Balzac’s Coffee, DaVinci’s Ristorante: il nuovo gioco di incastri di Mark Axelrod

Piccoli mattoncini colorati dalle svariate dimensioni che ci permettevano di costruire i castelli, le strade e le macchine della nostra fantasia. Chi non si ricorda il gioco del Lego? Una precisa arte combinatoria e costruttivistica che ha creato le forme – concretamente – della nostra infanzia.

Balzac’s Coffee, DaVinci’s Ristorante di Mark Axelrod è una grottesca, saporita parodia di quel gioco del Lego al quadrato o al cubo che sono divenute, da molti decenni, la letteratura e in genere l’arte contemporanea; quel post-post-postmoderno che cerca tutte le combinazioni, sorprese, autonegazioni, accoppiamenti possibili, in un gioco in cui spesso la presunzione distrugge ogni inventiva giocosità.

Ad oggi quell’infinita – e prima – Avanguardia che scardinò tutti i paradigmi precedenti, creando una nuova forma dalla distruzione della stessa, arrovellandosi su cosa fosse la velocità, il progresso, il movimento, l’energia, è stata sublimata da un’infinita serie di nuove avanguardiucce, le cui spocchiosità fanno le veci della – ahimè – dimenticata dignità artistica. Quella nuova umanità liberata, sognata e inseguita dalla grande rivoluzione dei linguaggi, un’umanità ulissiaca e messianica pur nelle sue espressioni infere, non è arrivata, e la seconda o altre ulteriori avanguardie, superficiali e provocatorie in ritardo, sono ritornate all’ordine, come è fin troppo facile vedere oggi.

Oggi tutto è arte, e di conseguenza viene da pensare allora che non lo sia più niente. La cosiddetta “vaporizzazione dell’arte” – citando Yves Michaud – ha fatto sì che si possa mettere sullo stesso piano La Primavera di Botticelli (anche se non sappiamo, in realtà, chi l’abbia creata), e l’ultimo modello di una sedia di design. Andare contro a rigidi classismi, a volte, non è sempre un bene; non è sempre scontato che l’omologazione porti all’innalzamento, spesso – purtroppo – livella il tutto alla mediocrità.

Il post-postmoderno spesso basa il suo potere su una tautologia, proclamando a priori un valore che è ancora da dimostrare. La presunzione di essere arte per il solo motivo di esistere ha come unica forma di resistenza e contraltare la satira, che, esasperando il kitsch, la sua presunzione e la sua stupidità, lo fa svaporare nel suo nulla.
Ed è proprio questa l’arma vincente di Mark Axelrod e il suo libro Balzac’s Coffee, DaVinci’s Ristorante, opera ironica e bizzarra.

Professore di Letteratura comparata alla Chapman University in California, Direttore del John Fowles Center di Scrittura creativa, Axelrod è un vigoroso e prolifico autore di poesia e di critica, di sceneggiature e di fiction, tra cui, Cloud Castel («Castelli di nuvole») e Cardboard Castel («Castelli di cartone»).
Il suo è un libro alla cui base vige la contraddizione; con stile tagliente l’autore ha rimescolato come un mazzo di carte – o ricostruito, come dei mattoncini Lego – le vicende e le personalità dei grandi scrittori del passato. Tali personaggi danno nome a Caffè, Brasserie, profumi, alberghi, motel, società per affari, imprese, specialità cibarie; una gustosa parodia delle parodie volgari e supponenti, una forma di resistenza alla trivialità e alla pacchiana dissacrazione.

Personaggi e vicende di celebri capolavori si mescolano ai loro autori, si passa da un’epoca all’altra come da una stanza all’altra, si parla una lingua e si risponde con un’altra.
Poemi, maestri, mostri sacri, imbroglioni sulla passerella di un luna park e poi smontati come un Lego e rimessi nella scatola.

Questo il libro Balzac’s Coffee, DaVinci’s Ristorante di Mark Axelrod e la sua dissacrante – ma un po’ meritata – parodia.