“C’eravamo tanto amati” un classico senza tempo da vedere e rivedere

“C’eravamo tanto amati” è uno di quei film senza tempo, uno dei capolavori della storia del cinema universale che non ci si stanca mai di rivedere. Diretto da Ettore Scola nel 1974, la pellicola è anche un documento della storia italiana e ha visto tra i suoi numerosi interpreti maestri di spicco come Vittorio Gassman, Nino Manfredi, Stefano Satta Flores e Stefania Sandrelli.

È incredibile come un film (e pochi ci riescono), nonostante per costituzione sua propria personale una pellicola sia il frutto di una concertazione di idee ed elementi anche diversi ed eterogenei fra di loro, riesca a contenere in 120’ circa tematiche così diverse, legandole però in una maniera incredibile, come la storia, la psicologia, il teatro, la politica.

È un capolavoro di parole ed immagini, considerando anche certe mirabili inquadrature, il cult “C’eravamo tanto amati”, diretto nel 1974 da Ettore Scola, che per l’occasione ha scelto davvero un cast eccezionale. 

Vengono raccontati trent’anni di storia italiana attraverso un originalissimo racconto flashback in bianco e nero (seconda parte del film a colori giustamente e con accortezza, perché riguardante la contemporaneità), dalla Seconda guerra mondiale fino agli anni in cui è stata girata la pellicola stessa, ovvero gli anni Settanta.

Ed efficacemente la storia pubblica, quella che si studia a scuola, viene narrata attraverso una storia privata, collegabile verosimilmente a tante realmente accadute in quegli anni. 

È la vicenda di tre amici (anzi di quattro, considerando anche il mitico personaggio di Luciana, attrice interpretata da una luminosissima in viso Stefania Sandrelli) raccontata da loro medesimi attraverso tecniche narrativo-filmiche che hanno come modello la “nouvelle vague”, cioè parlando al presente dei propri ricordi nel passato stesso degli stessi, che prendono vita grazie alla magica potenza delle loro parole. 

 

Accomunati da simili ideali, complici le sofferenze al fronte (meravigliosa la sequenza della neve) e la solidarietà che vede uniti i tre combattenti, dopo la Liberazione ognuno si dividerà seguendo la propria strada, per poi rincontrarsi e riperdersi, come spesso effettivamente accade nella vita.

Ma l’amicizia è messa in discussione dall’amore, entrambi sinceri, rispettivamente di Manfredi prima e Gassman poi per la bella Sandrelli.

Sebbene sia un po’ scontato il rapido meccanismo che porta all’unione tra Gassman e la Sandrelli, presi da amore a prima vista, i risvolti sono sorprendenti. 

A partire da un immotivato addio di lui, il regista traccerà una parabola discendente della degenerazione psico-morale dell’individuo Gassman, che per arricchirsi decide di soccombere al potere, per poi ottenerlo a sua volta.

E Scola è bravo anche a scavare più a fondo nella psicologia del personaggio gassmaniano rispetto agli altri, e lo fa significativamente, perché deve porre in risalto un comportamento diffuso ma che si discosta profondamente da quegli ideali che tenevano unito il gruppo, e lui stesso a loro, un tempo ancorato ad altri obiettivi. 

E così il regista costruisce anche un film di personaggi, perché sono delineate con precisione le loro vite, merito peraltro anche degli stessi attori, tutti brillanti professionisti. 

Anche l’ormai anziano Aldo Fabrizi si distingue per l’eccezionale ruolo di nostalgico fascista in un’Italia che ancora oggi, purtroppo, sembra non aver per niente dimenticato Mussolini, prestandosi a particolari inneggi della sua figura, inaccettabili oggi come ieri. 

E nell’ambito di quest’efficace denuncia di Scola di un uomo della vecchia guardia come marciume di una società che avanza, anche per colpa sua, lentamente, s’inserisce giustamente anche la caratterizzazione del personaggio di un’ottima Giovanna Ralli, la figlia del ricco fascista, ignorante come lui, più di lui. 

