L’isola fantasma di Hashima

A circa un’ora di navigazione dal porto di Nagasaki (Giappone), si trova un luogo molto particolare. Una piattaforma che 30 anni fa era conosciuta per la maggior densità di popolazione al mondo, e che ora è solamente un rifugio per volatili.

L’isola artificiale di Hashima, è una piattaforma di cemento armato di proprietà della Mitsubishi Motors. È una delle 505 isole disabitate della prefettura di Nagasaki, ed è circondata da un muro sottomarino che la cinge come un anello.

Mitsubishi comprò l’isola nel 1890, e cominciò ad usarla per l’estrazione del carbone. Nel 1916 vi è stato costruito il primo palazzo interamente di cemento armato del Giappone, progettato con standard antisismici e di resistenza ai tifoni.

Fra il 1939 e il 1945 furono confinati sulla piattaforma 500 coreani deportati e costretti ai lavori forzati. Seguirono altre torri di cemento e nel 1959 la popolazione di Hashima raggiunse il suo picco di 5259 persone, con una densità assurda di 1301 persone per 10 mila metri quadrati: la più alta densità di popolazione mai registrata al mondo.

Gli appartamenti dei lavoratori erano simili a delle celle per monaci: piccoli e soffocanti. All’interno dell’isola vi erano anche una scuola elementare e una superiore, una palestra, un cinema, un bar, un ristorante, 25 diversi negozi, un parrucchiere ed un ospedale, oltre che gli alloggi dei minatori e gli uffici della stessa Mitsubishi. C’erano anche un tempio buddista ed un santuario shintoista.

È stata abbandonata nel 1974, quando il mercato del petrolio cominciò a sostituire quello del carbone e le miniere furono chiuse e mai più riaperte.

Per oltre 30 anni è stato assolutamente proibito l’attracco sull’isola a causa della pessima condizione degli edifici: chi veniva beccato sulla piattaforma rischiava una condanna a 30 giorni di carcere e l’immediata espulsione dal territorio municipale di Nagasaki.

Vista dal mare la sagoma tagliente dell’isola artificiale assume la forma di una nave da guerra: il nome popolare di questa strana piattaforma, infatti, è Gunkanjima, che significa appunto “La Nave Da Guerra”.

Si respira un’atmosfera claustrofobica e opprimente, come se fosse una sorta di alveare, ed è incredibile immaginare come la gente potesse vivere qui, con l’assoluta mancanza di spazi esterni e con i muri altissimi come quelli delle prigioni.

Dalla polvere emergono vecchie scarpe, flaconi di shampoo, giornali e anche fumetti e poster dei bambini. Tracce evidenti delle persone che hanno vissuto qui, in un posto che ormai è dimenticato da tutti.

redazione