Perché un test di ingresso a lettere e filosofia a Milano

E’ un periodo movimentato alla Statale di Milano. Le facoltà umanistiche della Statale, negli ultimi tempi stanno passano un periodo pieno di cambiamenti. Tutto è iniziato l’anno scorso, quando una riforma ha voluto far fronte alla “disorganizzazione” e alla sovrapposizione di lauree, esami e lezioni. Ultimamente però la questione è molto più delicata. E’ stato infatti proposto di introdurre il numero programmato per lettere e filosofia. Una trovata decisamente sorprendente, visto che ad oggi il numero programmato per studi umanistici non è mai stato contemplato da quasi nessuna università italiana! Ma la situazione è ancora più grave: sembra infatti che il Rettore e il Senato Accademico vogliano imporre questa decisione a tutti i costi, ignorando il parere dei singoli dipartimenti.

I più potrebbero pensare che questa esigenza sia dovuta ad un sovrappiù di iscritti ed in effetti un velo di verità in questo c’è: per l’anno accademico 2016-2017 risultano iscritti a Studi Umanistici ben 3327 studenti, a fronte dei 1192 immatricolati a giurisprudenza e 1756 alla facoltà di scienze e tecnologia (fonte qui). In effetti, esistono dei parametri da rispettare dettati dal ministero: secondo il D.M. 987 del 2016, affinché venga concesso l’accreditamento (in poche parole: la possibilità di avviare un corso di laurea) in un corso di laurea ci deve essere un equilibrio fra studenti e docenti (esclusi quelli a contratto). Per Studi Umanistici della Statale, questo equilibrio non viene rispettato e se non vengono prese delle norme per contenere il numero degli iscritti, c’è il rischio di sopprimere i corsi di laurea.

Abbiamo chiesto un’opinione a chi sta seguendo la vicenda da più vicino. Giacomo Aresi è rappresentante studentesco presso il Dipartimento di studi letterari, filologici e linguistici e membro del Comitato di Direzione della facoltà di Studi Umanistici.

1. Le posizioni di studenti e docenti sembrano essere chiare e anche molti docenti si sono posti nettamente a sfavore di questa scelta. A scienze umanistiche della comunicazione e lingue e letterature straniere ci sono norme un po’ più rigide per l’accesso, ma per ovvie ragioni (come per esempio i laboratori di lingua). A lettere c’è già il PARI (test di autovalutazione non selettivo, NdR) obbligatorio. Da che cosa deriverebbe dunque l’esigenza di una selezione a lettere e filosofia?

Ufficialmente, vista la quantità di iscritti nell’ultimo anno, è stata suggerita l’introduzione del numero programmato in quanto il numero elevato degli studenti dei nostri corsi di laurea in relazione a quella dei professori rischia di sforare i parametri stabiliti dal Ministero per ottenere l’accreditamento, ovvero la possibilità per un Corso di Laurea di essere attivato per un determinato anno accademico. In caso di sforamento di quel rapporto, l’accreditamento può essere concesso in maniera condizionata per un anno, durante il quale l’intero ateneo non può attivare nuovi corsi di laurea (bada bene: l’intero ateneo! Non la sola facoltà di studi umanistici). Successivamente, se dopo l’anno di accreditamento condizionato i corsi di laurea non si sono adeguati alla normativa, dovranno essere soppressi.

Inizialmente è stata propinata come una questione urgente al Comitato di Direzione del 28 aprile, smentita in seguito da un documento che abbiamo girato ai Collegi Didattici che evidenzia come ci sia il tempo per poter riflettere sul tema. Al che, tutti i Collegi Didattici della nostra facoltà (ad eccezione di lingue che si è già espressa sul numero chiuso e scienze umanistiche che ha già il numero chiuso) tutti gli altri corsi di laurea hanno preso atto che ci troviamo in una situazione che pone forte criticità, ma allo stesso tempo non si può non prendere un periodo di riflessione più ampio per decidere sul da farsi.

Se vuoi una mia personale opinione, credo che la ragine di questa urgenza sia il trasferimento di Città Studi (le facoltà scientifiche, NdR) al sito EXPO. Il trasferimento comporterebbe per l’Ateneo un indebitamento di 130 milioni. Io credo che l’Ateneo abbia individuato nell’area delle scienze della vita un potenziale rafforzamento col trasferimento ad EXPO, area strategica di investimento. Per contro, ritiene di dover applicare una politica di contenimento su altre facoltà; l’azione quindi prevede da una parte un investimento strategico sulle scienze della vita, dall’altra garantire che non si aprano scenari di rischio – per quanto moderato – su altre facoltà dal momento che l’Ateneo si esprorrebbe finanziariamente per il trasferimento di Città Studi.

