LA DIDATTICA A DISTANZA: UNA NOVITÁ QUASI INASPETTATA…
Un anno di didattica a distanza. Un anno in cui gli studenti hanno frequentato la scuola a intermittenza. Aprire, chiudere, aprire e chiudere. Un’altalena continua che ha reso la frequenza discontinua, la preparazione poco solida e ha ridotto a zero le interazioni sociali. Dall’altra parte della cattedra le cose non sono andate meglio: concorsi bloccati, precari eterni precari e, dulcis in fundo, l’inutile polverone sui banchi a rotelle. Non se ne può più: smettetela di parlarne!
In effetti, a pensarci bene, tutto è collegato: anche nella scuola sono emerse le tante aporie che abbiamo sempre voluto tenere nascoste dietro ai tagli, alle riforme e alle alternanze scuola-lavoro. Il Covid-19, sin dal momento della sua diffusione, ha sempre avuto una maggior incidenza sui soggetti più anziani; l’Italia possiede i docenti più anziani d’Europa (per maggiori dettagli, clicca qui); i giovani sono portatori asintomatici del virus nella maggior parte dei casi; i docenti sono quindi a grave rischio; ecco che le scuole si chiudono.
Insomma, tutto rema a nostro sfavore. Ma è davvero tutta colpa dell’età dei docenti? In parte, ma non perché siano più suscettibili al virus, ci mancherebbe! Ma comunque la si voglia mettere, abbiamo dimostrato di essere anche a scuola un paese vecchio.
SIAMO DAVVERO COSÍ VECCHI?
Dobbiamo essere sinceri? Forse si… Siamo vecchi per l’età dei docenti che quindi sanno usare le lavagne multimediali come i cavernicoli saprebbero usare uno smartphone. Non tutti intendiamoci: ma spesso e volentieri questi strumenti, nelle mani di una “gerontocrazia scolastica” (per non parlare nell’istruzione superiore e universitaria di una “paleontologia“), non vengono utilizzati nel pieno delle loro potenzialità. In università, l’autonomia degli studenti e l’impatto dell’innovazione tecnologica limitano di gran lunga il problema: ma a scuola basta davvero far vedere un video sugli Egizi o le presentazioni della Zanichelli per poter dire di usare bene una LIM? Figuriamoci il putiferio suscitato con la Dad. Se prima la gente non sapeva nemmeno accendere il computer, ora come siamo messi?
Come contrastare la pandemia fra i banchi di scuola? Domanda lecita in una pandemia mondiale. La soluzione è stata la didattica a distanza, comunemente Dad. I problemi della Dad sono stati molteplici: dai più banali, ma non trascurabili, problemi di rete, i microfoni accesi durante le lezioni e i goliardi che facevano lezione in pigiama. Ma c’è dell’altro, qualcosa che non tutti si ricordano: il problema sociale che la Dad genera fra i giovanissimi.
DIETRO LA DAD, UN MONDO…
Nelle periferie degradate delle grandi città, la scuola sottraeva i ragazzi dalla criminalità e dall’ignoranza di strada. Nei quartieri più difficili, il ruolo del maestro aveva una funzione sociale molto più significativa di quanto si possa credere. Le condizioni di povertà spingono a seguire le lezioni su supporti non idonei, a volte da condividere con gli altri fratelli, il che, nelle famiglie più numerose, impedisce che tutti possano seguire le lezioni in contemporanea. L’insegnamento è stato depauperato, questo è chiaro a tutti: chiunque è rimasto deluso dalla didattica a distanza.
Questi sono solo piccoli esempi, ma la situazione è molto più generalizzata: pensiamo ai paesi più piccoli e isolati, dove è già difficile muoversi con i mezzi pubblici per scendere in città. Come si può venire incontro a tutti? Come si può pensare a un nuovo modo di fare la Dad? Nel difficile anno che si prospetta, come è possibile rivalutare la Dad nelle nostre scuole?
