Mariangela Melato: il ricordo e le emozioni di un’attrice a tre dimensioni

Era da un pezzo che Filumena Marturano non appariva in televisione. Poi nel 2010, nell’ambito di un’iniziativa voluta fortissimamente da Massimo Ranieri per riproporre il teatro in prima serata, Mariangela Melato, scelta suo malgrado dallo showman partenopeo per la parte della protagonista, finalmente accettò di impersonarla. A suo tempo aveva rifiutato anche la corte del grande De Filippo che le confidò:” Io Filumena me l’immagino bella, mia sorella Titina è brava ma brutta”.

Il suo tentennamento non era tanto per una questione di bravura: per quella sentiva di reggere benissimo il confronto con appunto la De Filippo, Regina Bianchi e Sophia Loren, le più famose interpreti, ognuno nel proprio periodo, della famosa commedia di Eduardo, ma quanto perché costoro rappresentavano l’anima napoletana e lei, professionista come poche, temeva d’incappare nelle difficoltà di adattamento al linguaggio di quel testo particolare impregnato di significati, frasi e sfumature tipiche di una Napoli particolare, verace e genuina. Infatti la sua “milanesità” Mariangela Melato se la portava addosso come un vestito, e come un bel vestito però sapeva dismetterlo per indossarne alla bisogna un altro, per diventare un’altra: un’attrice poliedrica capace come poche di declinare nei tempi e nei modi giusti il teatro impegnato e quello leggero, il cinema e la televisione con talento da grande, rara disinvoltura e classe sopraffina.

Quella indimenticabile interpretazione, nel ruolo della indomita concubina innamorata, che però ingegnosamente trova il modo di lottare per affermare la sua dignità riscattando sé stessa da un triste passato e tutte le donne succubi di questo mondo, rappresenta, ancora oggi e per sempre, il suo canto del cigno artistico: il manifesto vivente della donna Mariangela, aperta, leale, intraprendente e di come seppe affrontare la vita col sentimento della passione e la morte con l’inusitato coraggio di chi continua a recitare noncurante dei primi preoccupanti sintomi della terribile malattia che malgrado la sua strenua resistenza, l’avrebbe vinta nel giro di tre anni.

Il capoluogo meneghino accoglie nel 1941 i primi vagiti di una bimba predestinata. Cresce in una colorata fanciullezza quello schizzo di ragazzina dal faccino vispo e dal fisico esile. Appassionata d’arte, molto curiosa e abbastanza propositiva alla fine degli anni 50, comincia gli studi di pittura nella famosa accademia di Brera. L’atmosfera bohemienne tipica del quartiere con la vivacità della sua eclettica architettura liberty, si adatta alla perfezione al suo stile di vita e diventa dunque il centro di gravità permanente di quella delicata biondina: una promettente studentessa che disegna manifesti e allestisce vetrine alla Rinascente. Questo lavoro le permette di pagarsi i corsi di recitazione tenuti dalla mitica Esperia Sperani: una tipica e autentica esponente della tradizione milanese, interprete in passato di tanti lavori dialettali. Più che promettente, Mariangela Melato è già un’attrice in pectore: il suo tono di voce caldo, espressivo e inconfondibile, che si traduce in una impeccabile dizione; la sua gradevolezza estetica accompagnata da una notevole presenza scenica; la sua eleganza simile alla figurina di una rivista di moda combinata con la personalità di chi sa quello che vuole contribuiscono non poco a proporla prepotentemente nel mondo dello spettacolo.

Di già non ancora ventenne entra nella compagnia di Fantasio Piccoli e dopo questa esperienza partecipa alla paradossale commedia di Dario Fo: “Settimo ruba un po’ meno”. Nel 1966 spunta un ingaggio allo stabile di Trieste ma l’anno dopo eccola recitare con Luchino Visconti in “La monaca di Monza” per poi affermare definitivamente la sua presenza in campo teatrale con:” L’Orlando furioso” di Luca Ronconi. Chiude in bellezza la parentesi di quel periodo con il lusinghiero successo nella commedia musicale di Garinei e Giovannini:” Alleluia brava gente”, del 1971.

