Intervista a Nicoletta Vallorani: “Avrai i miei occhi” e la Milano distopica

Nicoletta Vallorani, scrittrice, traduttrice, insegnante di Letteratura Inglese all’Università Statale di Milano in questa intervista ci parla del suo ultimo romanzo “Avrai i miei occhi”, 2020, edito da Zona 42, un noir fantascientifico e distopico, ambientato in una Milano futuristica. Il romanzo è stato selezionato al Campiello 2020

1) Avrai i miei occhi”, edito da Zona 42, è un romanzo di fantascienza ambientato in una Milano del futuro. Una città divisa da Muri che separano i ricchi dai poveri, i conniventi da coloro che sono stati espulsi dal sistema, perché ribelli, perché ritenuti inutili, improduttivi e quindi trascurabili dall’ordine costituito.

Nigredo, il detective protagonista di questo noir distopico, indaga  in una città fantasma e in rovina, sul ritrovamento di numerosi corpi femminili, che sembra appartenere a delle “cavie”; la verità è ben più complessa e difficile da diramare…

Da dove nata l’idea di un romanzo distopico fantascientifico ambientato a Milano? 

In realtà è una mia vecchia tradizione. Tutto è cominciato con un romanzo di fantascienza, “Il cuore finto di DR“, (1992, Mondadori), vincitore del Premio Urania, che era anch’esso ambientato a Milano. Mi sembrava infatti molto innovativa l’idea di scrivere un romanzo italiano che fosse ambientato non su esotici pianeti, o in metropoli modellate su quelle americane; ma, appunto, provare a vedere se l’immaginario fantascientifico si potesse applicare ad un luogo a me familiare. Ero a Milano non da moltissimo tempo all’epoca, da cinque o sei anni; quindi era ancora un luogo che non conoscevo bene e mi piaceva immaginarlo come un posto diverso, in una chiave fantascientifica appunto.

Nel 2002, per Einaudi, è arrivato il secondo romanzo fantascientifico, “Eva“. Lì facevo un passo in una direzione un un po’ differente, nel senso che l’ambientazione è sempre milanese, ma, avendo alle spalle un po’ di anni di scrittura e una professionalità diversa, diciamo che è ancora più accentuato l’immaginario urbano ed è costruito in modo più complesso.  Ho cercato anche di prendere un po’ più le distanze dai modelli anglofoni, che sono quelli che conosco meglio,  legati al cyberpunk.

Avrai i miei occhi” (2020, Zona 42) nasce come un sequel di “Eva“, perché ritroviamo lo stesso investigatore ed alcuni personaggi si ripetono, anche se la storia è completamente diversa e può senz’altro essere letta come uno stand alone. Peraltro adesso Zona 42 ristamperà “Eva”, che uscirà alla fine di Febbraio, in una nuova edizione, con un po’ di corollari, questo per renderlo più accessibile, in quanto la prima edizione è uscita tempo fa.  L’idea è questa: di proseguire quanto cominciato. Anche il romanzo nuovo si muove in questa direzione: costruire un immaginario urbano fantascientifico, ma italiano, non preso a prestito da altre nazioni: una bella sfida!

2) Qual è il suo personale rapporto con la città?

E’ senza dubbio molto contraddittorio. Io vengo da un posto di mare e da una città piccola, dove ho vissuto fino ai diciotto anni, perché poi mi sono spostata per andare all’università. In seguito sono stata all’estero. Insomma, alla fine, Milano è stato il luogo in cui ho vissuto più a lungo e in modo permanente e all’inizio è stato molto complicato.

Milano si “sforza” tanto di non essere accogliente, ha un atteggiamento da nobildonna un po’ schizzinosa.

Quindi, all’inizio, ho fatto davvero tanta fatica e nello stesso tempo ne sono rimasta affascinata. Credo che Milano abbia una dimensione europea, che senza dubbio altre città d’Italia non hanno. E questa internazionalità, soprattutto se si viene dalla provincia, si esprime nel fatto che ci si sente molto liberi. Nel bene e nel male, è vero, a Milano puoi essere invisibile: il che può essere liberatorio, ma può anche essere molto difficile da accettare, a seconda dei momenti della vita.

Cuore meticcio - exlibris20

Per cui, questo rapporto di amore e odio è andato avanti praticamente fino a metà degli anni 90′. Adesso vivo qui e sento che non potrei farne a meno. Certo, ho anche voglia di stare un po’ fuori da Milano a volte, soprattutto in questo momento, in cui purtroppo non ci possiamo muovere molto (ride). Però, nel tempo ho capito che in effetti Milano è una presenza non eliminabile. Ultimamente tra l’altro ho riscoperto un piacere che avevo già da tempo: quello di passeggiare per le vie della città.

