Quando si pensa a Gustav Klimt, l’immagine che appare sul vetro della memoria è un bacio immerso in un groviglio d’oro. Infatti, l’opera per cui è conosciuto dai più è proprio “Il Bacio” grazie, molto probabilmente, al sentimento di unione simbiotica e totale che ispira, a primo impatto, questa immagine e che ha fatto breccia anche nei cuori dei disillusi. Tuttavia, sotto quei riccioli spettinati, Klimt nascondeva le radici di un immaginario ben più ampio e multiforme.
Nato a Vienna il 14 luglio 1862, studiò alla scuola di arti decorative ed ebbe la fortuna di sentir scivolare sulla propria pelle i fervori della Belle Epoque, uno dei momenti più proficui e dannatamente affascinanti per il mondo della cultura e dell’arte. In un primo momento, si dedicò ai lavori di decorazione di palazzi, ville e teatri in cui prevale ancora uno stile accademico. Qualche anno dopo, Klimt e altri 18 artisti sentirono l’esigenza febbrile di inserire nel tempo dell’arte, che era solito seguire la ciclicità delle tradizioni, un nuovo equinozio di primavera che coincise con la nascita, alla fine del XIX secolo, della “Secessione Viennese”. Quest’ultima vide il distaccarsi da parte di architetti e pittori dall’Accademia di belle Arti per farsi spazio in un nuovo gruppo autonomo, animato dal sogno di ricostituire un mondo artistico in cui l’arte non subisca più distinzioni tra “arte elevata” e “arte inferiore”.
La sperimentazione divenne presto la parola d’ordine per queste menti ribelli al punto di inglobare fra i mezzi artistici il vetro,il cemento ed il metallo. L’attrazione per la novità che si respira per i vicoli viennesi profuma di sensualità, una sensualità che si materializza nella figura della donna. Per Klimt, la donna è madre di tutte le sue opere, è un immagine costante che si diverte a vestire e svestire a suo modo. L’artista è stregato dal fascino della “femme fatale”, colei che esercita un completo dominio sull’uomo e che vivrà per sempre nei suoi quadri anche nelle vesti di una sirena. La donna sarà sempre sul trono delle sue opere, a partire dal 1898, con la “Pallade Atena” in cui emergono quegli elementi che si distingueranno sempre nella produzione di Klimt (l’utilizzo dell’oro e la fusione intima tra anatomia e ornamento) fino a “Giuditta I” e “Giudetta II”.
L’artista matura un interesse per la decorazione barocca fino ad arrivare ad una vera e propria adesione simbolista, come è evidente nel “Fregio di Beethoven” (1902) in cui troviamo le allegorie di Impudicizia, Lussuria e Intemperanza. Tra il 1905 e il 1909 nei quadri di Klimt divampano l’oro e la luminosità appresa dai mosaici bizantini. A questo periodo risalgono le opere più conosciute come “Le tre età della donna”, trionfo del legame indissolubile tra nascita e morte, “Danae” dove è evidente il riferimento all’universo onirico freudiano da cui Klimt estrapolava i suoi simboli e “Il Bacio”, in cui inserisce implicitamente l’allusione sessuale attraverso le forme geometriche (il rettangolo per lui e l’ovale per lei).
Come accade nell’animo di ogni uomo, il bisogno di rinnovarsi ancora si fa sempre più nitido e, dopo il viaggio in Francia nel 1909, Klimt abbandona l’oro e decide di dedicarsi al colore. La tela si riempie di tasselli colorati che brulicano intorno ai volti femminili e si incastrano in tutto lo spazio, suggerendo un effetto caleidoscopico come è evidente in “La vergine” dove prende vita ancora una volta il tema insaziabile dell’eros. Le ultime pennellate di Klimt si tingono di colori cupi, l’arte diventa il mondo in cui esprimere e urlare il suo dolore per la morte della madre. Dal 1915 fino alla morte (1917), il colore radioso dei paesaggi e dei ritratti si scioglierà totalmente nella noia della monocromia. Un uomo perfezionista e schivo che ha regalato se stesso all’arte, andando avanti nel suo progetto di vita oltre le critiche e la banalità. Quello che ci rimane di Klimt è una foto in cui ci guarda e sembra quasi parlarci, come se volesse svelarci il segreto della sua genialità che si porta via nell’accenno di un sorriso.