Stupro virtuale: una nuova violenza che dilaga sui social

Si chiama stupro virtuale ed è l’ultimo prodotto di una cultura tendenzialmente radicata al maschilismo che non accenna segni d’arresto. La novità, se così può definirsi, dall’estero è sbarcata anche in Italia ed ancora una volta i social network si sono confermati il mezzo di diffusione per eccellenza. Primo tra tutti, sono stati scovati su Facebook dei gruppi segreti popolati prevalentemente da uomini, il cui obiettivo comune e principale sembra essere quello di pubblicare foto di donne per darle in pasto al branco, vuoi per lussuria, vuoi per vanto, o semplicemente per qualche forma di stupida perversione che sembra essersi confermata l’ultima moda del momento: “Cagne in calore” (18mila iscritti), “Seghe e sborrate su mie amiche“, “Zozzoni e Zozzone quasi hot” (7mila iscritti), “Mogli e fidanzate Napoli esibizioniste e troie“, “La esibisco, foto amatoriali e avvistamenti”, “Giovani fighette per porci bavosi” (11mila fan), “Zoccolette deliziose” (20mila membri) e via dicendo. Ce n’è per tutti i gusti, a dimostrazione che la fantasia di certo non scarseggia.

Sulla scia della filosofia del do ut des, chi partecipa a questa pratica si presta a postare e condividere foto di amiche, sorelle, cugine e compagne, spesse volte ignare di quello che sta succedendo. Immagini che, a prescindere dal loro contenuto, non dovrebbero in alcun modo giustificare simili barbarie che, per l’ennesima volta, finiscono per dilagare nel fenomeno conosciuto come “victim blaiming”. Del resto affibbiare la colpa alle donne è diventato ormai quasi scontato. Il tutto accompagnato da commenti estremamente spinti e tutt’altro che delicati, a mo’ di ciliegina sulla torta che, se non fossero già inaccettabili di per sé, provengono da una fetta d’utenza trasversale per quanto riguarda l’età: ci sono ragazzi e adulti, ma anche molti profili appartenenti ad anziani. Potrebbero essere nostri amici, colleghi, vicini di casa o peggio parenti.

Il codice della privacy, all’articolo 167, si occupa del trattamento illecito di dati, affermando che “chiunque al fine di trarne per sé o per altri profitto o di recare ad altri un danno, procede al trattamento di dati personali in violazione di quanto disposto dagli articoli 18, 19, 23, 123, 126 e 130, ovvero in applicazione dell’articolo 129, è punito, se dal fatto deriva nocumento, con la reclusione da sei a diciotto mesi o, se il fatto consiste nella comunicazione o diffusione, con la reclusione da sei a ventiquattro mesi“. Decidere di rivolgersi alla polizia postale si è rivelato quasi frustrante e privo di alcuna utilità, con tanto di inviti a lasciar perdere e a rassegnarsi. Un problema che va oltre la polemica che si è scatenata contro numerosi social network, compreso lo stesso Facebook che tra l’altro pare non abbia mosso un dito in proposito, quasi come se la questione non entrasse nella politica dell’algoritmo.

Ogni giorno assistiamo a quello che si è rivelato essere un vero e proprio processo di oggettivizzazione sessuale delle donne che porta la società a minimizzarle, aggredirle e colpevolizzarle per poi gettare il tutto nel pozzo del dimenticatoio. Indignarsi non basta, con mezzi diversi o con lo stesso linguaggio il comune denominatore non cambia. La violenza resta tale e in qualsiasi forma si manifesti deve essere punita.

Erminia Lorito