Enrico Maria Salerno, l’attore che recitava per se stesso

“Io resto sempre con Diderot e mai con Stanislavkij: non credete agli attori che parlano di emozioni mediatiche. È solo un mestiere e neanche dei più nobili, visto che cerca di rendere vero il falso”

Un’affermazione che può far discutere in quanto ribalta l’imprimatur dettato dall’Actors Studio circa il metodo di recitazione e di per sé impegnativa ma sempre presente nel DNA di un uomo coraggioso, dalla forte personalità che ha vissuto il suo tempo vestendo e dismettendo i tanti panni di un attore per trasformarsi in un altro a modo suo. E il suo stile personale, trova alla fine un corpo e un’anima da cui emerge un volto sconosciuto al grande pubblico che però si manifesta in quell’occasione.

21 settembre 1957: in scena Lydia, un’incantevole Luisella Boni, ragazza frivola ma di buon gusto estetico non ha occhi che per quel bel tomo del tenente Wickam, un affascinante ufficiale dell’esercito di sua Maestà, però furbetto e arrivista. Pur in un ruolo marginale, al di là delle gradevoli fattezze spicca il piglio espressivo dell’ormai affermato attore di prosa Enrico Maria Salerno opportunamente inserito nel sontuoso cast dello sceneggiato televisivo “Orgoglio e pregiudizio”, roba di gran classe con primi attori incontrastati Franco Volpi e Virna Lisi e degni comprimari Elsa Merlini e Sergio Tofano.

Proprio quest’ultimo era stato il regista di una commedia di Feydeau: “Occupati d’Amelia” nella quale il ventitreenne attore milanese aveva debuttato in teatro alla fine degli anni quaranta. Comincia così una lunga, gratificante e intensa attività artistica teatrale nella quale egli diretto dal fior fiore dei registi quali Orazio Costa, Giorgio Strehler, Gianni Santuccio, Franco Enriquez, Edmo Fenoglio, Franco Zeffirelli, Giancarlo Sbragia e talvolta da lui stesso, interpreta uno dopo l’altro personaggi fuoriusciti dalla penna di Eschilo, Plauto, Shakespeare, Cechov, Dostoevskij, Ibsen, Moliere, Cocteau, Alfieri, Pirandello, Eduardo, Garinei e Giovannini. Tutti famosi protagonisti di opere classiche, dei libri di storia, di tante commedie, dei romanzi capisaldi della letteratura mondiale e delle pagine degli autori contemporanei di grande prestigio: Agamennone, Oreste e Anfitrione poi Saul, Danton, Il Cid e il procuratore Katzmann di “Sacco e Vanzetti”, alternati da Otello, Dimitri Karamazov, Ivanov e Liolà, inframezzati da spettri e fantasmi, allietati da Viola, violino e viola d’amore e rappresentati dai protagonisti di drammi urbani esistenziali: l’alcolista George  di ”Chi ha paura di Virginia Woolf” e l’anonimo Willy Loman di “Morte di un commesso viaggiatore” del 1993.

