Joanne Woodward, il volto della vita, dell’anima e dell’amore

Ora sei rimasta sola piangi e non ricordi nulla, scende una lacrima sul tuo bel viso lentamente, lentamente.

Sorpassata la soglia degli 87 anni, oggi Joanne Woodward vive ma vegeta in preda all’Alzheimer risucchiata nel buco nero della depressione che ha già spento la luce dentro il suo cervello: talvolta solo qualche goccia di memoria scivola silenziosa dall’azzurro degli occhi per inumidire le guance grinzose dal dolce incarnato.

Quando il passato perde colore l’oscurità del tempo diventa il buio dell’anima e allora scompaiono le tante facce della memoria. Forse bisognerebbe tentare di svegliarla da questa specie di coma profondo in cui langue adottando una terapia d’urto: una voce fuori campo che, raccontandole una storia, rimettesse indietro le lancette dell’orologio per ripercorrere la sua vita libera, splendida e drammatica. Una specie di fiaba, come fosse tornata di nuovo bambina, che parlasse del modo con cui è diventata in un’armoniosa alternanza di ruoli: femmina, attrice e moglie.

Metafore di quelli magnificamente rappresentati anche nella finzione cinematografica del suo film più famoso: “La donna dai tre volti”. 


Nel 1958, il suo anno di grazia, la ventottenne Joanne Gignilliat Trimmier Woodward
, nata a Thomasville la città delle rose, fresca come questo magnifico fiore asperso di rugiada si presenta radiosa a Hollywood per ritirare il premio Oscar come migliore attrice protagonista a suggello della sua straordinaria interpretazione in quel film.

Nel triplice ruolo di una donna schizofrenica: la sempliciotta signora Eva Whithe, la provocante signorina Eva e la giudiziosa Eva-Jane, con rara abilità la Woodward tratteggia questi diversi ritratti di tipologie femminili con sensibilità, ironia e intelligenza.

Per lei quell’anno non solo rose ma anche fiori d’arancio: la donna dal volto delicato bella ed espressiva, brava come poche, invidiata da tante e fortunata come nessuna finisce con l’impalmare l’uomo dei suoi sogni e quello di tante altre donne: Paul Newman conosciuto parecchi anni prima sul palcoscenico di un teatro di Broadway durante la rappresentazione della commedia” Picnic”.

Sul set de “La lunga estate calda” i due si rincontrano e questa volta divampano le fiamme di amorosi sensi, proprio come gli incendi di cui viene accusato a torto o a ragione Ben Quick, il protagonista del film dove lo spettacolare divo dagli occhi blu affascina e infine conquista la candida ma al contempo arguta Joanne nei panni di Clara Varner, l’impettita maestrina di un piccolo paese del profondo americano   adagiato sul Mississippi.

Per quella magica e inspiegabile alchimia che si stabilisce fra due innamorati di cuore e di mente, Lui e Lei brilleranno di luce propria percorrendo mano nella mano un sentiero professionale ma soprattutto sentimentale lungo cinquanta anni. Bellezza e bravura, fascino e intelligenza, generosità e sensibilità si miscelano tra i due in una fantastica intesa: nei successi dell’uno c’è sempre, come minimo, la partecipazione dell’altra e viceversa.

Joanne incontrerà spesso il marito come partner, regista o produttore che sia e i risultati della loro intensa collaborazione se non sono eccellenti come lo scintillante inizio, rimangono pur sempre più che accettabili.

La coppia gigioneggia nel satirico “Missili in giardino”, un’arguta commedia sulla rigida mentalità militare. Poi affronta la realtà di un difficile rapporto amoroso che si spezza nel film “Dalla terrazza”, due anni dopo. Nel 1961 il loro regista preferito Martin Ritt, che già li diresse nello sfavillio colorato dell’estate calda, li rivuole di nuovo assieme in “Paris blues” e nello stupendo scenario della Parigi esistenziale in bianconero dei caveaux, i due sfoderano una sontuosa prestazione che fa pendant con i sonori virtuosismi usciti dall’anima jazz dei bravi musicisti. Altri titoli quali “Il mio amore per Samantha”; “La prima volta di Jennifer”; “Detective Harper, acqua alla gola”, si succederanno fino al loro crepuscolo cinematografico rappresentato da Mr& Mrs Bridge del 1990.

Prima di arrivare a questo malinconico epilogo, inframezzati ai film girati col marito, Joanne Woodward continua a proporre personaggi diversi ma anche uguali: tutti però legati dall’invisibile filo logico delle nascoste personalità.

A cominciare dal 1959, in cui appare, capricciosa e sentimentale, nella tragica vicenda di “Pelle di serpente”, come possibile elemento di rottura della torbida tresca amorosa tra Marlon Brando e Anna Magnani; in “Donne d’estate” del 1963 affronta il  tema del difficile reinserimento nella vita rappresentato da un triste ritorno a casa; scaltra e premurosa mogliettina affianca il vetusto furbacchione Henry Fonda nell’atipico western del 1966” Posta grossa a Dodge City”; e nello stesso anno disegna, con grazia e carattere, la solidale e affettuosa compagna che sopporta le mattane dello scorbutico Sean Connery in “Splendida canaglia”.

Joanne Woodward, donna delicata, sensibile e affettuosa; attrice intensa, espressiva e creativa; moglie innamorata, solidale ed emancipata, ha rappresentato al meglio nella vita e sullo schermo queste virtù che non nascondono i vizi ma paradossalmente esaltano la sua nascosta normalità:La cosa più difficile al giorno d’oggi è essere semplici”, disse tempo fa la sua collega Jane Fonda. E Joanne dopo essere stata con semplicità l’apostrofo rosa tra la parola ti amo per il suo Paul è diventata, con tragica naturalezza, una donna tutta sola tra le parentesi di una vita dimenticata.

Vincenzo Filippo Bumbica