Intervista a Claudio Quartarone, un chitarrista dall’animo jazz

Una formazione classica, un’animo da improvvisatore e un sound ben identificabile e ricco di diverse influenze artistiche. Questi sono solo alcuni degli ingredienti del talento del poliedrico chitarrista e compositore catanese Claudio Quartarone.  Inizia in tenera età lo studio della chitarra classica, intraprendendo parallelamente un grande interesse verso l’elettronica, genere musicale presente anche in molti suoi lavori successivi. Sarà però il jazz il suo principale mezzo espressivo che lo porterà a farsi subito notare dall’ambiente jazzistico siciliano. Ascoltando la sua musica comunque si evince una forte versatilità che rende complicato inquadrarlo in un genere esclusivo. Nel 2008 pubblica il suo primo disco “Even Eighth” con la nota etichetta RaiTrade, con la quale collabora fino al 2010 pubblicando altri due dischi, “The Third Boss Guitar” e “Elevator”. Nello stesso anno apre il concerto del famoso trombettista italiano Paolo Fresu al Teatro Metropolitan di Catania. Numerose le sue collaborazioni, a marzo di quest’anno è uscito il suo nuovo Ep “Another world”, del quale ci parlerà ampiamente.

Quando è nata la tua passione per la musica?

Avevo otto anni, e sentire la chitarra classica suonare per la prima volta fu come una folgorazione. Non è stato un processo graduale, ma un momento preciso che ricordo ancora molto bene, nel quale è iniziata la mia passione per la musica ed in particolare per la chitarra.

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Dalla tua biografia, si evince che ti piace spaziare tra vari generi diversi tra di loro, dal jazz alla musica elettronica al pop. Come riesci a conciliare queste tue anime artistiche nella composizione dei tuoi lavori?

Vedi, per me non ci sono barriere, non esistono generi, la musica o ce l’hai dentro o non ce l’hai, non importa che strumento suoni, che lingua parli o che studi hai fatto. Al momento mi risulta abbastanza difficile scrivere nel vero senso della parola perché mi capita di fissare il foglio e di pensare: questa nota è qui, ma potrebbe essere da qualsiasi altra parte, ed è quindi proprio allora che entra in gioco l’improvvisazione. Per me è un continuo improvvisare, ed è molto difficile scegliere di fissare un’idea piuttosto che un’altra, per questo ultimamente mi piace suonare standards, in modo tale da creare all’infinito senza scrivere o fissare nulla.

Quali sono le tue influenze artistiche? A chi ti ispiri nella creazione dei tuoi pezzi?

Sono tantissime le mie influenze, faccio prima a dire cosa non mi ha influenzato piuttosto che fare un elenco di cosa lo ha fatto. In ogni caso se volessimo fare un quadro generale: principalmente la musica del 900, il jazz, il rap e l’elettronica, ma anche tutti i musicisti che ho avuto la fortuna di conoscere, le loro visioni e i loro pensieri in merito.

Quando hai capito che la musica poteva diventare la tua professione?

Questo è un aspetto molto delicato, ed è anche rischioso considerare la musica una professione nel senso proprio del termine. Guadagnare soldi va benissimo ma non bisogna mai sentirsi professionisti. Sai quelli che montano gli strumenti, vengono pagati e se ne vanno a casa? Ecco, il mondo musicale non necessita di queste figure professionali, ma piuttosto vi è un’estremo bisogno di Artisti.

Soffermiamoci sul mondo jazz. Hai trovato terreno fertile in Italia o è ancora considerato un genere di nicchia?

Il jazz è diventato un genere di nicchia dagli anni 40 in poi. L’Italia purtroppo non si è mai distinta per originalità in questo campo, ma ha sempre scopiazzato dagli Americani. Questo atteggiamento passivo purtroppo permane ai giorni nostri, quindi la mancanza di attenzione al jazz da parte del pubblico, a parer mio, non è così ingiustificata. Io ad esempio non seguo nessuno dei musicisti Italiani, semplicemente li ascolto ma alla fine non mi interessano, quindi per rispondere alla tua domanda: no, l’Italia non è un paese musicalmente fertile anche se conta tantissimi talenti che purtroppo mancano di coraggio artistico.