Qui Enrico Maria Salerno abbandona la scena teatrale ma nel frattempo si era divertito a frequentare alternativamente i set cinematografici e gli studi televisivi con immutato profitto e lusinghieri successi di pubblico e anche di critica. In punta di piedi nel 1952 esordisce sul grande schermo battezzato da Luigi Comencini e man mano che s’impadronisce del mestiere mostra le sue grandi capacità recitative. Nei panni del contorto e codino marito della conturbante farmacista Belinda Lee in “La lunga notte del 43” di Florestano Vancini, fornisce nel 1960 la sua prima grande prova interpretativa e dopo aver girato una cospicua sequenza di film mitologici con la non trascurabile parentesi di ”Era notte a Roma” di Roberto Rossellini, brilla di luce propria accanto alla magnifica Gina Lollobrigida di “La bellezza di Ippolita”. A metà di quegli anni fantasmagorici e fracassoni nel film “L’ombrellone”, riesce benissimo a dare un suo tocco personale interpretando l’infastidito ingegnere che nella sudaticcia atmosfera dell’incombente Ferragosto va a trovare la moglie in vacanza a Riccione, una prorompente Sandro Milo, smaniosa di avventure e novità proposte da quel nuovo contesto sociale. Nel rifacimento cinematografico di una commedia di Diego Fabbri ancora con la regia di Comencini gira “La bugiarda”, dove a suo agio nei panni del maturo amante della fresca Catherine Spaak, inanella un’altra notevole performance cinematografica. E in quel periodo di creativa e febbrile attività dietro la macchina da presa, l’instancabile Enrico sfodera una miriade di personaggi riconoscibili ma diversi, caratterizzati però da un unico comune denominatore: il gusto della sfida alla vita sempre in bilico tra vivacità intellettiva e difficoltà di rapporti quotidiani. Psicanalista d’assalto in” Casanova 70″; disilluso giornalista di “Le stagioni del nostro amore”; disinvolto amante nel torbido triangolo amoroso de “L’estate”; composto automobilista rispettoso della donna in un episodio di “Le fate”; santone e monaco eremita di “L’armata Brancaleone”; uomo preistorico esperto in seduzione de “L’amore attraverso i secoli”, vendicativo pistolero in ”Bandidos”; intrepido maresciallo della Folgore di “La battaglia di El Alamein”, timido ragioniere torinese in cerca di compagnia di “Vedo Nudo”; solerte colonnello papalino de “L’anno del signore”, sobrio e tempestivo  commissario in “L’uccello dalle piume di cristallo “; gaudente religioso di “La contestazione generale”; facoltoso e vizioso professore della medicina de “Il corpo della ragassa”; ignaro marito dell’effervescente Monica Vitti di “Amori miei” e spregiudicato uomo d’affari ne “Il volpone” del 1988, sono titoli da sottolineare assieme a quelli minori poiché ben recitati anche se prevalentemente a carattere poliziesco. Inoltre il fervido e intraprendente Salerno cura la regia di: “Anonimo veneziano 1970;” Cari genitori 1973 e di “Eutanasia di un amore 1978. Ciliegine sulla torta del talento per via di una voce straordinaria dal tono caldo e avvolgente, restano alcuni memorabili doppiaggi: Clint Eastwood nei western di Sergio Leone in primis.

In televisione oltre il già citato sceneggiato di Daniele D’Anza, cui segue con protagonista femminile Anna Maria Guarnieri:” Umiliati e offesi”, il versatile Enrico Maria fa epoca nella storia dell’ente di stato per la superba interpretazione di un altro grande sceneggiato:” Mastro don Gesualdo”, tratto liberamente dal romanzo di Giovanni Verga. Dopodiché indefesso animatore dello spettacolo italiano del tempo si misura in altre riuscite rappresentazioni che abbracciano diverse tematiche, spiccano per nuovi scenari e propongono variazioni sul tema: dall’avveniristica originalità de “I figli di Medea”, si passa alla commedia leggera di” La famiglia Benvenuti” dalla paradossale realtà del surreale: “Così è se vi pare” si va al drammone impegnativo di “Antigone”; dalla tragedia annunciata di” Romeo e Giulietta”, si raggiunge l’epos di “Sigfrido”, fino a tributare onore al nobile gesto di “Salvo D’acquisto”. Il cerchio si chiude con gli inevitabili spruzzi dell’intramontabile classicismo e qui prendono la scena “Antonio e Cleopatra”; “Le troiane”  e “Macbeth”.

Enrico Maria Salerno scompare il 28 febbraio 1994 e siccome ha interpretato di tutto e di più chissà se in quell’angolo di paradiso riservato agli attori indimenticabili non gli venga in mente di allestire, alla stregua di una recita scolastica, con un cast adeguato al suo tempo, uno spettacolo da offrire a tutt’altra specie di spettatori per dimostrare ancora una volta quanto quelli della sua generazione abbiano imparato e tanto il mestiere diventando bravi, rimanendo umili e scoprendosi soprattutto coraggiosi. Senza questa qualità l’arte della recitazione diventa un puro esercizio accademico.

Vincenzo Filippo Bumbica