Troppi italiani a Londra, l’Inghilterra minaccia

Mentre l’Europa è occupata a fronteggiare l’emergenza immigrazione proveniente da tutte le parti dell’Africa e del Medio Oriente, anche il Regno Unito è occupato in una vera lotta all’immigrazione, ma sul fronte interno europeo. A quanto pare David Cameron non è entusiasta dell’ormai capillare fenomeno della “fuga di cervelli“. “Paradossalmente – ha comunicato il premier inglese – non abbiamo tanti immigrati da Romania e Bulgaria, ma un numero altissimo di italiani, francesi e spagnoli”. La soluzione a questa problematica si tradurrebbe in un referendum per uscire dall’Unione Europea.

L’ultimo referendum, quello dell’indipendenza della Scozia, è stato vinto e Cameron si era mostrato soddisfatto di essere andato a letto primo ministro inglese ed essersi svegliato il giorno dopo ancora premier. “Siamo franchi: l’UE non sta lavorando adeguatamente per noi. Quella della Scozia era una questione strappacuore. Restare nell’UE è una questione di pragmatismo”. In poche parole, gli inglesi vogliono dare sfoggio della loro singolarità all’interno della comunità europea perché loro c’hanno la sterlina!

Camerun ha promesso un referendum nel 2017 permettendo così ai cittadini britannici di decidere se rimanere o uscire dalla Comunità Europea. Ma questo sarà possibile solo se i Tories, ovvero i conservatori che fanno capo a Cameron, vinceranno anche le prossime elezioni. I bersagli di Camerun sono soprattutto gli “euroburocrati”, a cui il premier inglese chiede maggiori libertà dai vincoli europei, e soprattutto gli elettori di centrodestra che hanno votato il partito euroscettico Ukip che ha ottenuto notevoli successi alle europee.

Purtroppo la “fuga di cervelli” è un fenomeno di cui in Italia si sente parlare molto spesso negli ultimi anni e spesso i giovani che vanno all’estero non hanno intenzione di ritornare in patria. Secondo i dati ufficiali dell’Aire (Anagrafe Italiani Residenti Estero), il numero di espatriati fra i 20 e i 40 anni è pari a 35 453 (luglio 2013) ma sono stimati essere anche quasi 70 000 visto che molti, pur espatriando mantengono la residenza in Italia. Molti giovani italiani, in Inghilterra, lavorano ai piani alti della finanza e della moda, mentre in Italia tali posizioni possono essere raggiunte solo dopo i 40 anni. Non solo: da pochi mesi Londra è stata annoverata fra le città straniere con più italiani.

Sembra proprio che il signor Camerun si alteri perché le nostre menti vengono in Inghilterra… Stando alle statistiche aggiornate del 2010 dell’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), il Regno Unito occupava soltanto il 7° posto nella classifica delle mete ambite dai giovani laureati italiani, dopo Stati Uniti, Francia, Germania, Canada, Svizzera e Australia, seguito poi dal Spagna, Polonia, Irlanda e perfino Grecia e Giappone. Col tempo il Regno Unito, insieme agli Stati Uniti, sono diventati gli stati più gettonati soprattutto dai neolaureati maschi. Chi invece ha conseguito un’istruzione inferiore, preferisce di gran lunga Germania, Spagna o Svizzera. Australia e Canada sono invece mete ormai poco favorite, che ospitano soprattutto italiani più anziani, migrati durante l’immediato secondo dopoguerra (tutto questo stando ai dati Istat, 2013).

Inoltre, sempre secondo l’Ocse, l’Italia riscuote un pessimo successo ad attirare laureati dal resto d’Europa poiché solo il 10% dei migranti è laureato. Sebbene tale percentuale sia piuttosto bassa, l’Italia rientra a tutti gli effetti  fra quegli stati che, tutto sommato, non perde menti laureate fra il numero di espatri e di immigrazioni.

Ad oggi sono state effettuate, per gioia del ministro Cameron, diverse, ma spesso azzardate e difficoltose, manovre per impedire questa “fuga di cervelli” dall’Italia, sin dal Governo Letta. Ultimamente, nel 2014, il ministro Giannini ha firmato un bando che ha concesso ben 24 contratti per ricercatori. Inoltre, un obiettivo che si è prefissato il MIUR alla luce di questa massiccia migrazione è la garanzia di un cambio generazionale dei docenti, promuovendo così l’attività dei ricercatori universitari.