Come consideri la scena musicale catanese?

Catania, e la Sicilia in generale direi, è una fucina di talenti incredibile, il problema non è quanti talenti abbiamo e di cui possiamo vantarci ma cosa fare con essi. Purtroppo mancano figure professionali nell’ambito organizzativo. Siamo più bravi ad importare che ad esportare talenti.

Credi che le moderne piattaforme tecnologiche come ad esempio YouTube solo per citarne una, siano fondamentali al giorno d’oggi per un musicista?

Non solo credo che siano fondamentali ma oggi come oggi è l’unica via possibile per veicolare le proprie idee in maniera efficace e veloce, soprattutto se stiamo parlando di musica alternativa come nel mio caso, e il pubblico che cerca altro è abbastanza numeroso.

Data la tua lunga gavetta nel mondo musicale, cosa ne pensi dei talent show? Consiglieresti mai ad un ragazzo di partecipare per emergere?

Beh, ovviamente quello dei talent è un mondo molto distante dal mio. Io penso che se si vuole far notare dal grande pubblico ed entrare in determinati circuiti sia la via più giusta, ma il rischio è quello di dover restare sempre in certi limiti della commerciabilità del prodotto e sarà difficile poter uscire fuori da quei binari già tracciati e sicuri.

Cosa consigli poi ai giovani che vogliono approcciarsi al mondo della musica? Reputi che lo studio della tradizione classica musicale sia ancora fondamentale?

Dipende dalle situazioni. Se lo studio viene affrontato come nei conservatori allora meglio evitare secondo me, poiché sfornano solamente esecutori che non hanno idea di ciò che stanno suonando. Io stesso quando suonavo esclusivamente musica classica ero molto ignorante musicalmente. Il paradosso sta qui: suonare musica meravigliosa ma scritta da altri e credersi musicisti. Infatti io distinguerei tra esecutori e Musicisti: il Musicista conosce la musica, l’esecutore non necessariamente. Purtroppo lo studio del jazz in conservatorio non fa eccezione, la verità è che la musica è una attività artigianale. Il mio consiglio per i ragazzi è di non andare a studiare dal bravo insegnante che teoricamente conosce mille cose senza saperle mettere in pratica, ma è sicuramente più utile andare a lezione da chi sa suonare, copiando il più possibile.

Parliamo del tuo nuovo Ep “Another world” uscito il 15 Marzo presso tutti gli store digitali.

“Another World” come dice il titolo stesso contiene musica che non ha legami col mondo moderno come lo intendiamo di solito. Rappresenta un po’ la mia fuga da tutto questo, come se fosse la parte più incontaminata di me trasferita in note. Mi piace pensare che la musica in qualche modo abbia una sua indipendenza e possa essere totalmente libera e assoluta.

Tra le tue tante collaborazioni musicali anche in ambito internazionale, qual’è stata quella che maggiormente ti ha gratificato?

Sono grato ad ognuno dei musicisti con cui ho collaborato perché da tutti si può imparare qualcosa e non solo in ambito jazz, ma anche da producers, rappers, ingegneri del suono, videomaker, imprenditori. Per poter elaborare un tuo pensiero, bisogna assorbire tutto ciò che il mondo offre; inoltre è sempre bello confrontarsi con persone nuove e mettersi in discussione.

Infine, la classica domanda di rito: progetti per il futuro. Cosa bolle in pentola?

Prima di tutto, per quanto riguarda il suonare e la mia musica, ho riscoperto la chitarra classica, abbandonata da me da molti anni; per quanto riguarda invece l’aspetto meno chitarristico e più da compositore, sto collaborando con un grosso canale scientifico francese, Experiment Boy, del quale curo le musiche. Di recente ho conosciuto un talento incredibile, si chiama STEREOCOOL e crea musica elettronica, nei prossimi mesi uscirà una nostra collaborazione. E poi naturalmente suonare il più possibile, evolvermi e continuare a migliorare come musicista e come essere umano.

“Mi basta prendere la chitarra in mano e tutto accade
Credo in tutto ciò che viene dall’alto quindi basta sedersi e prendere l’idea successiva”                                                                                         

Alice Spoto