Intervista ai Kutso: “La risposta a Che effetto fa è nel disco stesso!”

Da quando hanno cantato “Elisa” sul palco del Festival di Sanremo di tempo ne è passato e, oggi, i Kutso con “Che effetto fa”, il loro nuovo disco, sono in tour per l’Italia.

“Che effetto fa” è un album diverso rispetto ai precedenti: ci sono più ballad e i Kutso hanno provato ad apportare un cambiamento nel loro modo di fare musica, rimanendo però sarcastici e provocatori. Interessanti le canzoni “Strade interrotte”, “Disoccupato” e “Niente cuoricini”. Del disco e di molto altro ne abbiamo parlato con Matteo Gabbianelli, leader della band, che raggiunto telefonicamente tra una risata ed una domanda ci ha svelato il mondo musicale dei Kutso.

La prima domanda è più una curiosità: perché Kutso? Da dove deriva questo nome?

Questo nome è nato al liceo, tra i banchi di scuola. In realtà, Kutso –  K U T S O – lo leggevo all’inglese quindi la U diventa A. Quindi è un gioco: mi piace fare le cose un po’ polemiche e provocatorie. Passati anni, però, anch’io ho imparato a leggerlo Kutso come è scritto perché richiama il Giappone.

Da “Elisa” a “Che effetto fa” di anni ne son passati. Come sono cambiati i Kutso e come è cambiato il vostro modo di interpretare e fare musica?

Con questo disco abbiamo voluto dare una svolta al suono, quindi abbiamo aggiunto molta elettronica e abbiamo lavorato alla composizione dei brani in una maniera ancora più approfondita. Io (n.d.r. Matteo Gabbianelli) mi occupo di scrivere musica e testi. Stavolta ho voluto soffermarmi su delle foto di situazioni, personaggi: cose molto concrete insomma. Prima e spesso erano più elucubrazioni mie esistenziali. Invece in questo disco ogni canzone riguarda un argomento o un racconto.

“Che effetto fa” è il vostro terzo album. Come mai questo titolo?

Proprio perché abbiamo apportato questo grande cambiamento alle canzoni ci siamo chiesti per primi noi chissà che effetto fa. Per prima al nostro pubblico e poi a chi ci ascolta per la prima volta. È una domanda/affermazione perché siamo andati su lidi che non conosciamo. Nonostante abbiamo messo molto lavoro e abbiamo fatto tutto in maniera molto professionale e faticosa, però non sappiamo che cosa abbiamo creato. Quindi l’abbiamo intitolato “Che effetto fa”, ma senza punto interrogativo perché secondo noi la risposta è la musica, è nel disco stesso.

Ai temi del disco vi è un approccio sarcastico e fatalista. Penso a “Le rose morte”, a “Manzoni alieni” o anche a “Disoccupato”. Insomma, per i Kutso si deve affrontare la vita con un pizzico di ironia?

Più che ironia, io uso il sarcasmo. L’ironia la usano coloro che si pongono al di sopra delle situazioni. Io, in realtà, nei problemi mi ci butto a piedi pari. Quindi nelle mie canzoni non c’è ironia ma sarcasmo, c’è qualcosa di sofferto, di amaro. C’è vivere la vita fino in fondo nel bene e nel male. E poi, rispetto a prima, il disco ha due ballate e c’è anche spazio per una visione dell’amore. Ci sono tante sfaccettature. È la prima volta che abbiamo scelto come singolo una ballata come “Uno+una”. Io non sono solo un distruttore, ma sono anche un costruttore.

In “Il segreto di Giulio” vi è la collaborazione con Giulio Berruti. Quando e come è nata?

Noi abbiamo partecipato ad un programma che si chiamava “Bring the noise”: era un gioco a premi. Arrivavano dei personaggi famosi della televisione, del cinema, del teatro e loro cantavano insieme a noi. In quest’occasione abbiamo conosciuto Giulio Berruti. Per chi non lo sapesse Giulio Berruti è un attore, un modello, uno scrittore, una sorta di Big Jim. I nostri manager dell’espoca si erano incontrati ed avevano ipotizzato questo gioco. Ho scritto questa canzone e l’abbiamo cantata insieme perché lui ci spiega ironicamente il segreto di piacere alle donne. Ma non per un fatto di eterosessualità, ma perché le donne in un mercato di contenuti smuovono i numeri. Si gioca tutto su questo. Lui si è prestato molto volentieri e anche se lui ha ‘un’immagine tutta d’un pezzo, alla fine è un cazzone come noi.

In “Niente cuoricini” prendete in giro senza limiti tutti noi che usiamo i social. Che rapporto hanno i Kutso con i social? E soprattutto dopo quanti like è amore?

(n.d.r ride) Le mie canzoni non sono mai solo delle dita puntate. Io mi sfogo. È come quando uno litiga, poi, invece di litigare, scrive una canzone. Non è un momento di analisi ma di reazione emotiva e di insofferenza. In realtà, io appartengo ad una generazione che i social li ha un po’ subiti. I ragazzi, invece, li usano in modo ingenuo e naturale: per loro è una cosa normale. Chi è più grande si è dovuto adattare e inizialmente abbiamo avuto tutti questo pudore nel dire cosa abbiamo mangiato, con chi ti sei sposato, tuo figlio: cose che prima raccontavi solo agli amici. A me non frega niente. Io i social li uso solo per comunicare la mia arte. Quando mi devo esprimere, lo faccio con le canzoni o parlando con le persone. Dopo quanti like è amore!?!? (n.d.r. ride di gusto) Dipende da che amore intendi. Se intendi l’amore delle emoticon, allora ci vogliono almeno un centinaio di like, altrimenti l’amore è al di là dei like.

Al momento siete in tour. Qual è il momento del live che preferite di più?

Quando la gente si è scaldata e comincia a rispondere e quindi canta le canzoni e risponde a quello che diciamo. Quando c’è la partecipazione del pubblico quella è la risposta più bella.

Sandy Sciuto