Intervista a Marco Ligabue: i primi 30 anni in musica e il primo libro

“Tra Via Emilia e blue jeans” è l’album che segna un momento cruciale di Marco Ligabue. In questo 2020 che passerà alla storia per la pandemia, il cantautore emiliano ha raggiunto due traguardi personali molto importanti: i suoi primi 50 anni d’età e i suoi primi 30 anni di musica.

Un record decisivo e importante per un’artista che negli anni ha saputo rinnovarsi fino a decidere di scommettere sulla propria voce con ottimi risultati.

In occasione dell’uscita di “Tra Via Emilia e blue jeans”, il progetto discografico – raccolta delle sue canzoni più celebri, abbiamo intervistato Marco Ligabue.

Era un giorno di lockdown come un altro e, tra solarità e confessioni a cuor leggero, Marco Ligabue si è raccontato.

Il 2020 è un anno di anniversari per te: festeggi i tuoi primi 50 anni d’età e i 30 anni di attività artistica. Un bilancio di vita?

È un peccato festeggiarlo in un anno strano come questo ma il bilancio è molto bello perché in cinquant’anni sono riuscito a realizzare tantissime cose. Soprattutto grazie alla musica mi son potuto buttare in mille progetti. Ho potuto seguire all’inizio Luciano e in seguito iniziare il mio percorso artistico molto variegato fatto di band rock n’roll, band italiane e degli ultimi otto anni da cantautore.

E qual è il tuo bilancio musicalmente?

Musicalmente credo di essere andato di pari passo con quello che mi capitava nella vita. Ho avuto tre fasi con la musica. La prima con una band ed è stata una fase goliardica, eravamo un po’ i Blues Brothers di Coreggio. Andava di pari passo con i miei 20-30 in cui volevo divertirmi, fare tardi per i locali e conoscere ragazze.

Verso i 30 anni ho avuto esigenze artistiche diverse, ho iniziato a scrivere molte canzoni e ho messo in piedi il progetto Rio. È stato emozionante fare questo mio primo viaggio in dieci anni con questa band dato che le mie prime canzoni hanno cominciato a girare in radio, siamo andati al Festivalbar. Abbiamo iniziato a fare i primi passi nella grande musica italiana.

Scoccati i 40 anni tra l’esser diventato papà e sentirmi pure più ometto, ho sentito il bisogno di vestire i panni del cantautore e li è stato dove forse sono esploso completamente perché mettermi in prima linea mi ha permesso di abbracciare tantissimi progetti.

A fine ottobre hai pubblicato “Tra Via Emilia e blue jeans”, album raccolta dei brani più significativi dei tuoi primi 30 anni di musica. Perché questo titolo?

Era difficile raccontare con una parola, quindi ho trovato questa chiave “Tra Via Emilia e blue jeans” perché io mi sento proprio emiliano come carattere, come DNA e per mille altri aspetti. In più ho questa vena rock’n roll/punk che la parola blue jeans ben descrive.

Com’è avvenuta la scelta delle canzoni presenti nel disco?

La scelta è stata soffertissima perché volevo fare un album compatto anche perché quando scrivi e pubblichi delle canzoni, sei affezionato a tutte e ci tieni allo stesso modo. Ho cercato però di inserire delle canzoni che rappresentavano dei momenti cruciali per me e tra le più cantate ai miei concerti.

Vi sono così undici tracce che rappresentano in modo completo e compatto chi sono stato e poi mi sono divertito ad inserire nel cd sei tracce nascoste che si possono trovare oltre la undicesima dove lì ci sono delle sorprese.

Il singolo estratto dal disco e rilasciato il 6 novembre è “Tra Via Emilia e Blue Jeans” racconta la tua vita. Volgendo lo sguardo al passato, c’è qualcosa che avresti voluto fare e che non hai fatto?

In cinquant’anni tutte le voglie me le sono tolte. Un piccolo rimpianto è che mi sarebbe piaciuto fare il liceo invece dell’Istituto tecnico perché rimango ammaliato quando sento parlare le persone che hanno frequentato il liceo classico.

Trent’anni di musica e tantissime canzoni. Ci sono delle canzoni che avresti voluto fossero conosciute o scoperte?

