Il perché del (giusto) successo di Gomorra – La serie

Di Luca Tognocchi per Social Up!

Aumenta l’hype, già alle stelle, per la seconda stagione di Gomorra, dopo che Sky ha rilasciato tre teaser con i personaggi principali e delle loro frasi in background. Il successo di Gomorra è stato sensazionale, giustificato dall’altissima qualità, ma come ben sappiamo successo e qualità non necessariamente sono direttamente proporzionali. Andiamo quindi ad analizzare gli ingredienti che hanno portato la serie di Sollima al successo.


(qui potete vedere i tre teaser in un solo montaggio)

La prima grande differenza fra Gomorra ed il panorama televisivo italiano è sicuramente il format: 12 episodi da 50 minuti, come le grandi serie americane. La narrazione stessa ricorda quella delle lontane sorelle d’oltreoceano: spigliata, rapida, coinvolgente e accattivante. Sollima sa il fatto suo e lo dimostrò già con Romanzo Criminale, nel lontano (in termini di serie tv) 2008. Già raccontando la storia della banda della Magliana aveva dato prova di essere avanti a tutti, in anni in cui non esisteva una serialità italiana, la quale però stenta a decollare ancora oggi. Romanzo Criminale ha segnato un’epoca, i bambini che giravano con le magliette del Freddo e del Libanese non le dimenticherà nessuno, Sollima fu il primo a creare una serie così coinvolgente da diventare un evento sociale: la prima delle cosiddette serie fomento. Nonostante quello fosse un ottimo prodotto aveva dei problemi: prima di tutto risentiva ancora del periodo in cui è stato fatto, in otto anni si è sviluppato un concetto di serialità completamente differente, ma anche alcune sottigliezze le cui correzioni hanno gettato le basi per il successo di Gomorra, che ha oltrepassato anche i confini italiani.

Il primo elemento deriva da una lezione data molto anni fa dal maestro Francis Ford Coppola ne “Il Padrino”: eliminare la trama dei poliziotti. Semplice. In una storia di gangsters è naturale essere affascinati di più dalle loro azioni, il meccanismo di straniamento entra in gioco e ci conduce ad identificarci con personaggi opposti a quelli di tutti i giorni che ci permettono di fuggire dalle convenzioni della società. I poliziotti in questo processo diventano automaticamente noiosi, difensori di una giustizia svuotata del suo senso perché in quei cinquanta minuti non siamo più noi stessi. In Romanzo Criminale la trama del detective Scialoia era infatti la meno interessante e dubito che qualcuno si possa essere veramente appassionato al suo personaggio. In Gomorra non esistono storie di poliziotti, ci si concentra unicamente sui cattivi.

Il secondo elemento è l’universalità della storia: come detto più volte da Saviano, questa è una storia sul potere, in tutte le sue forme e realizzazioni, come ne avvengono in tutto il mondo. Il contesto napoletano dà unicamente realtà e veridicità ulteriore al racconto, lo cala in un contesto che nell’immaginario collettivo rappresenta la criminalità organizzata per antonomasia. Proprio questo solo apparente contrasto fra storia di finzione mai collegata a fatti reali ma in un ambiente reale ha permesso l’universalizzazione del racconto. Il fatto di poter essere vissuta a pieno da chiunque ha permesso alla serie di raggiungere tutta l’Italia. L’unico ostacolo potrebbe essere il napoletano utilizzato in tutti i dialoghi, ma viene superato grazie ai sottotitoli che si possono inserire e al fatto che è il dialetto più conosciuto in Italia, già molto esposto mediaticamente. Anche qui Romanzo Criminale viene superato, forse troppo legato ad alcuni eventi storici ed alla realtà romana, dove a romanità dei personaggi ne diventava un elemento profondamente caratterizzante, esaltando gli abitanti della Capitale ma ostacolando la fruizione degli altri. In Gomorra la “napoletanità” viene ammorbidita, rimanendo presente ma mai infastidendo lo spettatore.

Altro elemento di successo è stata la scelta degli attori. Generalmente le serie italiane si appoggiano su volti già visti e noti che faticano a dare freschezza all’interpretazione, per vari motivi fra cui innegabile scarso impegno degli attori, evidenti lacune di scrittura ed il ricordo che molti attori si portano dietro dei loro vecchi personaggi, magari più famosi. Gomorra ha scelto di presentare solo volti nuovi, tutti molto promettenti, permettendo al pubblico di percepire una maggiore veridicità nei personaggi, come se questi esistessero da sempre, come se Marco d’Amore avesse interpretato Ciro da quando è nato. Le figure di comprovata qualità sono state messe dietro la macchina da presa, alla regia e alla scrittura, sempre sul modello di grandi serie americane.

L’ultimo ingrediente per il successo è il coraggio mostrato dagli sceneggiatori: in una stagione viene raccontato un arco narrativo molto esteso che porta al completo ribaltamento delle storie dei personaggi principali (come per i Savastano padre e figlio o per Ciro), a volte graduale e altre quasi improvviso, dimostrando un’audacia che non ha rivali né pari nel contesto italiano, ma che faticherebbe a trovarne anche in America.

Gomorra è una serie che non può essere che elogiata: a tutti questi fattori “oggettivi” va aggiunta la grandissima qualità generale che ne ha giustamente fatto una serie evento che merita in pieno tutto l’hype che si è creato. Gli effetti di Gomorra sulla gente, come ricordato dai The Jackal, sono innegabili, quindi sta senza pensieri e aspettiamo il 3 Maggio.

 

redazione