ALBERTO MANZI: L’ANTESIGNANO DELLA DAD
Non a caso abbiamo scelto di aprire l’articolo con l’ideatore della didattica a distanza ante litteram: il maestro Alberto Manzi. Negli anni ’60 conduceva un programma RAI in collaborazione con il Ministero dell’Istruzione, “Non è mai troppo tardi“, finalizzato a istruire una moltitudine di persone adulte analfabete.
Manzi utilizzava lavagna, supporti audio e dimostrazioni pratiche per fare lezione ed era presente in studio anche un pubblico di discenti che veniva chiamato alla lavagna per svolgere esercizi di scrittura. Manca la RAI, ma in fondo non è poi così diverso dalla nostra didattica a distanza. Se volete un assaggio delle trasmissioni di Manzi, cliccate qui!
Se ce l’ha fatta Alberto Manzi, potremmo farcela anche noi. Non perché Manzi, questo sconosciuto pioniere della didattica a distanza, sia stato un imbecille: al contrario, è riuscito a sfruttare al meglio le tecnologie di cui disponeva per realizzare un programma educativo dalle immense conseguenze sociali.
COSA CI HA INSEGNATO ALBERTO MANZI?
Pensate: allora, negli anni ’60, a vent’anni dalla seconda guerra mondiale, più di un milione e mezzo di italiani riuscì a prendere la licenza elementare, abbassando drasticamente la percentuale di analfabeti nel nostro paese e riuscendo a esportare all’estero questo progetto educativo in più di settanta paesi.
Manzi è un modello oggi? Forse: il suo insegnamento a distanza di tempo (gioco di parole non voluto, N.d.R.) è certamente valido e mutatis mutandis qualcosa da lui possiamo apprendere. Disponiamo di un patrimonio tecnologico invidiabile rispetto a 60 anni fa, in cui era già tanto se i nostri nonni o bisnonni avessero la radio in casa. Grazie alla Dad sarà possibile, progressivamente, rivoluzionare i paradigmi dell’insegnamento. Ci si potrà allontanare dai banchi ammuffiti e dalle penne che sanno ancora di vecchio.
Intendiamoci: non è tutto oro quel che luccica. Manzi disponeva di mezzi come la televisione e ha saputo sfruttarla bene (ieri Manzi che spiega, oggi la D’Urso che prega…). Oggi spopolano registrazioni su Zoom o Microsoft Teams o YouTube, ma è chiaro che la Dad non può essere un surrogato della didattica in presenza, ma al contrario una valida integrazione. Conferenze con professori di altre scuole o università, dibattiti fra classi diverse, recupero delle lezioni dovute ad assenze, tutor per l’aiuto allo studio e molto altro può perfettamente essere conciliato con la didattica “in presenza”.
UNA NUOVA DIDATTICA: PERCHÈ SI?
Già: quello che ha scosso gli animi durante quest’anno, non è stato l’impiego della Dad in sé e per sé, ma, lo ribadiamo, l’utilizzo che se ne è fatto, l’abuso di una modalità che fino all’anno scorso nessuno pensava di usare. Per giunta, in mano a docenti spesso inesperti e a studenti che spesso approfittavano di una condizione di relativa comodità presentandosi alle interrogazioni in ciabatte… Per non parlare del lato umano dell’insegnamento che, come tutti gli aspetti più sociali della vita, è stato completamente falcidiato dal virus.
Non neghiamo che la Dad concede molti agi: chi vorrebbe rinunciarci? La nuova frontiera sarà l’integrazione oculata della tecnologia e della didattica mista nella scuola italiana. Il Covid ci ha messo di fronte anche a questa nuova sfida: saremo in grado di affrontarla? Quali saranno i risultati? Rischieremo di avere generazioni troppo stupide e pigre o, al contrario, generazioni più sveglie e attive sul fronte della scuola e della ricerca, dalle simulazioni di esperimenti alla ricognizione dei manoscritti?
Una sfida delicata, in cui si gioca davvero, forse come non mai, il futuro, scolastico e lavorativo, dei nostri figli.