Dino Risi: l’intelligente leggerezza di un maestro cinematografico per caso

Era un uomo colto, raffinato, creativo, ancora presente a sé stesso nonostante che fosse, a suo dire inopinatamente, giunto alla soglia della maturità avanzata conservando ancora l’aspetto gradevole del viveur d’altri tempi: qualunque età avesse ne mostrava almeno venti di meno, vuoi per la fluente criniera bianca e il fisico asciutto e curato, sia per l’incontenibile voglia di soddisfare le sue passioni, per scoprire di quale materia fossero fatti i suoi sogni. Si esprimeva con il tipico intercalare della sua lingua tagliente che modulava una voce sgranata quasi arrochita dai vizi e nobilitata dalla vezzosa erre francese.

Dino Risi, a quel tempo rimasto l’ultimo signore del cinema, a ottantasette anni si è seduto davanti alla sua vecchia Lettera 32 per scrivere un libro, dove ripercorre avanti e indietro il suo cammino da Milano a Roma, intrecciando i mille fili della sua vita allegramente disordinata, colpevolmente esasperata e a volte profondamente insensata. Un’esistenza al limite che lo ha condotto a incontrare mostri insospettabili, effettuare azzardati sorpassi e a trasformare tali personaggi in protagonisti delle sue storie. In fondo attraverso questi racconti esce fuori anche un suo inedito ritratto: il comportamento molto sospettoso nei confronti dell’ambiente non era che un modo come un altro di nascondere la sua tenera rudezza. Con i  suoi modi garbati ma essenziali  Dino preferiva sembrare più venale che vanitoso e l’ispido personaggio pubblico, nel privato si trasformava in una persona dolcissima. Del suo romanticismo intelligente, tra le tante sue donne se ne accorsero in poche poiché non era il tipo da facili smancerie e questa arguta leggerezza senza rivendicazioni sentimentali caratterizzò la natura dei suoi rapporti umani ben al di là dello stretto necessario.

La sua aneddotica svariava dagli anni Trenta in poi ed era centrata sempre su almeno un episodio significativo e così descriveva minuziosamente persone, momenti e luoghi sia che fosse il suo apprendistato da psichiatra all’ospedale di Voghera o l’amore con Alida Valli sul set di Piccolo mondo antico (1941), con annessa la folle gelosia di Mario Soldati per l’apprendista psichiatra assunto come assistente alla regia e che, dopo aver abbandonato la professione medica, aveva già assistito anche Alberto Lattuada.

Quel tipo tosto, deciso e con le idee chiare che in seguito a quella scelta sarebbe diventato uno dei padri della” commedia all’italiana”, era nato a Milano il 23 dicembre del 1916 a pochi mesi di distanza di un altro illustre maestro di tale genere Mario Monicelli. Già autore di originali cortometraggi, esordì nella regia con Vacanze con il gangster (1952): cominciò così il suo lungo e fondamentale percorso saltellando tra materie generi e costumi col risultato finale di una filmografia di prim’ordine, i suoi inconfondibili personaggi, descritti mirabilmente dalle penne di grandi sceneggiatori, appariranno di volta in volta sullo schermo interpretati da grandi artisti: la sarcastica signorina milanese Franca Valeri, assoluta protagonista di “Il segno di venere”(1955), suo malgrado specchietto per le allodole che permette agli uomini di corteggiare la cugina “bona” impersonata da una straripante Sofia Loren in un contesto dove appaiono i primi segnali di emancipazione femminile; i due bellimbusti Renato Salvatori e Maurizio Arena fidanzati designati  di Lorella De Luca e Alessandra Panaro che fanno l’occhietto alla ruggente Marisa Allasio sullo sfondo della Roma popolare di “Poveri ma belli”(1955); il gigione maresciallo Vittorio De Sica costretto ad ancheggiare un mambo con la sensualissima Loren sul lungomare sorrentino di “Pane amore e..”, sempre nel medesimo  anno; l’incontenibile gaglioffo Vittorio Gassman, geniale truffatore nel film “Il mattatore” che in combutta con l’imbrillantinato compare Peppino De Filippo compie impunito tutta una serie di incredibili furti.

