“Il Cannocchiale del Tenente Dumont” di Marino Magliani, edito da L’Orma editore è uno dei semifinalisti del Premio Strega 2022. In questo articolo ne proponiamo la recensione. Nato in Liguria Marino Magliani è autore di numerosi libri tra cui “Quella notte a Dolcedo“(Longanesi 2008), “L’esilio dei moscerini danzanti giapponesi” (Exorma 2017); e “Prima che te lo dicano gli altri” (Chiarelettere 2018). Ha lavorato a Il Cannocchiale del Tenente Dumont per vent’anni. La proclamazione della cinquina finalista della 76esima edizione del Premio Strega 2022 si terrà l’8 giugno a Benevento, al Teatro Romano, alla presenza dei dodici candidati e del pubblico. Come afferma lo scrittore già dalle prime pagine si tratta della cronaca di una diserzione, non una diserzione inventata, ma storica, ricostruita e certamente ampliata da una personale visione e interpretazione dell’autore.
Egli sfrutta quindi del materiale di partenza realmente esistente (elencato in Materiali di questo libro) per raccontare la diserzione di tre soldati dell’armata napoleonica durante la campagna d’Egitto. Si tratta quindi della storia di una fuga, che è seguita in tutte le sue complesse sfaccettature da un altro personaggio essenziale del romanzo: il Dottor Zomer, un medico olandese, il quale era effettivamente un membro di una Commissione di studio sulla diserzione, costituita pe ordine di Napoleone.
Quarto protagonista e principale narratore della storia (spesso attraverso missive), Zomer è convinto che una delle cause fondamentali della diserzione dipenda dall’utilizzo massiccio di hashisc, estratta dalle angiosperme Uricales africane. E’ proprio in Africa che i tre fuggiaschi vengono in possesso della droga. Dopo la battaglia di Marengo decidono di darsi alla macchia. Individuati i tre disertori, l’erudito Capitano Lemoine, il tenente sognatore Dumont e il sanguigno soldato basco Urruti , vittime della pericolosa droga, il dottor Zomer, con benestare degli altri membri della Commissione si prende l’incarico di farli pedinare da suoi emissari per indagare meglio il motivo della loro fuga e gli effetti che l’hashisc possa produrre su di loro. Così inizia la “caccia” e il trasognato viaggio dei fuggiaschi che riescono a raggiungere le terre liguri, guidati dal reticente ed enigmatico Capitano Lemoine.
Una fuga allucinata in una Liguria onirica –
Il Capitano è guidato a sua volta da alcune misteriose lettere e un desiderio di fuga verso nuovi e inesplorati lidi. Il loro peregrinare è influenzato dall’effetto delle droghe, che trasfigura i paesaggi e rende allucinata la loro fuga. Con grande abilità di prosa Marino Magliani descrive le tappe della fuga, riproducendo il flusso alterato dei ritmi e della percezione generato dalla droga nei tre disertori. Ciò che ne viene fuori è una geografia alterata, che si alimenta dell’alterato stato dei protagonisti, i quali si trascinano come “bestie ferite” dalla guerra, assecondando istinti, sogni e la necessità di nascondersi dal Mondo, in una fuga dalla battaglia che è un po’ anche una fuga da loro stessi. Il loro peregrinare è segnato da deliri, dallo smarrimento del senso del tempo e della spazialità. Procedono in una Liguria fascinosa e amena, a tratti anche opprimente, trasfigurata dalle loro anomale percezioni.
Un romanzo antimilitarista
A seguirli e ricostruire le loro peregrinazioni le spie e gli uomini del dottor Zomer, che con uno sguardo quasi paternalistico prende a cuore l’anima e il travaglio dei disertori, con l’intento di comprendere meglio i loro tormenti. Indirettamente Magliani scrive un libro antimilitarista, che con sottile ironia, anche quando attinge al vero, mostra tre uomini logorati, scalzi e non più lucidi, nemmeno quando lontani dalla droga. Ciò che li spinge a fuggire è una forza di altro tipo…“Il fenomeno della pioggia è il contrario della diserzione, una la vedi cadere, è trascorsa, la tua diserzione è, e da quel momento in poi è sempre, non finirà mai, neanche con te”. Questa frase è emblematica di come riflettere sulla diserzione, sia per l’autore riflettere anche su ciò che spinge gli uomini ad inseguire i sogni, siano essi anche poco chiari e impossibili…
Uomini che rincorrono miraggi
E’ proprio l’implacabile pulsione di fuga dalla guerra, che Magliani descrive con una prosa che replica l’andamento claudicante dei suoi personaggi. Le parole corrono, inciampano, si rialzano, si disuniscono sulla via, oppure, all’improvviso, permettono di arrivare in profondità, recuperando sensazioni genuine, assimilabili a vere e proprie intuizioni. A poco a poco i tre fuggiaschi, accomunati dall’hashish e, inizialmente, quasi un unico individuo plasmato dalla droga e da propositi di fuga, riprendono le proprie peculiari sembianze e compiono scelte che li porteranno a destini tra loro molto differenti… Con sguardo dolceamaro accecato dal sole ligure, Il Cannocchiale del tenente Dumont racconta la storia di uomini che rincorrono miraggi e la diserzione diventa qualcosa da proteggere, lì dove fa riferimento al sogno di mondi lontani dalle guerre e dai conflitti. Seppure fortemente contestualizzato da fonti storiche al periodo napoleonico il romanzo è vicino alla contemporaneità.
Pro e contro del romanzo
L’alienazione dei fuggiaschi è conferita dalla droga, ma come comprenderà anche il dottor Zomer, anche l’utilizzo dell’hashish è indotto da qualcos’altro: dalla necessità di fuggire dagli orrori e dall’insensatezza dello scontro armato. Cosa ha più senso? Perseguire un fuggiasco soldato napoleonico, un sognatore senza più sogni? Oppure proteggere quella fuga e quel cannocchiale, che pure non sembra portare molto lontano, e che forse fa vedere cose irreali, ma pur sempre lontane dallo scontro armato? Lo stile a metà tra l’onirico e il romanzo storico, con una componente relativa alla descrizione paesaggistica molto accurata rendono il romanzo di Marino Magliani scorrevole e godibile, anche per la sottile ironia dolce amara che lo pervade.
Nel complesso risulta d’impatto l’idea di raccontare una diserzione e l’indagine del dottor Zomer rispetto alle motivazioni più intrinseche di questa fuga. Tra gli elementi meno convincenti del romanzo, invece, la ripetitività di alcuni scenari e di alcune dinamiche, che lo rendono a tratti una cronaca, seppure allucinata, in cui non si aggiunge molto ai personaggi. La caratterizzazione dei tre fuggiaschi, inoltre, seppur presente non è eccessivamente marcata ed emerge soprattutto nel finale. Il paesaggio prevale sui personaggi, ma rende a tratti questi protagonisti confusi tra loro, tanto da renderli, almeno all’inizio, interscambiabili. Non sempre questo aspetto funziona con efficacia, anche se la scelta è chiaramente voluta.