La mia riflessione nasce anche dal fatto che i nostri Corsi di Laurea si interfacciano con l’amministrazione centrale in rapporto al problema docenza e numero degli studenti ormai da un anno. Solo appena prima del 28 aprile l’amministrazione centrale ha chiesto fortemente che si deliberasse sul numero chiuso entro il Senato del 16 maggio. Quindi, quello che è successo fra le prime riunioni dei Collegi Didattici con l’amministrazione e il comitato di direzione del 28 aprile è che il Senato ha dato il via libera alle richieste che l’ateneo ha inviato ad area EXPO per il trasferiemnto. Così il Senato e il Consiglio di Amministrazione hanno votato per fare un passo in più verso il trasferimento.

Contro queste modalità e questa procedura emergenziale è stata anche votata una mozione della Conferenza degli Studenti, l’organo assembleare di massima rappresentanza studentesca che riunisce i rappresentanti degli studenti più votati di tutte le facoltà.

2. Ad oggi, quante facoltà umanistiche italiane hanno il numero chiuso? E in Europa funziona diversamente?

Non so darti una risposta esatta. Posso però dirti che sicuramente il numero chiuso è più diffuso in corsi di laurea tipo lingue e scienze della comunicazione e meno diffuso – oserei dire praticamente inesistente – in  corsi come lettere, storia e filosofia. Questo almeno in Italia.

In Europa dipende molto dai sistemi nazionali. Ad esempio, la Francia utilizza poco o affatto il numero chiuso, mentre fa una forte selezione in itinere soprattutto durante il primo anno accademico. In Inghilterra, e nella fattispecie in Scozia, lettere classiche è a numero chiuso, però è gratuita. Quindi il numero chiuso è funzionale alla gratuità dell’insegnamento

3. C’è però da dire che molti credono che le discipline umanistiche siano delle “lauree-parcheggio”, le lauree del “Perché studi Platone che non serve”. Pare però ovvio che le differenze fra un corso di laurea in medicina e uno in beni culturali non sono solo apparenti: si studiano certo materie diverse e forse “più utili”, ma è anche vero che comunque le facoltà umanistiche non sono totalmente precluse dal mondo lavorativo. E se questa scelta fosse stata fatta per arginare proprio il problema dei “perditempo”?

Sicuramente gli attuali parametri ministeriali penalizzano le facoltà che hanno molti fuori corso e molti abbandoni. Per la mia visione di università, del fenomeno dei “perditempo” l’università non se ne dovrebbe occupare: è un problema che riguarda il singolo… Non credo che il test di ingresso argini in maniera particolare il fenomeno. Lo abbiamo visto a scienze politiche, dove il test d’ingresso è stato inserito in tutti i cdl della facoltà l’anno scorso, ma circa il 40% degli studenti alla fine del primo semestre di quest’anno (quindi fra gli studenti selezionati col test di ingresso selettivo) non avevano dato nemmeno un credito.

Il problema dei “perditempo” – se va risolto – va risolto con i programmi di assistenza e tutoraggio e con un maggiore orientamento in ingresso. Certo per fare tutto questo servono i soldi. L’Ateneo ha appena tagliato i finanziamenti al dipartimento di lettere che già l’anno scorso aveva messo in campo delle misure molto avanzate sotto questo aspetto.

4. A questo punto voglio proporre una mia riflessione. Più che test di ingresso, non sarebbe meglio rivalutare le nostre facoltà? In effetti molti pensano che sia facile intraprendere un percorso del genere. Ora, non me ne vogliano i miei colleghi e lungi da me qualsiasi critica aggressiva per quello che mi accingo a dire, ma prendiamo il caso del mio corso di studi: lettere. Molti oggi pensano che “Latino con istituzioni di lingua” sia più facile di “Latino senza istituzioni di lingua”, quando in realtà, a confrontare i programmi, sono più o meno la stessa cosa. Per molti insegnanti, all’epoca, era prevista la traduzione a prima vista per il latino e il greco (sia chiaro: non sto dicendo che sia entusiasta di tradurre Tacito o Lisia a prima vista, anzi tutt’altro! E’ solo un esempio!); gli studi di filologia classica o storia spesso vengono fatti da autori stranieri; gli ERASMUS non sono affatto esclusi dalla nostra facoltà. Con questo, non sto dicendo che le facoltà umanistiche non siano alla portata di tutti (anche matematica può essere a portata di tutti), ma forse la risoluzione deve partire da qui: dai piani di studio e dalle lingue.

Ti rispondo anche io con una posizione personale: credo che l’università non debba “essere facile”. Credo che l’università possa essere difficile, possa fare selezione in itinere. Non credo che l’università debba partire dal presupposto di essere esclusiva (o escludente): credo che l’università debba partire col presupposto di essere accogliente e anche di aiutare chi ha difficoltà. Una volta che si forniscono i mezzi, l’università deve essere difficile, nel senso che deve richiedere impegno, ma non deve essere finalizzata alla scrematura. Questo è quello che io credo.

