col “figlio” (Chris Rock) sono insopportabili. Perfetto nel suo ruolo di “uomo dei sogni” Greg Kinnear.

redazione