Alternanza scuola-lavoro: flop o esempio di successo?

Sono passati ormai tre anni dall’approvazione della legge 107/2015, conosciuta col nome di “buona scuola”, che – fra le altre – ha introdotto la novità dell’alternanza scuola-lavoro per oltre un milione di ragazzi nello scorso anno. In breve, è previsto nel secondo biennio e nell’ultimo anno della scuola secondaria di secondo grado un percorso obbligatorio di inserimento degli studenti nel mondo del lavoro. Le ore complessive variano da istituto ad istituto, dalle 200 ore complessive previste per gli studenti dei licei alle 400 ore per quelli degli istituti tecnici e professionali. E sta per terminare il secondo anno scolastico in cui questo progetto interessa gli studenti italiani.

Nel primo anno di sperimentazione, una delle sfide più grandi che si è presentata alla scuola è stata quella di trovare le aziende disposte ad accogliere oltre 650 mila studenti in tutta Italia. In un Paese che pare soffrire di un problema strutturale per quanto riguarda la disoccupazione, in particolare quella giovanile, il progetto dell’alternanza scuola-lavoro rischiava di risolversi davvero in un totale fallimento. Eppure l’implementazione del progetto dell’alternanza scuola-lavoro è andata avanti. Si può parlare quindi di successo, o alla fine si tratta comunque di un fallimento?

I pareri sono discordanti, di conseguenza l’analisi andrebbe fatta caso per caso. Tuttavia, si possono rilevare aspetti sia positivi sia negativi validi per tutti i casi. Una delle principali osservazioni fatte in merito è che l’alternanza scuola-lavoro ricorda un po’ i tirocini non retribuiti che andavano di moda qualche tempo fa. Della serie: vieni a lavorare per noi, farai più dei tuoi colleghi, non ti formiamo perché la formazione costa – quindi devi già possedere requisiti che altrove (leggasi: “Paesi civili”) ti permetterebbero di richiedere uno stipendio più che dignitoso – però ti ripaghiamo con qualcosa che nessun altro può darti: la visibilità. Con questo progetto è un po’ la stessa cosa: gli studenti sono costretti a partecipare al progetto, pertanto non possono pretendere molto. O mangi la minestra o ti butti dalla finestra.

Sì, perché se non si presenta alla fine del triennio la relazione con la valutazione finale del progetto di alternanza scuola-lavoro, ne risente la relazione di presentazione dello studente agli esami di maturità. Ne deriva che alcune aziende hanno approfittato dell’opportunità di avere a disposizione manodopera giovane, senza alcun costo, da impiegare magari al posto di dipendenti licenziati o andati in pensione. Secondo le denunce del sindacato degli studenti, infatti, in molte aziende mancano tutor aziendali (che secondo la legge 107 sono obbligatori) e progetti seri di attuazione dell’alternanza scuola-lavoro.

Molti ragazzi si sono trovati a svolgere mansioni che di formativo ed educativo non hanno un bel niente, come lavare i piatti o fare volantinaggio. Qualcuno è stato messo a svolgere mansioni per cui non aveva nessuna competenza ed addirittura ci sono stati casi di infortuni. Alcune aziende hanno addirittura cominciato a proporre ore di alternanza scuola-lavoro a pagamento (ovviamente a carico degli studenti e delle loro famiglie).

Ma non mancano anche testimonianze di esperienze positive di tale progetto. Alcuni studenti hanno avuto la possibilità di entrare in contatto con realtà stimolanti ed aziende specializzate, in conformità anche al loro percorso di studi. Sono state attivate convenzioni con musei, fondazioni ed associazioni culturali, aziende che si sono davvero impegnate nel lasciare qualcosa di concreto ai ragazzi. Alcuni studenti sono addirittura riusciti a creare una startup.

In conclusione, insomma, l’alternanza scuola-lavoro deve essere ripensata e riprogrammata seriamente, per evitare di tradursi in un totale fallimento. Fino ad ora sono venute alla luce grandi differenze fra Nord e Sud, fra scuole centrali e periferiche. Il rischio è quello di far diventare la scuola un ambiente ancora più elitario, che fa andare avanti gli studenti non (solo) per merito, ma soprattutto per possibilità e condizioni socio-economiche.

Emilia Granito