I cristiani erano più infami degli arabi e non il contrario. Se volete scoprire quali grilli saltavano in testa ai cristiani di mille anni fa, questo è il momento di convincervi che non è tutto oro quel che luccica…
“Recare morte per Cristo non ha niente di colpevole, e subire morte per Cristo ottiene enorme gloria. Dal recare la morte si dà un guadagno a Cristo, dal ricevere la morte si guadagna Cristo, perché Egli riceve volentieri la morte del nemico come propria vendetta, e ancor più volentieri offre sé stesso al crociato come consolazione. Il soldato di Cristo, lo ripeto, uccide sereno: non deve essere considerato un omicida, ma un malvagicida. Dalla morte di un pagano il cristiano ottiene gloria. I pagani, intendiamoci, non sarebbero da uccidere, se esistesse un altro modo di trattenerli dagli attacchi e dalle persecuzioni contro i fedeli: ma allo stato attuale è meglio che vengano uccisi”.
Questo riadattamento è tratto dal panegirico riguardo alla lode dei cavalieri Templari. Forse stupirà, ma tale panegirico è stato scritto da San Bernardo di Chiaravalle, oggi Dottore e Padre della Chiesa. Un cristiano non può raggiungere riconoscimento più alto. Eppure, pare evidente che qui si fomenti la guerra.
L’omicidio dei saraceni è giustificato: il male è nulla, i pagani sono il male e se ne deduce che, in fondo, non si uccide nessuno. E’ proprio questa l’idea (sbagliata, si intende) di cristianesimo e di Medioevo che si è perpetrata nel tempo. Ma questa è un’altra storia.
Infatti, la filosofia araba medievale – e più in generale la cultura tutta – ha dato all’Occidente un contributo di proporzioni gigantesche, senza il quale, probabilmente, oggi non ragioneremo alla stesso modo e non conteremo neppure allo stesso modo.
L’atteggiamento degli uomini medievali, in realtà, fu tutt’altro che conflittuale con le altre culture. L’eredità di una visione distorta del Medioevo è dovuta a pensatori faziosi come Bernardo. Pietro Abelardo, un personaggio che oscilla fra il rivoluzionario e il tradizionale, ha scritto un “Dialogus” in cui un cristiano, un ebreo e un islamico si scambiano delle opinioni sulla religione e sulla filosofia, mettendo in evidenza non solo i tratti che li distinguono, ma anche gli elementi che sono fra loro comuni. Se siete assidui lettori, “Baudolino” di Umberto Eco è testimonianza davvero esemplare della riproduzione del rapporto fra le culture nel Medioevo: leggerlo vale la pena!
Tornando a noi, l’intera filosofia medievale è in sostanza una grande riflessione su Dio, sui sui attributi, sul rapporto con il mondo sensibile e via discorrendo. Gli arabi furono importanti perché veicolarono in Occidente gran parte del sapere filosofico greco mai letto nell’Europa latina: non è infatti un caso che mentre l’Europa decadeva sotto la dominazione barbara, arabi ed ebrei mantennero una produzione filosofica sufficientemente prolifica anche nei secoli più bui.
I contatti con l’Oriente furono però molto tardi: nell’immaginario europeo, l’Oriente era percepito come qualcosa di meraviglioso, luogo nativo di mostri e animali fantastici. I traffici commerciali del periodo successivo all’anno 1000 hanno aperto le frontiere al pensiero filosofico arabo che ha introdotto una rilettura pressoché totale dell’intera opera di Aristotele, conosciuta in Europa sono in parte, grazie alle traduzioni di Severino Boezio.
Oltre ad Aristotele, gli Arabi sono stati importanti per la riscoperta della medicina e delle scienze, prima di allora trascurate in Europa. Galeno rimase infatti il fulcro della medicina per oltre 400 anni, fino all’introduzione dell’anatomia di Andrea Vesalio. Avicenna stesso, uno dei massi esponenti della scuola araba, fu autore del “Libro della guarigione”, molto diffuso in Occidente. Accanto al produzione medica, anche la scienza araba ebbe un impatto non indifferente sullo stile di vita occidentale: basta pensare infatti alle cosiddette “cifre arabe” che oggi noi utilizziamo.
Ma non è ovviamente finita qui: per quanto a Bernardo stessero antipatici gli Arabi, senza di loro non ci sarebbe stato personaggi come Tommaso d’Aquino e Dante. Non solo infatti la riflessione araba sull’anima ebbe dei risvolti teologici, ma alcun recenti studi ipotizzano che Dante, per la stesura della “Divina Commedia”, avesse preso visione di una traduzione del “Libro della Scala di Maometto“, un’opera che parla dell’ascensione di Maometto al cielo: è infatti indubbio che i grandi poeti del Medioevo conoscessero il pensiero arabo, se è Dante stesso che battezzò Averroè come il “Commentatore” per eccellenza di Aristotele.
Un territorio che fu particolarmente sensibile alla penetrazione del pensiero arabo fu la Spagna che fino al 1492 fu occupata dagli Arabi. Toledo fu la città più fervente sotto questo aspetto, famosa soprattutto per i traduttori. Fu infatti dalla Spagna che ebbe origine, a quanto pare, tutto quel filone della letteratura amorosa che passa attraverso Lancillotto, Tristano, i trovatori provenzali, Cavalcanti per giungere fino a Dante. Tale letteratura avrebbe avuto origine dalla poesia musicata su un diverso sistema tonale rispetto a quello che oggi utilizziamo, basato su microtoni anziché intere tonalità come oggi siamo abituati. Il primo trovatore di cui abbiamo notizia, Guglielmo IX d’Aquitania, avrebbe avuto contatti con il mondo arabo. Così come la Spagna, anche la Sicilia fu un polo nevralgico per la diffusione della cultura araba.
E’ ovvio che Bernardo sbagliava, aveva sbagliato tutto: il “maleficidio” tanto millantato oscurava un contributo di esagerate proporzioni. Un contributo che, lo vogliamo ricordare, non fu solo filosofico o scientifico o erudito, riservato ad una piccola cricca, una piccola setta con pochi proseliti. Al contrario, oggi noi usiamo le cifre arabe, beviamo alcol, mangiamo carciofi, ma studiamo anche Aristotele.
In fondo, da dove pensavate che arrivassero gli scacchi?