Star Wars: Rogue One. La recensione in Anteprima assoluta

Una sorpresa di Natale, per molti versi inaspettata quella di “Rogue One“, il nuovo film della saga di Star Wars. La pellicola, da oggi nelle nostre sale, è in realtà uno spin-off. Un episodio a se stante e autoconclusivo che si colloca a metà tra “La Vendetta dei Sith” e “Una nuova speranza”.

Racconta la storia di Jin Erso, figlia del famoso ingegnere Galan Erso, l’inventore della Morte Nera, un’arma di distruzione di massa, grande quanto un satellite, nuovo acquisto del tirannico Impero galattico. La ragazza, proprio a causa delle sue origini, viene contattata dai Ribelli e si troverà presto coinvolta in una  missione quasi impossibile: recuperare i piani della micidiale arma. In essi, infatti, si nasconde la falla del temibile congegno: l’unica speranza in un’epoca di violenza e sopraffazione.

Concepito come un ponte tra le due trilogie principali il film mostra fin da subito una solidità quasi “spiazzante” che spazza via i dubbi di chi reputava si trattasse soltanto di una trovata commerciale per “allungare il brodo” e aumentare gli incassi al botteghino. Non è questo lo scopo del regista. Il giovane Gareth Edwards (1975), infatti,  si confronta da vicino con il primo Guerre Stellari di George Lucas (di cui questo film è il prequel) e ne raccoglie l’eredità con grande efficacia, soprattutto perché non ne fa un remake (come in larga parte ha fatto J.Abrams con Star Wars 7: il risveglio della Forza), al contrario le citazioni sono più velate e ne viene colto soprattutto lo spirito, lasciando l’iniziativa all’innovazione più che al passato.

In particolar modo è reso benissimo il senso di meraviglia e di “stranezza”,  che lo spettatore prova nel confrontarsi con i paesaggi esotici dei diversi pianeti, rappresentati in questo film con grande immaginazione e creatività (quella che mancava nel settimo episodio), nonché la curiosità divertita dinnanzi ad una galleria di personaggi strani, grotteschi, spesso mostruosi: la varietà di razze che vivono nell’universo ideato da George Lucas.

Riguardo ai numerosi protagonisti. Non uno di loro passa inosservato. Nel breve tempo che aveva a disposizione,(la durata di un solo film) l’autore riesce a caratterizzarli quanto basta da farli interagire tra loro con credibilità. Si passa così dal robot imperiale riprogrammato, caustico e pungente (il più divertente), al capitano dei ribelli cinico e indurito dal proprio passato (Diego Luna), alla protagonista femminile, forte e determinata,  dallo sguardo azzurro e inflessibile, temprato dalle privazioni subite (Felicity Jones), al guerriero cieco che invoca la Forza prima di combattere (Donnie Yen, maestro di arti marziali, famoso per “Ipman”), al capo degli estremisti ribelli, sospettoso verso tutti (il premio oscar Forest Whitacker). Sono definiti e originali. Soprattutto sono interpretati da un gran cast, anche per parti che non sono principali. Spiccano su tutti Mads Mikkelsen (il padre della protagonista) e il bravissimo Ben Mendelshon, il principale cattivo del film, che rende intrigante un ruolo che sarebbe potuto essere altrimenti banale.

Come dicevamo le dinamiche tra i personaggi sono ben curate. Essi non si incontrano “quasi casualmente” come nel “Risveglio della Forza”, ma in seguito ad un intreccio ben congegnato. “Rogue One” è subito credibile nella sua trama e la sceneggiatura di Gareth Edwards è ben scritta. Il contesto in cui si muovono i personaggi è definito e non vago e fragile come quello dell’ultimo Star Wars, probabilmente anche perché incide i solchi già tracciati da George Lucas (che dopo averlo visto, infatti, lo ha pienamente approvato).  Si tratta di un universo in cui i jedi si sono estinti (trucidati da Dart Fener nella Vendetta dei Sith). Un’epoca di aggressività, insicurezza e privazione. Tutti i personaggi sono lo specchio di questa caratteristica. Non è possibile fidarsi di nessuno; anche i Ribelli che contrastano l’Impero sono divisi tra loro. La squadra dei protagonisti è composta da reietti, da gente che ha perso tutto ed è pronta a dare tutto per la causa, anche a commettere omicidi e crimini di ogni genere.

La Forza è sullo sfondo, quasi invisibile come una tenue speranza. Sta nelle preghiere di un guerriero cieco, o in un ciondolo porta fortuna appeso al collo. E’ un ideale in cui sperare, o una fede in cui credere, più che qualcosa di tangibile. L’unica Forza che si può vedere, infatti, non appartiene affatto al Bene, ma al Male e sembra impossibile da distruggere. Una situazione caotica e pericolosa, un po’ come quella descritta dal regista nel suo precedente e originale “Monster”, un road movie di Fantascienza che racconta la storia di due giovani durante un’invasione aliena.

Sulla base di queste premesse Rogue One, che inizia come un film d’avventura (sul genere fantascientifico della “space opera”), diventa nella seconda metà un vero e proprio film di guerra con una dimensione corale:  una “Guerra stellare” per eccellenza. La pellicola assume toni “epici”, senza essere però patetica e gli effetti speciali premiano questa scelta. La tecnologia rende gli scontri  davvero spettacolari, sia quelli nello spazio, sia che quelli nelle fantastiose ambientazioni dei pianeti. Le  dinamiche delle battaglie non sono affatto banali. I velivoli spaziali sullo schermo sono tantissimi, vere e proprie flotte, che vanno e vengono in continuazione utilizzando l’iper-spazio. Le loro manovre stupiscono e stordiscono lo spettatore. Una gioia per gli occhi di chi ama Star Wars per gli scontri stellari, un po’ meno per chi in genere si annoia al cinema durante i combattimenti (l’ultima parte del film può stancare questa seconda tipologia di spettatore).

E’ così che lo spin-off assume una dimensione più seria e meno spensierata. La pellicola si dimostra più  ambiziosa di quanto si potesse pensare all’inizio. Alla fine ci si accorge che  quadra perfettamente con i film precedenti e quelli successivi, senza forzature.

La vera novità è la freschezza portata dal giovane regista, che prende da Star Wars 7 l’elemento migliore, il ritmo veloce della pellicola, ma aggiunge ad esso una creatività che era mancata. Ne esce fuori un’opera che diverte, appassiona e convince. Che stimola grande curiosità per i futuri spin-off, i quali tratteranno altre storie ancora diverse: su Han Solo da giovane (nel 2019) e l’ultimo ancora da definire (forse su Boba Fett), a riprova che l’universo di Star Wars non smette mai di espandersi.

Francesco Bellia