Alberto Sordi e la sua storia: tante facce nella memoria

Il tempo scorre, può rallentare di fronte all’immutabile grandiosità di una città ma non fermarsi, mentre fluisce in modo uguale per tutti e ogni uomo galleggia nel suo incessante manifestarsi in maniera diversa.

All’inizio del secondo millennio Roma non è più quella che faceva la stupida la sera e si catapulta vorticosamente nel periodo che la porterà a tappe forzate verso l’illusorio sfolgorio della grande bellezza odierna.

Ma solo il cinema ha il magico potere di fermare il tempo e così succede che in piena simbiosi con la sua adorata città Alberto Sordi, anch’esso stracarico di fatti, circostanze e ricordi e dunque immalinconito dai repentini cambiamenti della contemporaneità, affidi alle immagini della memoria il suo ultimo ruolo: succede nel 2000, quando in occasione del suo ottantesimo compleanno, viene nominato per un giorno sindaco onorario della sua adorata città e trasforma questo incarico nella sua recita finale. Vive dunque questa contemporaneità nella dimensione di colui che vuole lasciare un ricordo indelebile che suggelli la sua immortalità artistica: dai titoli di coda fino agli esordi.

Trascorsi che risalgono all’anno 1937 dove comincia a mettersi in luce come comparsa e doppiatore, ma ben presto si rivela un predestinato naturale per il suo talento smisurato. Questa insostituibile qualità accoppiata a una personalità strabordante sfocia in una verve brillante e ariosa legata a doppio filo col tambureggiante ritmo della sua disinvoltura che in primis trova il suo habitat naturale nel teatro di rivista. Dopo un vano tentativo di mettersi in luce nel varietà San Giovanni con Aldo Fabrizi e Anna Fougez, riesce finalmente a debuttare nel teatro di rivista nella compagnia di Guido Riccioli e Nanda Primavera nella stagione 1938-1939 con lo spettacolo Ma in campagna è un’altra…rosa. In questo contesto figura inizialmente nel ruolo di stilé (ballerino di fila), ma viene poi promosso al ruolo di maggiordomo in uno sketch di Benini e Gori scritto appositamente per lui. Passano tre anni e inserito a pieno titolo in quel mondo luccicante Sordi diventa una figura indispensabile per il successo di spettacoli firmati da valenti maestri del genere quali Marcello Marchesi e Garinei e Giovannini magistralmente interpretati da uno stuolo di indimenticabili attori: Adolfo Celi, Olga Villi e Wanda Osiris, su tutti.

Nell’immediato dopoguerra l’incontenibile artista romano si misura e si compiace di partecipare a spettacoli radiofonici di vario genere inventando una vasta gamma di personaggi: perfettini, pedanti e decisamente antipatici che però riscuotono grande successo. Compagnucci di parrocchietta per dirla con le parole di un suo satirico protagonista di ben sette anni di attività sono Ettore Scola, Fiorenzo Fiorentini e Cesare Zavattini, ognuno per la sua parte.

Prima di innamorarsi perdutamente del cinema l’ambizioso giovanotto aveva conosciuto e frequentato quella splendida creatura con il regolare corteggiamento di tante apparizioni e sufficienti prestazioni tutte concentrate negli anni quaranta tra cui spicca significativo esempio di neorealismo cinematografico Sotto il sole di Roma del 1948. Così a partire dall’inizio del nuovo decennio ormai trentenne e abbastanza cosciente dei suoi forti sentimenti, il baldo e più che simpatico Sordi travasa la sua incontenibile passione verso l’amata creatura tuffandosi anima e corpo in quel vortice amoroso deciso a conquistarne il cuore. Questo meraviglioso idillio durerà la bellezza di sessanta anni e partorirà l’incredibile figliolanza di circa duecento film che a solo pensarli ci vuole mezza giornata, figurarsi ad elencare sia pure i più famosi.


Petulante ragazzotto, determinato giovanotto, bellimbusto da strapazzo, imprenditore arruffone e traditore seriale, padre libertino di un candido figlio, signore di mezza età con tante velleità e infine uomo anziano filosoficamente adattato alla legge del tempo,
il camaleontico artista trasteverino ha via via rappresentato sullo schermo tutto e il contrario di tutto impersonando la multiforme contraddizione di figure emerse dalla storia italiana; la complicata umanità che fuoriesce dalla cronaca popolare o mondana agganciata alla certosina osservazione dei sintomatici cambiamenti sociali: un occhio indiscreto che seguendo una logica e attenta cronologia, fotografa e riproduce le varie sfaccettature nel grande calderone della commedia di costume. In ognuno di questi ruoli  è come uscisse fuori a prima vista una semplice morale che alla fine rivela anche una non tanto nascosta verità sulla vita e i suoi derivati.