Con il lock down e le lezioni on line, da casa  – io infatti insegno Letteratura inglese all’Università – la necessità di muovermi mi ha spinto a dedicarmi a queste grandi camminate dentro Milano e devo dire che a piedi vedi delle cose davvero inaspettate e sorprendenti.

Mi è sempre piaciuta tanto questa cosa “psico geografica” di girare a piedi senza una meta precisa.

Adesso mi piace particolarmente. E’ una città bellissima da vedere a piedi, peccato che nessuno la guarda mai a piedi. Sono tutti di corsa e rimbalzano da un mezzo di trasporto all’altro. A piedi puoi davvero recuperare la natura estetica di questa città, la bellezza di questa città che è ignorata da molti.

3) Milano città fantasma, come da lei descritta, attraverso luoghi irriconoscibili rispetto a ciò che erano, richiama inevitabilmente l’isolamento e lo svuotamento delle vie, delle piazze e delle strade, che i cittadini hanno vissuto durante la pandemia.

Come ha vissuto personalmente questo periodo? Come legge Avrai i miei occhi in relazione a tale avvenimento?

Beh si verifica una situazione paradossale, che probabilmente capita a tanti scrittori, perché l’ho sentito dire anche da altri: cioè quella di vedere realizzato in qualche modo ciò che scrivi. A me è capitato anche spesso, ma non credo vi sia nulla di profetico (ride). Probabilmente le cose sono nell’aria, e magari è proprio l’avere una sensibilità particolare a far sì che tu possa coglierle. Tu scrivi la storia e, in qualche modo, la realtà risponde.

Non voglio dire che la città della pandemia sia la città di “Avrai i miei occhi” – il romanzo è stato scritto prima che tutto ciò accadesse – però, in qualche modo la rievoca.

Ricordo che i primi mesi del lockdown, quando davvero si trattava di un lockdown totale, io uscivo la mattina col cane – la nostra ora d’aria –  ed era davvero surreale, ma anche bellissimo. Ad esempio la stazione centrale, un luogo estremamente caotico, era deserto. Non si sentiva il rumore delle macchine. Non c’era nessuno in giro ed era cambiata la stessa percezione dei colori e degli odori, nel senso che, essendo l’aria più pulita, aveva un altro sapore. I colori erano molto più vividi. 

La sensazione era di essere in un altro posto, come se la città fosse diventata un’altra persona.

Come se la persona un po’ stracciata, impolverata, sempre di corsa, che ho imparato a conoscere negli anni,  fosse invece lavata di fresco, insomma, fosse diventata una cosa nuova.

Quanto al come io abbia vissuto la pandemia, beh, ci sono state due fasi distinte e differenti, a Milano, a penso che questo sia successo ovunque. La prima ondata secondo me ha determinato effettivamente una coesione della comunità, una riscoperta collettiva di cosa fossero che cose più importanti. Per cui uscendo, in molti, non tutti – alcuni si sono riscoperti completamente incoscienti – ci siamo riscoperti più attenti. A Milano è un fenomeno molto più visibile perché prima non sorrideva nessuno quando ti incrociava, potevi essere davvero invisibile per gli altri. La prima ondata ha comportato lo sviluppo di un maggiore senso di comunità.

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La seconda no, è stata decisamente diversa, perché la comunità si è stancata e i governanti non sono riusciti a dare il buon esempio, a seguito di troppi errori. Si è verificato un affaticamento da pandemia, pandemic fatigue, come dicono gli esperti, che su Milano si è riflesso sullo spazio urbano, nel senso di una minore cura verso uno spazio, che forse adesso viene visto più come una prigione che una dimensione da poter vivere liberamente.

Per cui la prima parte di questa vicenda non l’ho vissuta male; mi sono anche inventata dei modi per conservare il rapporto coi ragazzi, con gli studenti, che penso siano l’elemento più importante della mia professionalità. La seconda parte la vedo un po’ più complicata. Penso che siamo stanchi tutti. La confusione regna sovrana, purtroppo.

4) Tema portante del romanzo è quello della frammentazione e della suddivisione labirintica della realtà: dalla città, divisa in zone, incompleta,  ai corpi parziali ritrovati dal detective. Anche il punto di vista  dei due protagonisti Nigredo e Olivia, guidatrice di un taxi, narratrice e guida empatica del detective,  è suddiviso, complementare, come una piccola parte di un grande puzzle. 

Cosa l’ ha spinta a scegliere questo tipo di narrazione, per certi versi ellittica, ma anche profondamente interconnessa?  

