Coco Avant Chanel: come sprecare il talento

Coco Avant Chanel (2009) di Anne Fontaine.
La produzione presenta il film con lo slogan “Anne Fontaine interpreta Coco Chanel nelle sue tensioni d’arte e di vita, svelando le relazioni che regolavano l’ordine sociale nell’Europa del Primo Novecento”. Nulla di più falso.


Fa quasi rabbia vedere sprecati tante energie, tanto talento (fotografia, musica, costumi, scenografie da applauso) tanto denaro (se ne è speso molto e si vede) per un film oltremodo deludente e che non rende onore a una grande donna che ha segnato il secolo scorso.

Buona l’idea di raccontarne la storia partendo dalla fanciullezza e fermandosi al primo trionfo…
Buona se ci avessero mostrato le sue difficoltà di imporsi, di far valere le proprie idee rivoluzionarie, di sottolineare le difficoltà che sicuramente dovette incontrare in una società conservatrice e bigotta.
Buona se fosse stato un inno al coraggio femminile, alla sua dignità, alla sua forza.
Buona se il tutto fosse stato anche un affresco d’epoca, un ritratto di un mondo che si stava trasformando e su cui incombeva la grande guerra che avrebbe cambiato radicalmente usi e costumi…

Nulla di tutto questo nel film. Nessun riferimento, nessun allaccio all’epoca, alle sue caratteristiche, alle sue problematiche. Abbiamo semplicemente le disavventure amorose  di una ragazza di provincia che tenta la scalata nel gran mondo, storia vista e rivista mille volte: per narrarle c’era bisogno di scomodare la grande Coco?
Una donna la cui affermazione si dovette certamente, oltre che al talento, a una personalità particolare e anticonformista, a un fascino insolito e prorompente…
Cose che in Coco Avant Chanel non appaiono. Non appaiono per colpa di una sceneggiatura banale e superficiale quanto mai. Non appaiono a causa di una regia senza inventiva e senza un guizzo di fantasia. Non appaiono soprattutto per la scelta di un’interprete sbagliata. Audrey Tautou fortunatamente fa a meno delle mossette e delle leziosità che avevano caratterizzato il tanto (inspiegabilmente) apprezzato Amelie, ma “non buca” lo schermo, non riempie la scena, non è in grado di sostenere un intero film sulle sue spalle. Non ha il fisico del ruolo (nei costumi che indossa non è anticonformista ma ridicola), non ha il carisma che giustifichi il suo attrarre chiunque l’avvicini (uomini e donne), il suo trionfare in una società in cui dovette apparire come un’aliena (ah, se avessero scelto Juliette Binoche!).

Tra gli interpreti ritroviamo una delle migliori attrici di oggi, la grande Emmanuelle Devos (la magnifica protagonista di La Donna di Gilles e Sulle Mie Labbra) in un ruolo simpatico ma troppo marginale.
Marie Gillain è brava ma le è stato affidato un personaggio non molto consistente.
Bravissimo e convincente Benoît Poelvoorde.
Relegato nella parte ormai consueta di bel tenebroso alla Rodolfo Valentino, Alessandro Nivola.

Quasi due ore di noia e di scarso coinvolgimento per una storia degna (forse) di una soap-opera poco originale ma che non vale il prezzo del biglietto.
L’ultima scena è molto bella e cinematograficamente efficace: ma dieci minuti ben realizzati non ne possono riscattare 100 di melassa.

In definitiva, faccio mio il lapidario giudizio di Repubblica: “Deplorevole esempio di come rendere priva di interesse la storia di una personalità invece molto interessante”.

redazione