“Italia: paese di poeti, santi e navigatori”. Una volta, forse. Quante volte nel passato abbiamo dato grandi prove di “altezza d’ingegno”? Siamo il paese del Rinascimento: ci invidiano tutti. Ma la verità è un’altra. La verità è che siamo un paese meraviglioso perché siamo il contrario di quello che diciamo di essere. Ma andiamo con ordine.
È un periodo difficile quello che stiamo passando: una crisi di governo appena conclusa nel bel mezzo di una pandemia. Siamo sempre stati capaci di farci notare: diciamolo che non passiamo inosservati. Già dal lontano 1861 i dubbi sulla nostra unità: grande impresa garibaldina o accordi segreti dell’allora ministro Liborio Romano con il primo grande camorrista Tore ‘e Crescenzo? Così, pieni di dubbi e contraddizioni, fino al fascismo, passando per il trasformismo, di cui ultimamente abbiamo assistito a una rediviva recrudescenza. E di certo la pandemia non ha aiutato. Già: la pandemia. Siamo stati colpiti all’improvviso da un nemico inaspettato. Nemico che, è innegabile, ha svelato tutta la polvere che abbiamo voluto nascondere sotto il tappeto in anni di malgoverno e di governi “del cambiamento”. Ma eravamo troppo impegnati a cantare dai balconi per rendercene conto.
Non siamo qui a puntare il dito contro nessuno: tutto questo, purtroppo, rimarrà nei cuori e nelle orecchie di tutti. Una cosa è certa: qualcosa sta cambiando, in meglio o in peggio è forse ancora presto dirlo. Ma qualcosa sta cambiando. Badate: non è retorica questa. Le nostre sono radici romane: e gli imperatori adottavano in maniera magistrale la tecnica del panem et circenses. Oggi lo tradurremmo con “GF e gattini” perché questo è quello che vogliamo vedere. Dateci da mangiare e di che divertirci, ce ne staremo buoni buoni. È una constatazione amara: eppure è così. Una volta i giornali parlavano del caso Moro, del compromesso storico, di personalità come Togliatti e De Gasperi, di Mattei e di Pasolini. Oggi parliamo della Cipriani e, se ci va bene, di Mentana.
Non parliamo poi del boom che i social hanno avuto i social in questo periodo in cui le distanze si sono allungate ancora. Diceva bene Andy Warhol: “Nel futuro tutti diventeranno famosi per almeno 15 minuti“. Profezia avveratasi proprio in quest’annus horibilis. Direi che per molti è stato più un anus, un anus horribilis… Tutti hanno preso il microfono in mano e dai balconi hanno urlato: “CE LA FAREMO!”, “I VACCINI SONO LA MORTE” e persino “BARE DI BERGAMO FAKE NEWS”. Abbiamo finalmente scoperto che disinformazione e libertà di parola, per molte persone, sono la stessa cosa. Tutto ciò è meraviglioso…
Glissiamo pure su questi dettagli: panem et circenses, dicevamo. Dovremmo imparare a meravigliarci di quello che ci ha resi grandi nel tempo: ad oggi, l’Italia è il paese con il numero più alto di patrimoni dell’UNESCO al mondo, insieme alla Cina. Made in Italy e Made in China. Sembra una battuta, ma forse è solo l’ironia della sorte di questo pazzo mondo. Una sorta di un specchio dei tempi disordinati in cui viviamo. 55 siti UNESCO contro i 45 degli amici francesi, i 24 degli Stati Uniti, i 18 della Grecia e i 12 dei nostri vicini irraggiungibili (moralmente, si intende) elvetici. Fra questi, la dieta mediterranea che vince sugli involtini primavera (almeno quello).
Ma Italia, come si diceva, è il Made in Italy: nel bene e nel male. Insomma: dalla moda alla mafia. Tutto nostro. Armani e Al Capone, Versace e Riina: non ci facciamo mancare niente. Nulla da invidiare a Calvin Klein e Bonnie&Clyde. Ancora una volta, sono nomi che forse stanno meglio sulla nostra pelle, quando li indossiamo perché, per l’appunto: panem et circenses. La moda è l’aspetto bello del “Bel Paese” ed è il solo che ci interessa di vedere, forse perché non studiamo abbastanza.
Forse perché l’apparenza, ci insegnano tutti (“dall’Alpi a Sicilia”, dalle Montagne Rocciose al Kilimangiaro). Tempo fa, è risultato da un’indagine OCSE che siamo peggiorati nella lettura negli ultimi anni. Chissà ora, con la didattica a distanza. Noi: il paese di “poeti, santi e navigatori”. Noi che abbiamo dato i natali al grande poeta Dante Alighieri polemizziamo sui banchi a rotelle quando molti studenti non dispongo degli strumenti necessari per affrontare le lezioni a distanza.
In molte aree periferiche delle regioni storicamente più povere (pensiamo alla Campania e alla Calabria), ma basta pensare solo alle periferie romane, sottrarsi alla scuola equivale ad avvicinarsi al mondo della malavita più becera e disorganizzata. Certo: non è un processo così immediato, intendiamoci, ma è comunque fattibile. Famiglie disagiate vedono per i loro figli l’impraticabilità di un futuro migliore, lontano dalle periferie e dalle dure leggi di vita della Magliana. Cosa vuole dire “fare didattica a distanza”? Tutti hanno dovuto cambiare le proprie abitudini, ma sarà altrettanto importante non confondere l’accessorio col necessario.
Perché questo è successo. Quando il problema è culturale, antropologico, non c’è crisi sanitaria, economica e sociale che tenga. Il problema, di fronte a queste poche ma significative contraddizioni (a voi il compito di individuarne delle altre), è connaturato: quante volte avrete sentito sempre la stessa litania dai vostri genitori e dai vostri nonni: “Non sono più i nostri tempi”, “A Roma sono tutti uguali”… Nulla è cambiato, forse nulla cambierà, per parafrasare “Il Gattopardo” e Beckett avrebbe ben potuto utilizzare le vie di Roma e i caruggi genovesi come scenografie per qualche sua opera. “Andiamo forza, tirati su i pantaloni. Ora andiamo”. E non si mossero. Perché, in fondo, tutti hanno avuto questa sensazione almeno una volta nella vita, guardando fuori dalla finestra o scorrendo col dito i reels di Instagram.
Quando il problema è culturale, non significa che non si legge: questa è l’aggravante. Ma c’è qualcosa di più: è il modo di pensare, di agire, di guardare al futuro ma soprattutto al passato per poter capire il presente nella giusta prospettiva. E chi non comprende la propria storia, personale in primo luogo (cosa non secondaria e non scontata, di questi tempi, in cui il “singolo” impera prepotentemente), non può pensare che qualcosa possa cambiare. Morirà il Covid, ce lo auguriamo tutti: ma nasconderemo pure lui sotto il tappeto, troppo impreparati per evitare che una nuova minaccia possa mostrare i nostri scheletri nell’armadio.
Ma c’è il Grande Fratello! Sono in ritardo. Mi alzo i calzoni. Arrivo subito!
Allor si mosse, e non gli tenni retro…