Alberto Sordi ha vestito dunque i panni di tutta una serie di svariati personaggi con un inconfondibile tocco personale trasferendo sullo schermo la sua interiorità romana prima che italiana irrobustendola con la sua qualità principale: un fantastico intuito adatto a captare le diverse sfumature degli umori comportamentali dei vari ceti sociali.

Ha rappresentato la classica tipologia maschile degli anni cinquanta: Il seduttore; Lo scapolo; Il moralista e Il vedovo; si è improvvisato nei mestieri più disparati: l’approssimativo legale di Buonanotte avvocato; il vanesio impiegato comunale di Il vigile; lo scaltro chanteur e danseur di Gastone; il succube insegnante di Il maestro di Vigevano; lo spregiudicato dottore di Il medico della mutua e l’incompetente parvenu del Prof. Dott. Guido Terzilli primario.

Ha firmato come regista produzioni pretenziose e di un certo livello: Fumo di Londra con annesso un motivetto composto da lui che funge da filo conduttore del film e anche attore ha illustrato assieme a Monica Vitti, la difficolta di vivere nel dopoguerra di una compagnia di artisti in Polvere di stelle o la crisi esistenziale di una coppia di agiati borghesi negli anni settanta con due film: Amore mio aiutami e Io so che tu sai che io so.

E se proprio dovessimo scegliere tra la sua sterminata filmografia corriamo volentieri il rischio di trascurare tanti altri capolavori, autentici veri e propri spaccati di un’epoca che non c’è più ma che sopravvive fortemente nella memoria collettiva di un paese intero anche e soprattutto per l’unicità dei suoi film assieme a quelli degli altri indimenticabili protagonisti del cinema italiano al maschile: Mastroianni, Gassman, Manfredi e Tognazzi.

Ma assumendoci l’onore e l’onere della scelta optiamo per Alberto il mammone perditempo de I vitelloni, costui  chiamato alle armi assumerebbe di sicuro il furbo comportamento dell’imboscato Oreste di La grande guerra che paradossalmente diventa eroe suo malgrado; siffatto personaggio inglobato invece nella diversa dimensione cittadina come il proletario giornalaio de Il conte Max, s’inventerebbe qualsiasi cosa pur di appartenere alla sdegnosa élite dei nobili designati; tale individuo emigrando all’estero si potrebbe benissimo trasformare in Totonno, il cinico romanaccio protagonista de I magliari sempre pronto a mordere la vita spolpando anche le ossa dei suoi simili. Personaggi beffardi fatti apposta per contrastare il rispettabile comportamento di Antonio lo scrupoloso operaio ma ossequioso killer di Mafioso; o per smentire il sofferto passato del limpido idealista Silvio Magnozzi di Una vita difficile che alla fine contaminato da falsi valori riscatta una dura esistenza con uno schiaffone a quel tronfio arruffino del suo datore di lavoro. Questa frettolosa ma esaustiva galleria di esemplari umani si chiude con le grottesche vicende del povero stracciarolo baraccato Peppino che assieme alla moglie sullo sfondo della squallida periferia del film Lo scopone scientifico viene ignobilmente e sistematicamente illuso da una vecchiaccia riccona e crudele con la chimera di un’esistenza diversa. Il loro Avatar non può che essere strafottente e giocoso Il marchese del Grillo, l’ineffabile Onofrio degno compendio di tutti i loro pregi e difetti.

Una menzione speciale spetta di diritto per infiniti meriti ai registi di questi bellissimi film, nell’ordine: Federico Fellini, Giorgio Bianchi, Dino Risi, Francesco Rosi, Alberto Lattuada, Luigi Comencini e Mario Monicelli. Una citazione particolare spetta anche a Silvana Mangano, Lea Massari, Anna Maria Ferrero, Franca Valeri, Claudia Cardinale, Rossana Di Lorenzo, Stefania Sandrelli, Laura Antonelli, Edvige Fenech, Giovanna Ralli, Gianna Maria Canale, Belinda Lee, Dorian Gray, Claire Bloom, Anna Longhi, Sylva Koscina, Bette Davis e sicuramente ne dimentichiamo qualcuna: talune attrici di spettacolare bellezza e non solo, altre di conclamata bravura e carisma e le restanti in possesso di una meritoria professionalità, per aver migliorato, abbellito, condiviso, sostenuto, la qualità di Sordi attore e talvolta contrastato e contenuto lo strapotere caratteriale, artistico e fisico di uno dei più grandi attori della nostra storia cinematografica.

Certo se poi volessimo proporre il manifesto universale della più genuina espressione umana, artistica e personalissima di Albertone nazionale non potremmo esimerci di raffigurare come da copertina l’immagine immortale del bulletto di periferia alle prese con gli spaghetti nel capolavoro di Steno Un americano a Roma.

Città dove nacque nel 1920 e che amò visceralmente; in cui visse con la sagace semplicità di uno spirito libero e nella quale confortato dal sempiterno ricordo di un popolo intero morì nel 2003.

Vincenzo Filippo Bumbica