Somatoparafrenia: la sindrome della mano aliena

Il cervello è l’organo più importante e complesso del sistema nervoso, ci consente di percepire, pensare, parlare e muovere, ma talvolta una grave patologia può impedire alcune di queste funzioni. Oggi parleremo della grave quanto interessante Somatoparafrenia: σώμα = corpo, παρα = dietro , φρήν = mente. Cercare di abbottonare la camicia mentre la mano “cattiva” la sbottona, cercare di mangiare mentre l’arto alieno lo impedisce: questi sono solo alcuni esempi di ciò che i pazienti affetti da somatoparafrenia vivono ogni giorno.

Il primo caso fu descritto nel 1908 dal neurologo tedesco Kurt Goldstein, il quale descrisse alcuni casi di pazienti che non erano in grado di controllare il proprio arto superiore. I pazienti somatoparafrenici non hanno il controllo di una mano e ritengono che questa sia completamente estranea al proprio corpo, arrivando ad attribuirla ad un familiare, ad un amico o al medico. Inoltre presentano spesso minori capacità attenzionali, una rappresentazione del corpo alterata e presentano deficit propriocettivi (sono incapaci, quindi, di percepire e riconoscere la posizione del proprio corpo nello spazio e lo stato di contrazione dei propri muscoli). Inoltre quando coloro che assistono il paziente tentano di razionalizzare tale esperienza, il soggetto assume un atteggiamento scontroso, cercando di giustificarsi rispetto alle sue credenze deliranti.

La somatoparafrenia, più comunemente nota con il nome di “sindrome della mano aliena” è un raro disturbo neurologico che, solitamente, insorge in seguito a danni al lobo frontale, importante per il controllo dei movimenti, o al corpo calloso, che collega gli emisferi cerebrali. Il soggetti affetti dalla sindrome mantengono il senso di “proprietà” dell’arto, ma non quello di “controllo”. Più recentemente si è riscontrato che nei pazienti somatoparafrenici sono presenti non solo danni in aree corticali (motorie, sensitive, sensoriali, psicomotorie) ma anche alla sostanza bianca che presiede al collegamento e all’interazione degli stimoli motori, alla sostanza grigia sottocorticale che è il punto di partenza di input motori e, infine, alla parte posteriore della capsula interna (mette in comunicazione telencefalo e diencefalo), tutto localizzato nell’emisfero destro.

Come spiega Costanza Papagno, docente di Psicologia fisiologica presso l’Università di Milano Bicocca, «questi disturbi ci hanno insegnato che nel cervello esiste uno schema corporeo, ovvero una rappresentazione mentale del nostro corpo» e che «alcuni pazienti diventano addirittura aggressivi e tentano di picchiarlo (l’arto alieno NdR) o di liberarsene». Attualmente non esiste una cura per la sindrome della mano aliena, ma i sintomi possono essere ridotti e contenuti mantenendo la mano aliena occupata in un compito. Grazie a tecniche come la stimolazione calorica vestibolare si può ottenere una remissione, seppure temporanea, della sintomatologia (Ronchi et al., 2013).

Tali ricerche fanno supporre che si tratti di un deficit funzionale transitorio, ovvero di un deficit che varia a seconda della lesione neurologica e dalla relativa struttura nervosa colpita, tale da produrre un deficit specifico per quell’area, il quale può scomparire attraverso un’adeguata stimolazione delle componenti associate alla rappresentazione corporea. In conclusione vi è l’esigenza di un approccio che tenga in considerazione le componenti cognitive, neuroanatomiche, psicologiche e motivazionali del soggetto.

Vi lasciamo con un video interessante che mostra uno degli aspetti di questa peculiare Sindrome: il paziente è invitato a ricomporre un puzzle a partire da quattro cubi, ma le due mani vanno in conflitto per il controllo dei pezzi.

Emanuela Punzi