Nel frattempo aveva esordito con una particina nel film di Pupi Avati: “Thomas e gli indemoniati” e quasi fisiologico diventa così il suo approdo in pianta stabile nell’élite cinematografica. Una sventagliata di titoli accompagnati dalla prestigiosa presenza degli attori italiani del momento suggella una carriera coi fiocchi. Fra i tanti si segnalano: “Per grazia ricevuta con Nino Manfredi, che precede alla sua consacrazione totale sancita dal nastro d’argento per la migliore attrice di:“La classe operaia va in paradiso” di Elio Petri accanto a uno strepitoso Gian Maria Volonté, ribadita con le eccellenti performance di:Lo chiameremo Andrea” di Vittorio De Sica e dal satirico: “Il generale dorme in piedi” assieme all’indefinibile Ugo Tognazzi. Il tempo di guardarsi attorno ed ecco che Mariangela viene “catturata” da Lina Wertmuller, un’intuitiva e sagace regista con la quale raggiunge impensabili consensi di pubblico e critica per le stupende interpretazioni, in coppia con l’ironico e disincantato sciupafemmine Giancarlo Giannini, di:Mimi metallurgico ferito nell’onore”; “Film d’amore e d’anarchia” e “Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto”. Impietosi e corrosivi ritratti che illustrano usi e costumi di un Italia diversa: sullo slancio d i questa clamorosa triade la Melato invece di lasciare raddoppia e così viene fuori il leggero film “Di che segno sei”? alternato al malinconico “Caro Michele” di Mario Monicelli e all’impegnato:” Todo Modo” di Petri con ancora l’ermetico Volonté e l’incorruttibile Marcello Mastroianni.


Siamo alla fine degli anni settanta, appassionata e inesausta, la versatile attrice appare sul grande schermo con immutato fervore artistico, gira “Il gatto” con protagonista un ineffabile Tognazzi e si distingue da par suo nella sfaccettata interpretazione di una donna dai facili costumi che assieme a un’amica (la sorella Anna) induce in tentazione il bigotto, ipocrita e perverso, Ugo Tognazzi (sempre lui) in “Casotto”. Prima di chiudere il suo cerchio cinematografico Mariangela, si concede ancora qualche bella interpretazione timbrata da opportuni riconoscimenti e all’inizio della nuova decade ritorna a calpestare le scene teatrali, con personaggi di assoluto valore recitativo. Oltre le tragedie Medea e Fedra, la commedia: “Il caso di Alessandro e Maria” di Giorgio Gaber, esalta sé stessa e il pubblico con: “Vestire gli ignudi “ di Pirandello e con ”La bisbetica domata” di Shakespeare. E prima di quell’ultimo spettacolo Eduardiano con Ranieri buca il teleschermo con la superba interpretazione della glaciale governante signora Davers in “Rebecca la prima moglie”, ruolo che nel film di Alfred Hitchcock fu appannaggio della indimenticabile attrice australiana Judith Anderson.

“Il lutto si addice a Elettra”, “Chi ha paura di Virginia Woolf”, impegnative opere teatrali  e qualche altro film sono tra le ultime apparizioni di una donna che lavorando tenta di esorcizzare l’impietoso e subdolo male che l’affligge. Nel dignitoso silenzio di una livida mattinata invernale del 2013, accade che Mariangela Melato così piena di grazia, come la definiva Alda Merini, lasci questa terra e nel tragitto verso l’infinito rimanga la scia luminosa del suo ricordo per indicare la direzione giusta a chi si innamori perdutamente dell’arte della recitazione: ”Amor che a nullo amato amar perdona”.

ROME – OCTOBER 12: Mariangela Melato arrives at a Concert at the Teatro DellOpera on the opening night of the Rome Film festival on October 12, 2006 in Rome, Italy. (Photo by Chris Jackson/Getty Images)
Vincenzo Filippo Bumbica