Per vari motivi secondo me. I personaggi che mi piaceva indagare, i personaggi principali, Nigredo ed Olivia – e  c’è stato un passaggio di voce dal primo romanzo Eva, in cui il narratore era Nigredo, al secondo, “Avrai i miei occhi”, in cui lo sguardo dominante è quello di Olivia – sono tutti e due personaggi isolati, soli, per motivi differenti. Sono frammenti, monadi, in una comunità che poi scopriamo essere anch’essa trasformata in un universo monadico. Tutto ciò si collega alla distopia.

Per me la realtà distopica più terrorizzante è proprio quella della frammentazione.

Una frammentazione della comunità che non è soltanto estremamente dolorosa per chi la abita, ma che è anche lo strumento per ogni forma dittatoriale.

In “Avrai i miei occhi” si capisce che Milano è stata punita per qualcosa che ha fatto.

La punizione è stata appunto la riduzione di una comunità urbana in una serie di frammenti  che non possono comunicare l’uno con l’altro. Una contraddizione che radicalizza i contrasti.  E’ un po’ quello che sta succedendo oggi, la direzione in cui stiamo andando purtroppo. La conseguenza di questa contingenza economica è proprio la radicalizzazione delle differenze…

Ritornando alla distopia di “Avrai i miei occhi”, beh non so se la frattura si rinsalderà, lo scoprirò strada facendo, nel sequel che ho da poco cominciato a scrivere…

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5) Il corpo femminile e la sua aberrante violazione (attraverso molteplici forme) compaiono spesso nel romanzo, addirittura, in pieno stile distopico, il commercio di corpi femminili (sintetici e reali), ma anche della sofferenza legata a questi corpi, diventa un nuovo terribile mezzo di sostentamento della società del futuro, attraverso un busisness a dir poco sadico che fa leva sull’empatia e su doti precognitive di alcuni umani “speciali” rispetto ad altri . 

Cosa rappresenta in questo romanzo il corpo femminile per lei? Che legame ha con la Milano distopica descritta? 

E’ il nodo concettuale centrale. Avrai i miei occhi è nato per questo, poi, certo si evoluto anche verso altre direzioni. Il tema centrale era ragionare sul motivo per cui ci sono così tanti femminicidi e così tante violenze nei confronti delle donne e capire come funziona la mente di questi uomini che prima uccidono e torturano, e poi dicono che quello era un atto d’amore.

Raccontano spesso con piena convinzione che non si è trattato di odio, né di raptus di gelosia, ma di violenze giustificate. Ho studiato questi temi e dall’analisi del fenomeno del femminicidio è emerso che il principio non è poi così diverso da quello applicato con sadismo nei Lager.

Nicoletta Vallorani - Avrai i miei occhi - Inkroci Magazine

Nel senso che tu, essere umano riesci ad esercitare forme di violenza brutali, terribili nei confronti di un’altra creatura vivente, se ti convinci che quella creatura non è degna, che è meno che umana e, ancora peggio, è una cosa, è un oggetto. Questo concetto sta alla base delle analisi sulle violenze contro le donne, sulla tortura, sulle violenze contro i migranti: la concezione per cui chi esercita violenza si ponga come un essere superiore rispetto a chi la violenza la subisce, che è declassato, invece, ad una condizione subumana, non umana, appunto.

Nel caso della donna, vi è la degradazione ad una cosa.

La metamorfosi in una cosa bella, estetica, da mostrare in giro. Mi sono chiesta come trasporre in un romanzo questo concetto della reificazione del corpo di donna ed è così che è nato l’immaginario di “Avrai i miei occhi”.  

6) Il Pittore è un personaggio affascinante ed enigmatico del libro: un artista, in grado di ricucire i pezzi e di trasformare il dolore suo e degli altri in arte, per conferirgli un nuovo significato 

L’arte, la scrittura, la creazione possono essere antidoti contro il dolore secondo lei? Che valore assumono in Avrai i miei occhi?

Sì, assolutamente.

La bellezza è sempre un antidoto ed è quella che ci manca spesso.

Questa è la mia concezione generale. In questo caso specifico, in “Avrai i miei occhi”, la figura del Pittore è modellata su un mio carissimo amico, che se ne andato qualche anno fa. Un meraviglioso artista che ho conosciuto dopo aver pubblicato “Eva”. Lui mi contattò e mi chiese di scrivere i testi per il suo catalogo.

Dopodiché mi portò in questo capannone, dove c’è ancora il suo studio, ed io sono rimasta folgorata dalle sue creazioni. Le reazioni di Olivia dinnanzi ai quadri del Pittore in “Avrai i miei occhi” sono le stesse che ho avuto io davanti alle sue opere, nella realtà.

 

@ladigetto

Affreschi giganteschi che raccontavano storie in una narrazione per niente concettuale, al contrario, fortemente narrativa. Una persona che ho conosciuto per caso, un grande maestro, molto capace di spiegare le cose. Abbiamo fatto lunghissime conversazioni sul valore dell’arte e sulla rilevanza di un’arte che sia in grado di raccontare e di consolare.

