100 anni di quel “friccico ner core” di Nino Manfredi

L’anno scorso è toccato ad Alberto Sordi, quest’anno a Nino Manfredi, anzi quest’oggi: insomma, due centenari abbastanza ravvicinati per due interpreti d’una romanità divenuta italiana, ma oggi sepolta, come la nobile commedia cui diedero vita mostri sacri come loro due.

Nino Manfredi
Kelle Terre

La critica italiana, quando s’accorse (ahimè tardi!) della bravura di entrambi, ma anche di Gassman, Tognazzi e Mastroianni, ed attribuì a tutti loro la definizione di “colonnelli”, per riconoscerne dignità artistica tanto quanto alle loro pellicole, era stata già anticipata da quella francese, per citarne una.

Intanto lo scorso sabato è andato in onda su Rai 1 un degno omaggio all’artista, ancor più sentito se pensiamo che il regista è suo figlio: “In arte Nino” di Luca Manfredi, film realizzato nel 2017 per raccontare anche la storia di un padre, attraverso la nobile interpretazione di un altro “mostro sacro” della recitazione in Italia, il giovane e maturo Elio Germano.

Iscrittosi alla facoltà di giurisprudenza senza troppa convinzione, Manfredi dimostrò tutto il suo talento all’Accademia d’Arte Drammatica di Roma, con vittoria di una meritevole borsa di studio.

Non solo attore, il nostro Saturnino di Castro dei Volsci fu anche cantante, conduttore, doppiatore, regista, sceneggiatore, e non solo comico: la sua maschera, dalla recitazione straniata e brechtiana, gli assicurava una patina tragica, che lo rendeva sempre portavoce di quelle figure umili lasciate ai margini di tutto.

Nino Manfredi
Quinlan.it

Infatti, ripeteva di continuo: “Il mio modello è sempre stato Chaplin: e Charlot è di tutto il mondo”.

Anche Nino, però, raccontando l’Italia all’estero con “Il gaucho” del ’64, è riuscito pian piano non solo a far breccia nel cuore del popolo italiano, ma anche a conquistare chi era emigrato e continuava con nostalgia ad anelare il ritorno.

Quanto è attuale ancora oggi un film così, quanto potrebbe farci riflettere e sensibilizzare sulla questione degli sbarchi, ricordandoci che se si emigra è per necessità.

Nino ha saputo dunque vedere oltre e in avanti, grazie all’apporto dei migliori registi del cinema italiano, come Risi, Scola e Comencini.

Nino Manfredi
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In “Vedo nudo”, commedia ad episodi degli anni Sessanta, fu prevista la degenerazione della perversione dei tempi odierni ;

“Pane e cioccolata” (1974) è un film sempre attuale sull’immigrazione, mentre “C’eravamo tanto amati” (stesso anno) è l’immortale capolavoro scolano, che ha dimostrato come una lezione di storia ed una di cinema possano fondersi nel segno di un racconto di amicizia e disillusioni di ideali.

Comencini diceva che era l’unico attore al mondo in grado di parlare con un pezzo di legno, infatti lo volle per il suo “Pinocchio” televisivo, di successo poi anche al cinema, nel ruolo di Geppetto.

Nino Manfredi
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Con semplicità, ha saputo dunque dar voce a quegli umani sentimenti che si misurano nel senso civico, spesso schiacciati da ingiustizie sociali.

Personaggi che non si arrendono mai, tant’è che la sua carriera, non sempre brillante, ha poi avuto modo di trionfare meritatamente, portando a casa Nastri, Grolle, Globi, David.

Sui social è divenuta un meme ormai la scena di “Grandi Magazzini” (1986) in cui, nei panni di un artista in crisi tutto ubriaco, si dà alla pubblicità dopo una carriera (s)finita.

È un po’ la sintesi della realtà odierna, in cui “tanto pe campa, pe’ fa quarche cosa”, si è disposti a tutto.

Nino Manfredi
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Non dimentichiamoci anche l’interpretazione di spessore di Manfredi nel crudo e drammatico “Il giocattolo” di Giuliano Montaldo, abile documentarista del nostro cinema.

Inoltre, non tutti sanno che la sua ultima interpretazione sia relativa ad un film straniero, “La fine di un mistero” di Hermoso del 2003, uscito nelle sale dopo la sua morte. Che coincidenza, se pensiamo a Troisi cui toccò la stessa sorte con “Il postino”, pellicola che peraltro aveva a che fare con Neruda, mentre questa con Garcìa Lorca, altro grande poeta. Fanno rabbrividire in merito le parole del critico Castellano: “Il suo personaggio riassume quella sofferenza e quella solitudine che, terminate le riprese, avrebbero colpito l’attore, per circa un anno impegnato nella sua lotta contro la morte.”

Nino era un attore versatile, sebbene la maggior parte delle pellicole cui ha preso parte siano state comiche.

Tra l’altro, il senso della misura di cui era capace e la sua sobrietà in scena anche quando scherzava, possono essere forse un monito, dal quale partire oggi per riscoprire una pietra miliare della settima arte italiana: “quel friccico ner core” che, “tanto pe’ canta”, aveva intonato la più bella poesia d’amore.

Nino Manfredi
The Vision

Tanti auguri Nino Manfredi, per un centenario da celebrare!

Christian Liguori