Ma fa tenerezza, perché inconsapevole del ricco vacuo sporco mondo che le fa da sfondo contenitore in cui ci è finita per sbaglio, e da innamorata sincera sposa il personaggio di Gassman, opportunista che non la ama, a parte i suoi soldi. 

Resta pertanto impressa nella mente e nella storia del cinema internazionale la sequenza del dialogo tra Gassman e il fantasma della Ralli, o meglio di Gassman con se stesso, in preda a sensi di colpa che crede non lo tormentino, ma che tenta invano di scacciare: è inevitabile dopo la morte di lei a causa di un incidente stradale approdare ad una propria profonda personale autoanalisi, che se da un lato strapperà una lacrima, non genererà però cambiamenti in lui, che anzi, probabilmente toglierà di mezzo il suocero, ma resterà solo come un sovrano senza sudditi nella grande proprietà di famiglia, abbandonato da tutti, e in conclusione anche dagli amici, che significativamente gli lasceranno la patente fuori la villa, senza aver il coraggio di entrare neanche per un ultimo saluto: è un amaro addio dovuto e voluto, anche da Gassman, che da pessimo amico non ha avuto neanche lui il coraggio di rivelare ai suoi amici di aver tradito la loro fiducia, così come quegli ideali di onestà che li avevano resi uniti durante il conflitto mondiale. 

E a proposito di non unità, è straordinaria l’idea del regista di mettere in scena e in luce le continue divisioni interne che caratterizzavano la sinistra nell’Italia del tempo facendo litigare di continuo Manfredi e Satta Flores, ambedue di quegli ideali, mentre Gassman, che cerca verso la fine invano (non lo odono loro mentre discutono animatamente) di dirgli di essere lui stesso il loro nemico con cui semmai doversela prendere, è effettivamente il lampante “exemplum” dell’uomo anti-ideali, se non per uno solo: il denaro (che ideale non è). 

Spesso nel corso della pellicola emergono la tenerezza, la semplicità, la bontà del personaggio più buono di tutti nel film, il portantino ignorantello ma onesto, interpretato da Nino Manfredi. E poi c’è il simpaticissimo e intelligentissimo maestro campano interpretato da Stefano Satta Flores, la cui vicenda è in parte ambientata a Nocera Inferiore, per cui è significativa la sua giusta accusa durante un cineforum ad individui filo-democristiani che, effettivamente, negli anni Quaranta e Cinquanta ignoravano (o meglio fingevano di ignorare per mere ragioni politiche) le potenzialità di film neorealisti come “Ladri di biciclette”, aspramente criticato all’epoca:

“Nocera è Inferiore perché ha dato i natali ad individui ignoranti e reazionari come voi tre!”

Il povero maestro finirà per comprendere che “volevamo cambiare il mondo, ma il mondo ha cambiato a noi”, quando prenderà tristemente coscienza dell’irrealizzazzione dei propri ideali rivoluzionari in un’epoca difficile, ma colpisce il tentativo pedagogico del regista che, come un invito, fa riflettere sull’importanza di una disciplina come la storia del cinema, che ancora non si insegna, per giunta all’interno di un capolavoro della cinematografia universale, che addirittura è diventato oggi una delle pietre miliari del cinema di tutti i tempi!                                                    

Ma questo film non valorizza solo il cinema, prende in considerazione positivamente anche l’arte del teatro, tracciando quasi sin da subito l’equazione vita=teatro, un binomio indissolubile che trova il suo acme già nella sequenza di un dialogo iniziale tra la Sandrelli e Manfredi dopo la visione di uno spettacolo, generando subito meraviglia dopo pochi minuti di un film che non annoia mai, anzi, sorprende per la quasi totale assenza di difetti!

Valutazione: Capolavoro

Christian Liguori