Io ho imparato tanto emotivamente, come si possa usare l’ispirazione artistica per raccontare in modo bello anche le cose brutte. Il lavoro dell’artista suicida, di cui si parla nel romanzo, è un quadro vero, che gli appartiene. I suoi lavori mi hanno tanto turbata e tanto colpita. Purtroppo non ha potuto leggere l’ultima stesura di questo romanzo.

8) La qualità del romanzo lo ha portato ad essere stato selezionato al Campiello 2020, evento raro per un romanzo di fantascienza. 

Come pensa sia valutata la fantascienza in Italia? 

Male. Oggi c’è una situazione un po’ schizofrenica, perché, in genere è sempre stata valutata come un genere inferiore rispetto ad altri, però, adesso, al livello internazionale è un po’ il momento della distopia, per cui tante case editrici che non fanno fantascienza stanno pubblicando distopie (a volte con esiti terribili). Spesso vanno a cercare in realtà non tra gli autori di fantascienza, ma tra scrittori che, magari, di fantascienza non ne hanno mai letta.  In ogni caso, secondo me è rivoluzionaria questa cosa.

Per quanto riguarda “Avrai i miei occhi” e il Premio Campiello, beh essere selezionati è stato fantastico. Pensavo fosse uno scherzo quando me lo hanno detto (ride) e ha un grande significato: evidenzia che la qualità del romanzo ha riscosso il plauso nella Giuria dei lettori. Ha colpito il fatto che una storia distopica potesse accedere ad un premio letterario di così grande fama nazionale.

Adesso è la volta del passo successivo, che ci considerino alla stregua degli altri romanzi. Detto ciò, una donna, che ha scritto un romanzo di fantascienza, selezionato al Campiello, ecco, è davvero qualcosa di rivoluzionario e sono felice che “Avrai i miei occhi” sia stato protagonista in questo.

9) Alcuni dei suoi romanzi sono stati pubblicati anche in Francia da Gallimard.

Cosa può dirci di queste esperienze? Che idea si è fatta del panorama editoriale francese? 

E’ stata una bella esperienza. Anche perché l’editoria francese funziona in modo diverso. Perché loro non si limitano a pubblicare un romanzo, ma fanno una vera e propria attività professionale. Tu, autore, sei invitato a partecipare ad incontri e fiere, anche se non sei un bestseller.

Ti accompagnano nell’uscita del libro in modo che qui in Italia è piuttosto insolito, in un modo che fa Zona 42, ma che fa anche Gallimard, la casa editrice con cui ho pubblicato i miei noir. Sono stata in giro tantissimo, ho incontrato molte celebrità. C’è un’idea differente anche nel fare meno gerarchie tra autori, per cui, qui in Italia si manda in tour un autore noto. Un autore non noto non lo metti accanto ad un bestseller.

In Francia questa cosa non c’è, perché l’ambiente culturale è diverso, più coeso e più legato ad una promozione della cultura e della lettura, non intesa come qualcosa d’elite, ma come qualcosa di accessibile a tutti. Lavorano benissimo poi sulla traduzione. Mi hanno più volte contattato, per i miei libri, per chiedermi quali fossero i termini e le espressioni più opportune.

10) Nei ringraziamenti finali di “Avrai i miei occhi”, cita alcune delle sue amiche scrittrici che hanno scelto di fare fantascienza.

Pensa che le scrittrici siano ancora penalizzate a volte rispetto agli scrittori, oggi?

Sì, è un dato di fatto. Certo, meno che in passato. Oggi poi c’è un bel momento di coesione, che sta portando molti editor non necessariamente antifemminili, ma un po’ distratti, a prendere atto della presenza femminile.

Secondo me la cosa che noi dovremmo cercare di incrementare, come suggerisce la dedica, è la coesione. Dovremmo essere un po’ più unite, perché insieme si cambiano le cose. Se poi la prima che riesce a pubblicare un romanzo bene, prende le distanze da tutte le altre, invece di portarle con se, non si va da nessuna parte.

Ci vuole più inclusione. Prima c’era di più questo, oggi molto meno. Io ricordo la mia esperienza al Club city, il fandom fantascientifico milanese, un vero e proprio laboratorio di idee, in cui si parlava, ci si scambiavano i racconti. Dato che per ragioni anagrafiche sono la più grande di tutte costoro, io veramente vorrei fare qualcosa per creare un minimo di rete che colleghi le nuove scrittrici di fantascienza. Si tratta quindi di una dedica affettiva, ma anche un invito ad essere più collegate.

Francesco Bellia