Nello stesso periodo Risi ottenne grande successo di pubblico anche con i film meno popolari e più pretenziosi come “Il vedovo” (1959) seguito da” Una vita difficile” (1961), entrambi magistralmente interpretati da uno straordinario Alberto Sordi. Dapprima l’attore rende più che verosimile l’incapacità negli affari di un marito fedifrago che finisce per essere vittima di sé stesso e dei suoi progetti azzardati mandati in fumo dalla ricca moglie, la fantastica Franca Valeri, che alla fine sarà causa anche della sua nemesi; mentre nell’altro il poliedrico artista romano in versione drammatica svela nei minimi particolari l’evidente fragilità di un incorruttibile idealista che per riconquistare la moglie, l’intensa Lea Massari, cede agli intrallazzi del potente, salvo poi riscattarsi ai suoi occhi schiaffeggiandolo davanti a tutti. Ma Dino che per i suoi disegni mentali era in cerca del suo attore totem lo trovò quasi per caso: Vittorio Gassman in tutta la sua baldanza e finta sicumera divenne l’uomo adatto per una simbiosi ludica e professionale. I due infatti troveranno spesso l’occasione fornita da qualsiasi pretesto per contendersi le grazie delle più belle donne del momento e nel frattempo di divertirsi girando stupendi film. Questa massiccia dose di convivenza e connivenza li catapulta a firmare insieme un capolavoro: “Il sorpasso”, un vero e proprio successo per entrambi che prende lo spunto da una vicenda divertente e grottesca con un finale però a tinte fosche. Un cinico ritratto sociale che illustra il boom economico italiano degli anni sessanta: quelli del grande sogno. Abbigliato da una modesta maglietta estiva e connotato da una faccia da schiaffi, un immaturo quarantenne senza arte né parte certo Bruno Cortona (Vittorio Gassman), guida spericolato la sua strombazzante spider catechizzando nel frattempo un giovane e timido studentello, tale Roberto Mariani (Jean Luis Trintignant) imbarcato per caso. Tra i vari paesaggi di un viaggio senza meta, spicca quello simbolico della spiaggia toscana affollata a ferragosto dove impazzano le note sparate da un gracchiante juke- box e ballano il twist diverse generazioni. Il film sarà poi considerato un vero e proprio cult per la sorprendente intuizione sociologica e pungente critica di costume del regista, offrendo altresì un affresco impietoso dei molti vizi e delle poche virtù nostrane. Risi non rinuncerà mai a bloccare le incredibili trasformazioni artistiche del suo attore feticcio proiettandolo definitivamente nel novero delle più espressive maschere italiane: ecco a stretto giro di posta “Il gaucho” (1964) con Amedeo Nazzari; Il tigre (1967), provocato da Ann Margret e rabbonito da Eleanor Parker; “Il profeta” (1968) con ancora la prorompente attrice svedese. Il loro splendido ciclo si concluse virtualmente con il drammatico tono esistenziale di Profumo di donna (1974). Tratto da un romanzo di Giovanni Arpino il film narra della dedizione angelica di una limpida fanciulla Agostina Belli nei confronti di un disilluso e pessimista capitano in congedo permanente, assistito da un perspicace attendente: il povero Alessandro Momo. Un trionfo che si meritò anche il remake” Scent of woman” interpretato da Al Pacino.

Negli altri film, pur con risultati alterni, il regista meneghino dimostrò notevole versatilità, spaziando dal registro satirico (I mostri, 1963; Straziami ma di baci saziami, 1968) a quello drammatico (Anima persa, 1977; La stanza del vescovo, 1977; Caro papà, 1979). In seguito si è dedicato alla fiction televisiva (e la vita continua, 1984; Carla, 1989; La ciociara, 1989; Missione d’amore, 1993; Le ragazze di Miss Italia, 2002). Insignito nel 2002 del Leone d’oro alla carriera, nel 2004 ha pubblicato l’autobiografia I miei mostri e nello stesso anno è stato nominato cavaliere di Gran Croce della Repubblica Italiana. Tra i suoi lavori più recenti vanno citati la pellicola cinematografica Giovani e belli (1996) e il documentario Rudolf Nureyev alla Scala (con il figlio Claudio Risi 2005)

Dino Risi se ne è andato il giorno 7 giugno 2008 all’età di novantuno anni: la morte ha avuto i suoi occhi concedendo l’agognato riposo a un uomo sofferente e a noi rimane il suo indelebile ricordo perché ha rappresentato un’epoca cinematografica attraversando il tempo con i suoi personaggi e riempiendo lo spazio con la sua regia. Ci piace perciò immaginarlo lassù, a rivivere questa volta altri meritevoli suoi titoli: un Giovedì come tanti d’estate in spiaggia sotto L’ombrellone a cercare sollievo contemplando con lo sguardo qualche procace ninfetta tipo la Catherine Spaak del Sorpasso con sottofondo musicale anni sessanta: se no che mondo migliore sarebbe?

Vincenzo Filippo Bumbica