Facebook is the new tribunale: farsi giustizia da soli a suon di foto a sgamo e gogna pubblica

Torino, venerdì sera.

Giulia, ventiseienne esperta di marketing e comunicazione, è sul tram 4.

Sono circa le nove di sera e lei sta andando a vedere lo spettacolo di un suo amico, dopo una giornata di lavoro in ufficio.

Tutto tranquillo, fino a quando, di fronte a lei, non si siede un gentiluomo d’altri tempi, che esordisce con un pacato “tu dovresti succhiarmi l’uccello”. Stranamente, davanti a un approccio così delicato, la ragazza rimane inorridita e, trovandosi in un tram popolato da soli uomini che assistevano alla scena senza muovere un dito, ha paura di reagire e di peggiorare la situazione.

Quindi, in preda al panico, Giulia afferra il cellulare e fotografa l’uomo, che nel frattempo aveva continuato a rivolgerle frasi oscene e a toccarsi le parti intime. Pubblica la foto sul suo profilo social, con annessa didascalia nella quale spiega cosa stava facendo il soggetto immortalato:

La foto (qui opportunamente censurata) del molestatore

Mi si è seduto di fronte, ha iniziato a toccarsi in mezzo alle gambe e a mugugnare “tu dovresti succhiarmi l’uccello”. Lo so che probabilmente a molti di voi fa ridere. Ma vi assicuro che col cazzo che io stavo ridendo.
Eravamo sul 4, tram pubblico Torinese. Porte chiuse fra una fermata e l’altra. Intorno a noi solo uomini che non so come avrebbero reagito se io avessi risposto violentemente. Fatto sta che valutando la situazione sono rimasta ferma e composta. Me ne sono stata nel mio, tesa, infastidita e schifata. Una giornata troppo intensa da giustificare pure una rissa.
Questa capacità tutta femminile di accumulare rabbia e frustrazione che deriva dal sentirsi impotente e impaurita, invece di reagire e schiantargli un piede in faccia come si sarebbe meritato, forse non è del tutto sana. Appena è sceso dal tram 4 lui ha continuato a farmi segnali poco equivoci con dita a V e lingua. Io ho risposto con diti medi e fanculi ben espliciti.In ogni caso è veramente necessario che uno stronzo maniaco si senta così a suo agio nel suo schifo per potersi comportare così con una donna mai vista prima? Se gli avessi spaccato il naso con una pedata avrebbe imparato qualcosa? Il mio timore a reagire in un ambiente non a mio favore potrebbe aver incentivato il suo comportamento recidivo? Perché deve essere una tale rottura di cazzo aggirarsi da donna sola in città? Io stavo solo andando a vedere lo spettacolo di un mio amico, e ci son dovuta arrivare con il fegato gonfio di rabbia

Scrive così e mette via il telefono, ignara del fatto che, nelle ore successive, il suo post sarebbe diventato virale.

Migliaia di condivisioni, reaction e commenti tra i quali spicca quello di un parente del soggetto immortalato che si scusa con la ragazza per quanto accaduto, causato – a suo dire – dalla dipendenza da alcool dell’uomo.

Come sempre, quando qualcosa viene buttata su pubblica piazza, l’opinione delle masse è divisa: ha fatto bene, ha fatto male, io avrei detto, io avrei fatto.

Una delle cose che si notano sempre con molto stupore, è la presenza fissa di commenti da parte di cavalieri in scintillante armatura, che hanno come leitmotiv una serie di scenari che sembrano usciti da un fumetto di Batman e che avrebbero avuto senz’altro luogo se solo il Fato avesse fatto in modo da farli trovare al posto giusto al momento giusto. Sorge spontaneo rievocare mentalmente le decine di migliaia di episodi simili che ogni giorno rimbalzano su riviste online (e non) assieme a quelli ai quali abbiamo assistito (o che abbiamo subìto) e che hanno come costante in comune la totale assenza del suddetto cavaliere e la soffocante indifferenza generale.

Ma su internet è diverso.

Su internet si lotta a colpi di periodi ipotetici, ché tanto nessuno saprà mai se le palle per intervenire le abbiamo sul serio. 

Dunque, ha un senso mettere alla gogna pubblica un tizio che si gingilla sul pullman mentre ci dice oscenità?

:

Una persona che pensa che sia assolutamente “ok” trattare un’altra persona come se fosse un oggetto va segnalata, per il semplice fatto che può essere potenzialmente pericolosa e che, spesso, la prospettiva dell’umiliazione pubblica può fungere da deterrente.

Ma queste sono motivazioni sufficienti a giustificare la pubblica gogna?

No:

Siamo in un periodo storico in cui i social fanno da cassa di risonanza alle lamentele che, fino a qualche anno fa, confinavamo ai discorsi in ascensore o alle file alle poste. Tante lamentele creano l’effetto branco: ci sentiamo soli, impotenti davanti a un sistema giuridico che non ci tutela, servi di una classe politica che bada solo ai propri interessi e, soprattutto, ci sentiamo vicendevolmente fomentati da una sete di giustizia sommaria che ci creiamo ad hoc, assieme a scenari fantastici all’interno dei quali siamo i super eroi (vedi i cavalieri in scintillante armatura di cui sopra).

Qual è il rischio?

Questo.

Ci si erge a giudice, giuria e boia in una botta sola e no, non è così che funzionano le società civili. 

Quindi, cara Giulia ventiseienne esperta di marketing e comunicazione, ti capisco.

Credimi, capisco cosa ti ha spinto a fare quello che hai fatto. Capisco la rabbia, la frustrazione, il senso di impotenza e, diciamolo, capisco anche che lo sputtanamento mediatico ti sia sembrata l’unica soluzione soddisfacente all’umiliazione subìta.

Ti capisco ma no, non è la soluzione.

Parlane, scrivici mille post, fai casino come puoi, lotta con le armi che hai senza cadere così in basso, senza dare la vita di una persona in pasto a decine di migliaia di gente affamata di una giustizia tutta loro.

L’arma è l’informazione, l’educazione. Non è con la paura dello sputtanamento che dobbiamo convincere le masse che comportarsi in un certo modo è sbagliato. Non deve essere la gogna pubblica il deterrente. Il lavoro è lento e corrosivo, deve partire dalle basi. Deve essere un lavoro di informazione e sensibilizzazione che passi dai perché, che affronti il pregiudizio, che sia più forte della voglia di vendetta.

Come la goccia che, a furia di cadere, corrode la roccia.