La rivincita della birra made in Italy

Se vi parlassimo di bionde o rosse, sicuramente non ci staremmo riferendo a delle gentil donzelle ma bensì al così chiamato “nettare degli dei” nell’antichità e tanto amato oggi in tutto il mondo: la birra!

La nascita della birra è difficile da collocare storicamente, dato che quasi tutti i cereali che contengono determinati zuccheri possono andare incontro ad una fermentazione spontanea dovuta a lieviti nell’aria. E’ quindi possibile che bevande simili alla birra siano state create indipendentemente in tutto il mondo. Bastava, infatti, che una qualsiasi tribù indigena prendesse dimestichezza con i cereali, per arrivare “casualmente” alla produzione di un nettare simile a quello che noi oggi chiamiamo comunemente birra. Test chimici moderni, condotti su brocche antichissime in ceramica, hanno però rivelato che le prime traccie di birra si possono collocare per la prima volta a circa 7.000 anni fa sul territorio dell’attuale Iran. Questa è da considerarsi come una delle prime opere note di ingegneria biologica in cui è stato impiegato il processo della fermentazione. Col passare dei secoli la birra, insieme al vino, è diventata una delle bevande più diffuse nel mondo: essa veniva e viene consumata giornalmente da tutte le classi sociali, accompagnando ogni pietanza in ogni pasto.

E’ scorretto però associare l’immagine ed il gusto della birra attuale con quella del passato. E’ infatti impensabile che all’epoca potessero esistere tutte quelle strumentazioni che rendono oggi la nostra birra così particolare quanto perfetta. Solo grazie alla Rivoluzione Industriale, infatti, la produzione di birra passò da una dimensione artigianale (più grezza) ad una prettamente industriale (più limpida e sofisticata). Lo sviluppo di densimetri e termometri cambiò la fabbricazione della birra, permettendo al birraio più controlli sul processo e maggiori nozioni sul risultato finale. Inoltre, sempre nello stesso periodo, furono eseguiti studi specifici sul lievito, che permisero di produrre la birra a bassa fermentazione, di gran lunga la più diffusa nel mondo oggi.

Per ottenere questo perfetto nettare dorato è importantissimo che le materie prime utilizzate siano di ottima qualità. La birra si ottiene dall’unione e la fermentazione di: cereali, tra cui ricordiamo il malto e diverse tipologie di grano; additivi aromatici, il più famoso è il luppolo ma si può aromatizzare con qualsiasi frutto, pianta o spezia; l’ acqua e il lievito.

Da poco tempo il Beer Judge Certification Program ha riconosciuto in alcune tipologie di birra uno stile tipicamente italiano. Si chiama Iga, Italian Grape Ale, e prevede l’uso di uva o di mosti coltivati in Italia. Dal 2006 a oggi, in quasi 10 anni di storia, ci sono stati numerosi esempi di questa birra ma ad oggi solo in 12 sono state elette a rappresentare la birra italiana nel mondo, ed insieme a noi scoprirete alcune di queste.

BB10, BB Evò, BB9 e BB Boom (Barley)

Nicola Perra e Isidoro Mascia iniziarono con passione nel lontano 2006 a creare e a sperimentare con la birra, fino a giungere alla BB10: il mosto venne arricchito con sapa di Cannonau della cantina Argiolas, una delle uve tipiche della Sardegna che contraddistingue i propri vini, o in questo caso birre, con un buon tenore alcolico, dagli aromi che spaziano dai frutti di bosco alle spezie. Queste caratteristiche si armonizzarono perfettamente a quelle dello stile scelto, l’Imperial Stout, contraddistinto da buona alcolicità, struttura solida, sentori torrefatti che virano verso toni di frutta nera. Ma questa non fu l’unica importante idea di questo birrificio, infatti qualche anno più tardi venne messa a punto e prodotta la BBEvò in cui fu prevista la sapa si, ma di Nasco, un vitigno che in Sardegna viene normalmente utilizzato per produrre l’omonimo vino liquoroso. Successivamente i produttori decisero di creare una nuova birra che avesse però un retrogusto ancora più particolare, quello del Malvasia. Ecco quindi il connubio perfetto della loro birra con il vino di un’azienda di Magomadas, la cantina Zarelli, che è produttrice di un Malvasia secco, leggero e profumato, l’Inachis, la cui sapa è stata appunto utilizzata per la produzione della BB9. Ultima, ma non meno importante, arrivò negli anni a seguire la BBboom, in cui venne aggiunta la sapa del Vermentino, un altro vitigno sardo, giocando sulla secchezza e la freschezza che da sempre hanno contraddistinto questo vino.

Limes (Brùton)

Jacopo “Apo” Lenci e Andrea Riccio furono i fondatori di questo birrificio. Provenienti da città diverse (uno lucchese, l’altro pisano), furono dall’inizio diversi anche nei loro modi di pensare, di rapportarsi e di ideare, riuscendo però nel lontano 2009 ad iniziare una stretta collaborazione che da subito portò alle complesse birre in stile belga create da Jacopo, a cui si aggiunsero, in un apporto di eleganza e finezza, il lavoro di Andrea. Una gamma che non tenta di stupire con eccessi, improntata alla ricerca di equilibrio, sia al naso che al palato. Partendo dall’amore condiviso per le Saison, birre caratterizzate da secchezza, toni speziati, e facilità di beva, l’accostamento con il Vermentino maremmano fu immediato. Birre caratterizzate quindi da malto pils, nessuna spezia, luppolatura discreta per far risaltare armoniosamente il lievito saison. Il risultato finale è un “ibrido affascinante, con una vena acida e minerale, quasi salina, su note di ananas e frutta esotica.”

BeerBera, DuvaBeer e Nebiulin-a (Loverbeer)

Azienda ideata e costruita da Valter Loverier, ha da sempre spiccato tra la massa per la sua tanto elegante quanto quasi elitaria tipologia di birre. Il birrificio nacque nel 2009 con la produzione di cinque birre. La prima in assoluto fu proprio la BeerBera, fermenta in botti di rovere grazie all’aggiunta nel mosto di uva barbera, pigiata e privata dei rametti e dei semi, che proviene dall’azienda di Antonio Rabino di Cascina Pioiero. È una fermentazione che parte grazie ai lieviti presenti sulla buccia delle uve, attivata dai microrganismi presenti nella terra. E’ poi impossibile non citare la DuvaBeer, caratterizzata dall’impiego di un lievito belga utilizzato per fermentare il mosto di birra unito a quello della Freisa dell’azienda Terra dei Santi: il lievito lascia un maggior residuo zuccherino e rende questa birra allo stesso tempo sia dolce che frizzante. Hanno procreato infine una birra prodotta in piccole quantità ma di grande successo: la Nebiulin-a che nacque nel 2009 da uve nebbiolo di La Morra e apparve sul mercato solo nel 2013 come assemblaggio di tre annate di birra fermentata e maturata in barrique (tipo Geuze) e successivamente l’aggiunta di una quarta parte di uva.

Queste sono per noi le birre che nel tempo e nell’assaggio ci hanno ispirato di più. Sicuramente negli anni l’elenco di queste crescerà e sarà nostra cura accertarci di presenza che abbiano i requisiti adatti per entrare a far parte di questa cerchia, tanto elitaria quanto alcolica.

Salute!

Alessia Cavallaro