Questa è una bella domanda! (n.d.r. ride). Ci sono due o tre brani che avrei voluto avessero una visibilità maggiore ma solo per motivi sentimentali. Mi riferisco a “Casomai”, la canzone scritta per Piermario Morosini che era un amico e ci aveva lasciato da poco. L’altro brano è “Il silenzio è d’oro” legato ad una storia di legalità, tema scomodo e non popolare ma la musica avrebbe potuto aiutare.

Da quando la pandemia ha invaso le nostre vite, abitudini e progetti sono stati modificati. E tu come ti stai rapportando?

Sono uno innamorato dei live tanto chene ho fatti 600 negli ultimi otto anni. Quest’anno è il primo che sono rimasto a casa però ho cercato di riversare tutta la mia creatività e indole artistica nello scrivere canzoni. Ho scritto qualche inedito che ha preso parte alla raccolta, sistemato qualche arrangiamento, mantenuto il rapporto con i fan sui social con dirette.

È arrivata anche una sorpresa: durante questa pandemia ho scritto il mio primo libro. Mai avrei pensato potesse accadere. L’ho finito qualche settimana fa, l’ha già letto un editore ed uscirà il prossimo anno.

Non puoi svelarmi altro?

Sono un insieme di racconti che toccano alcuni lati sia della mia vita intima sia della mia vita artistica.

Nella canzone “La differenza” canti dell’importanza di rialzarsi. Ad oggi c’è un treno che hai preso, un treno passato ma non preso e un treno che vorrai prendere?

Il treno preso è stato quando ho deciso di lanciarmi come cantautore perché è stata una rinascita artistia per me davvero importante. Il treno passato non preso è difficile dirtelo, forse non aver frequentato il liceo classico. Il treno che vorrei prendere, invece, anche nell’ultimo scompartimento è riuscire a suonare all’Arena di Verona.

In “Vado a caso” canti che ti mancano i Queen. Musicalmente cos’altro ti manca e cosa invece apprezzi?

La cosa che mi piace di più della musica oggi è che c’è molta più libertà nelle parole. Oggi sento dei testi più variegati rispetto a qualche anno fa.

Non mi piace quando si seguono le mode come adesso va di moda il rap e la trap e allora tutti ascoltano questi generi.

Cosa consiglieresti ai ragazzi che vogliono fare musica?

Secondo me è importante fare dei percorsi. Gli drei di non farsi ammaliare da un talent in tv o da qualche milione di visualizzazione su YouTube. A volte passa il messaggio che per fare il musicista bastano queste cose. In realtà bisogna fare un percorso: dal suonare uno strumento, scrivere una canzone, cantare su un palco.

Sei stato per anni chitarrista fino a quando hai deciso di metterti in gioco con la tua voce. Cosa è per te il coraggio?

Per me il coraggio è molto importante (n.d.r. sorride). L’ho scoperto quando nel 2015 mi è toccato aprire il concerto di Caparezza di fronte a sessantamila persone. Per me un’occasione incredibile. Dopo aver fatto i primi pezzi, ho ricevuto fischi e critiche dal pubblico. E allora quella vocina chiamata coraggio mi ha dato modo di dire che avrei continuato a cantare altri quattro pezzi, che avrebbero dovuto ascoltarmi e solo dopo fischiarmi o tutto il resto. Dopo quel discorso, il pubblico mi ha ascoltato e io ho imparato che grazie al coraggio riesci ad uscire anche dalle situazioni più complicate.

Sei molto attivo sui social. Cosa ti fa paura?

Essendo padre di una ragazza di tredici anni, la paura è legata al fatto che dietro un falso profilo possano nascondersi malintenzionati. È la mia prima paura come persona.

Come persona, la cosa che non mi fa impazzire è che ci sono le estremizzazioni. Si creano sempre delle fazioni su ogni argomento. Queste estremizzazioni non ci fanno migliorare secondo me.

Dai social traspare la tua solarità e allegria. Come affronti la tristezza?

Da vero emiliano anche di fronte la tristezza cerco di non farmi abbattere e di trovare soluzioni o di lottare per trasformare la tristezza in serenità.

Ultima domanda: cosa c’è in ballo nei prossimi mesi?

Farò in modo di far conoscere al meglio questo nuovo progetto discografico e dal prossimo anno energie su questa nuova avventura che è il mio primo libro.

Sandy Sciuto