Per i corsi umanistici questo penso sia ancora più vero perché la natura dei nostri studi è quella di essere non finalizzati ad una “banale” professionalizzazione (lungi da qualsiasi senso dispregiativo). Piuttosto sono finalizzati ad una diffusione più ampia della conoscenza e della cultura, contribuendo alla crescita della civiltà. Ogni corso di laurea universitario, per chi lo frequenta, è un fattore di cambiamento e tendenzialmente chiunque abbia fatto l’università, anche senza concluderla, sarà diverso una volta uscito. La motivazione è che ha frequentato un ambiente differente, ha conosciuto persone con percorsi diversi ed ha avuto occasione di rapportarsi con un diverso modo di pensare. Questo è il ruolo sociale dell’università.

5. Il sapere umanistico ha una lunga tradizione caratterizzata anche dall’accesso libero. Le discipline umanistiche infatti non sono finalizzate a professionalizzare, quanto piuttosto ad arricchire la cultura di una persona: infatti, molto spesso, si iscrivono anche persone molto anziane. Che poi ci sia effettivamente gente che non studi e non dia esami è comune un po’ a tutte le facoltà. Quali possono essere le conseguenze di questa selezione preliminare?

Mi riallaccio a quanto ti ho già detto prima. L’inserimento del numero chiuso è un venir meno al ruolo sociale delle facoltà umanistiche di cui ti parlavo prima. Ci sarà un enorme depotenziamento perché immagino ci sia una forte contrazione degli iscritti e probabilmente al di sotto della soglia che il numero chiuso prevederà. Dobbiamo tenere conto che siamo gli unici sul territorio: probabilmente molti si rivolgeranno ad altri Atenei buoni come il nostro, come Pavia, che non prevede queste misure selettive.

In generale, bisogna stare attenti: il numero chiuso favorisce il “fenomeno dei travasi”. Mi spiego meglio. Per esempio, l’anno scorso scienze politiche ha introdotto in massa il numero chiuso e tutti quelli che non hanno provato il test o ne sono rimasti insoddisfatti, si sono riversati da noi. Succederà quindi che tutti quelli esclusi da noi andranno a Pavia. E poi magari Pavia introdurrà il numero chiuso per contenere gli iscritti: il numero chiuso, in sostanza, è un domino che genera la chiusura dell’università.

6. Entro martedì, o forse già lo stesso martedì 16 maggio, il Senato Accademico dovrebbe decidere sulle sorti delle facoltà umanistiche. Quella degli studenti e dei docenti è stata una reazione poco gradita. Per quale motivo?

La scelta del Rettore – perché è stato lui a volerlo! – di portare in Senato Accademico una delibera sull’introduzione del numero chiuso a Studi Umanistici è un fatto gravissimo. Infatti, la delibera ignora totalmente il parere espresso dai Collegi Didattici (anzi non un parere, ma la decisione presa da collegi didattici). Si intacca così l’autonomia della didattica dei singoli collegi didattici. Il Senato Accademico è l’organo sovrano per eccellenza in materia di didattica ed è quello che deve garantire l’interesse strategico dell’Ateneo. E’ senza precedenti che il Senato Accademico decida d’autorità in contrasto con i Collegi: una forzatura gravissima quella che è successa.

Quando mi è stato detto non ci volevo credere! Cosa c’è di più grave? Pare che il Rettore abbia sotenuto che il Senato esiste appositamente per scavalcare gli organi inferiori nel momento in cui essi non comprendono l’interesse strategico dell’Ateneo. Tra l’altro, i Collegi Didattici hanno fatto quello che è stato richiesto. In 15 giorni si sono ritrovati e hanno detto la loro sul numero programmato, tuttavia questa scelta è stata ignorata completamente! Anzi è stata rigettata come capricciosa ed immatura.

7. Quale rapporto si vorrebbe mantenere con la tradizione accademica precedente? Viste le recenti riforme di appelli, esami, proclamazioni e per ultima la decisione del numero programmato, la Statale sta cercando di “svecchiare” un antico sistema forse troppo desueto o sta effettivamente “rompendo” con la tradizione precedente?

Ma guarda, sicuramente la nostra facoltà aveva bisogno delle ristrutturazioni. Credo che alcuni aspetti siano stati positivi, come la riforma delle lauree. Credo anche che ci siano stati aspetti fortemente negativi e noi continuiamo a lavorare per risolvere queste criticità e anche a sollecitare la mobilitazione degli studenti, ad esempio il taglio netto degli appelli. Questa del numero programmato rientrerebbe in una serie di ristrutturazioni per adeguarsi ai parametri nazionali. Personalmente, ritengo che in gran parte siano parametri mal concepiti per gli studi umanistici e più conformi alle facoltà scientifiche e per questo deleteri.

Sicuramente è in atto un processo che mira ad un adeguamento della nostra facoltà. Ti dico: alcune positività ci sono. Io trovo che non sia corretta la filosofia generale che imposta questo lavoro. Intendiamoci, non sono a priori contro le riforme condotte con l’obiettivo di fare dei miglioramenti e tutelare gli interessi degli studenti.