“Suburra la serie”: il miglior debutto del made in Italy su Netflix

Il debutto della prima serie Made in Italy sulla piattaforma streaming di Netflix non poteva essere dei migliori. “Suburra la serie”, infatti, supera tutte le aspettative riposte, andando oltre le polemiche che l’hanno etichettata come la serie – riassunto di “Romanzo Criminale” e “Gomorra”.

È il primo grande progetto italiano per Netflix composto da dieci episodi di circa 50 minuti ciascuno diretti da tre bravi registi italiani e contemporanei quali Michele Placido, Andrea Molaioli e Giuseppe Capotondi, prodotto da Cattleya in collaborazione con Rai Fiction e presente sulla piattaforma Netflix dal 6 ottobre 2017. La serie è il prequel di “Suburra”, il film del 2015 diretto da Stefano Sollima e si ispira al romanzo omonimo di Giancarlo De Cataldo e Carlo Bonini.

Ambientata nella Roma del Febbraio 2008, la trama prevalentemente racconta il sistema di corruzione e la malavita romana tra Stato, Chiesa e famiglie criminali, snodandosi attraverso gli intrecci delle vite di Aureliano Adami (Alessandro Borghi), Spadino (Giacomo Ferrara) e Lele (Eduardo Valdarnini) che, accomunati da un ecclesiastico, proveranno a far gruppo contro le egemonie e gli ordini delle loro famiglie, non senza una violenza aggressiva e spietata, contrasti, rivelazioni e morti inevitabili.

Cosa piace di più della serie è che guardandola tutta d’un fiato non ci si rende conto che gli episodi sono stati diretti da tre registi diversi. Segno che vi è stato un lavoro meticoloso alla base volto a conoscere tecniche e intenzioni in modo da rendere il racconto più lineare. Apprezzabili sono le scene dei dialoghi tra i tre ragazzi e i primi piani degli sguardi dei protagonisti. Un plauso va ad Arnaldo Catinari che si è occupato della fotografia in modo impeccabile ed intenso. La scelta di mantenere i dialoghi in lingua sinti e in romanesco danno veridicità all’intreccio che risulta molto più realistico.

“Suburra la serie”, però, stupisce soprattutto per la presenza di attori alle prime armi brillanti e capaci, che fanno della serie anche una fucina di nuovi interpreti talentuosi che si spera di vedere in altri film al più presto. Ci riferiamo a Barbara Chichiarelli. L’attrice ha uno sguardo così comunicativo ed evocativo da essere convincente e magnetica. Interpreta Livia Adami, sorella di Aureliano, e riesce perfettamente a rendere la doppia natura del personaggio: da un lato legata al fratello ma dall’altro lato desiderosa di prendere il potere dopo la morte del padre, anche ad un costo alto per i suoi sentimenti. Non da meno Adamo Dionisi nel ruolo di Manfredi Anacleti, capo della famiglia degli zingari. L’attore buca letteralmente lo schermo, domina la scena, è un’esplosione di bravura e cattura tanto che negli ultimi episodi se ne sentirà la mancanza.

Un plauso di certo va anche a Giacomo Ferrara, Eduardo Valdarnini e Claudia Gerini per motivi differenti. Lo Spadino di Giacomo Ferrara è un personaggio con mille sfumature in continuo contrasto: con la famiglia, con sé stesso e con il futuro che lo spetta. Il lavoro di interpretazione fatto da Ferrara è stato importante, ma il risultato è ottimo. Significative le scene in cui Spadino rivendica la sua libertà, rivela i suoi sentimenti e si costringe a diventare padre. Eduardo Valdarnini ha indossato i panni di Lele e gli si deve riconoscere un modo nel raccontarlo unico e impenetrabile. Nessuna critica, solo tanti applausi. Claudia Gerini, infine, nel ruolo di Sara Monaschi è una meravigliosa sorpresa e conferma del cinema italiano. Chiamata stavolta ad interpretare qualcosa di diverso dal solito personaggio da commedia, si è dimostrata all’altezza. Dopo “La Sconosciuta” di Tornatore, non si era vista in altrettanti ruoli drammatici. Un vero peccato a cui “Suburra la serie”, però, ha rimediato. Non convince Filippo Nigro: recitazione piatta seppur il ruolo del politico corrotto è stato scritto molto bene.

Un discorso a parte merita Alessandro Borghi nei panni di Aureliano Adami. Ancora una volta, Borghi dimostra quanto e come sia un attore versatile e camaleontico. Biondo ossigenato con l’atteggiamento di chi non deve chiedere mai e senza paura di uccidere chiunque lo ostacoli, Borghi interpreta un Aureliano Adami bello, dannato e spietato che mostra la sua parte docile e fragile con gli “ultimi” del mondo. Alessandro Borghi non si risparmia. Un’interpretazione in cui dà tutto. Recita con gli occhi, col corpo, con l’atteggiamento. È fondamentale la sua presenza in “Suburra la serie” che è improntata sull’eterna lotta tra famiglie criminali e sulla realizzazione dell’egemonia di Aureliano Adami.

“Suburra la serie”, quindi, è una serie che merita di essere vista per essere un progetto ben congegnato e realizzato del quale lo spettatore apprezzerà la resa delle dinamiche interne alle famiglie e del rapporto tra i tre ragazzi. L’unico difetto, se tale si vuol chiamare, è esportare un prodotto cinematografico italiano in 190 Paesi e fruibile da milioni di abbonati Netflix che ancora una volta racconti la criminalità e la corruzione italiana, come se fossimo in grado di produrre solo quella. Ma ciò è più un discorso di costumi e di strategie commerciali indi chapeau!

Mentre le polemiche e le critiche impazzano sulle somiglianze e le differenze tra “Suburra la serie” e altre due serie che raccontano criminalità organizzata quali “Romanzo criminale” e “Gomorra”, l’unica cosa che conterà per lo spettatore alla fine dell’ultimo episodio – perché è successo anche a noi – è avere la certezza che “Suburra la serie” verrà rinnovata per una seconda stagione. E noi siamo certi che succederà. Deve accadere!

Buona visione

Sandy Sciuto