Dopo quasi due anni dall’ultimo album “Montecalvario”, Livio Cori torna a farci battere il cuore. Anticipato da 5 brani pubblicati ogni due settimane tra settembre e ottobre, il 27 Novembre è uscito “Femmena”. Contiene in totale dieci tracce che segnano un punto di incontro tra l’R’n’B e la tradizione cantautorale di Napoli e in ognuna di esse esplora i suoi rapporti con varie figure femminili. Esprime sentimenti sia positivi che negativi ma sempre con consapevolezza, considerazione e rispetto. Si passa dal racconto di risvolti leggeri legati a flirt passeggeri fino a brani più profondi e struggenti che parlano di veri e propri amori sofferti.
Leggete un po’ cosa ci ha raccontato…
Ciao Livio. Innanzitutto come stai? Come stai vivendo questo secondo lookdown?
Mi mancano i live, incontrare la mia gente, ma sto bene. Con la musica riesco a compensare, mi distraggo abbastanza.
Prima una parte nella serie televisiva “Gomorra” dove hai contribuito con la canzone “Surdat” nel 2017, nel 2018 hai pubblicato l’album “Montecalvario” e ancora c’è stata la tua partecipazione a Sanremo. Senza dubbio una tappa fondamentale per la tua crescita artistica; cosa ti porti dietro da quell’esperienza?
Sono due eventi che hanno cambiato tutto. Gomorra mi ha messo su una piattaforma più grande, è una serie mondiale. Sanremo invece è una consacrazione a livello nazionale. Entrambe mi hanno dato molta consapevolezza a livello artistico, perché mi hanno fatto capire che posso fare di questa passione una cosa full time, seriamente. Ti insegnano tanto. In particolare, Sanremo è una scuola di vita che dura una settimana ma da cui inevitabilmente esci cambiato e cresciuto; con Nino d’Angelo poi… mi ha dato un supporto immane.
Dalle tue canzoni emerge un forte legame con Napoli e la sua cultura. Non a caso scegli di cantare in napoletano. Hai mai pensato che questa scelta, per quanto coerente, possa limitarti con il pubblico e renderti famoso solo nella tua terra?
Forse limitante nel panorama italiano per una questione di comprensione della lingua. Melodicamente la lingua napoletana ti apre un mondo diverso, che con quella italiana non puoi raggiungere. Non abbandonerei mai il mio dialetto, come non l’ha fatto nemmeno Pino Daniele che ha avuto una fama internazionale. E’ più facile che l’Italia impari il napoletano che io smetta di cantare così.
Cos’è per te la musica in tre aggettivi? E quali sono le tue influenze musicali?
Terapeutica. Distruttiva, nel senso buono del termine, inteso come un qualcosa che ne vale la pena se riesce realmente. E passionale, perché la vivo con molta passione e perché mi permette di esprimere i miei sentimenti. Riesco ad essere passionale attraverso la musica.
Quanto ai cantanti che mi influenzano sono tantissimi perché ascolto molta musica. Quest’anno ho ascoltato a ripetizione il disco di “The Weekend” che è un artista completo, oppure “Drake” e i vari esponenti dell’R’n’B americani. Ascolto tante cose, oggi forse ciò che mi ispira di più è il panorama urban oltreoceano.
Il 27 è uscito l’album “Femmena”. Come mai la scelta di far uscire in anteprima cinque brani ogni due settimane tra settembre e ottobre?
L’industria musicale oggi va tanto veloce e le cose finiscono molto in fretta. Perdi tanto tempo a produrre il disco e pochissimo tempo per passare al prossimo. Volevo rendere giustizia al lavoro compiuto. Ho dato spazio ai primi cinque brani per farli assimilare per poi far uscire l’album completo, ma anche per quelli ci sarà un prosieguo per valorizzarli.
Tra gli ospiti vocali: Enzo Dong, Nicola Siciliano, Peppe Soks, Giaime e Sofi De La Torre. Come sono nate queste collaborazioni? E con quale altro artista vorresti collaborare?
Di base sono nate tutte con un’amicizia. Enzo Dong lo conosco da anni, siamo stati amici prima che colleghi e il pezzo rappresenta un pò i nostri incontri, che sono sempre stati abbastanza movimentati ed estremi. Nicola Siciliano ho avuto modo di conoscerlo lo scorso anno, poi per stima reciproca abbiamo deciso di fare un pezzo solo nostro. “Femmena” si avvicina tanto al suo stile musicale, quindi è stato perfetto.
Peppe Soks mi ha sempre detto di voler fare R’n’B, e gli ho proposto un brano che lo rappresenta a pieno. Giaime l’ho conosciuto a Milano e collaborare è stato super. C’è da sempre stata una sintonia particolare. Kina poi è un colosso: a soli 21 anni ha fatto un disco di platino in America, partendo da Acerra. Scoprii durante il nostro primo incontro che gli piaceva e conosceva Sofi e così ci siamo uniti per il pezzo.
In Italia mi piacerebbe tanto collaborare con Mahmood. Potrebbe uscire qualcosa di interessante.
Nei dieci brani esplori i rapporti con varie figure femminili che ti hanno segnato e per cui hai sofferto. Parlarne attraverso le tue canzoni ti ha aiutato o come si suol dire ancora “adda passa”?
A volte mi ha ucciso di più nel momento in cui le ho scritte. Ma la musica è terapeutica. Scrivere quello che accade, mettere nero su bianco e guardarlo da fuori aiuta. Ti libera e stai meglio!
Sembra la trama di un amore finito male, ma a cui si crede ancora. Che messaggio vuoi mandare?
In realtà non voglio mandare un messaggio. Io racconto esperienze e il messaggio lo trova chi mi ascolta e la sente personale. Mi libero di un peso raccontandomi.
I brani sono tutti tuoi. Non ti spaventa che tramite le tue canzoni conoscono la tua vita personale?
Devo ancora rilevare tanto. E’ poco nitido tutto quanto. Più vado avanti e più racconto dettagli. Credo sia più interessante per l’ascoltatore aspettare e continuare a sentire. Ma non mi spaventa, anzi, mi libera.
C’è un brano a cui sei legato particolarmente?
E’ difficile. E’ come chiedere “vuoi più bene a mamma o papà?”. Non ho una preferenza, cambio idea ogni giorno. Attualmente “Crereme” e “Vulesse”, ma perché le ho scritte con le lacrime, nel pieno della sofferenza. E’ una ferita ancora aperta, che non si è ancora assorbita.
Hai nel cassetto ancora sogni da realizzare? Dove e come ti vedi tra dieci anni?
Mica uno!!! Vorrei uscire fuori dall’Italia e parlare a più gente possibile. Vorrei poter fare musica in giro per il mondo, ragion per cui non mi fermo mai nella produzione. Tra dieci anni, spero di essere più bravo al pianoforte, e spero di realizzarmi come uomo prima che come artista. Perché a volte essere tale fa dimenticare il mondo che ci circonda.