Rosanna Schiaffino, la bellezza sfrontata di un’attrice sottovalutata

Quando il cinema era il luogo dell’incantesimo, risplendevano soprattutto affascinanti presenze femminili: Dee, eroine, regine, principesse e madonne così come avventuriere, popolane, maliarde e streghe di film in costume, mitologici o addirittura fiabeschi, affinché incarnassero i sogni proibiti, i latenti desideri e le irrefrenabili fantasie proprie dell’immaginario collettivo, soprattutto maschile, di quel tempo. Le aveva tutte dalle sue Rosanna Schiaffino per interpretare al meglio siffatti personaggi: un’aura di mistero figlia di un viso esotico adornato da una cascata di capelli color pece su cui spiccavano due perle nere; il disegno di un corpo perfetto animato da attraenti movenze anguillesche e soprattutto il fascino intensamente voluttuoso di chi sottilmente ammalia emanando il profondo e penetrante profumo della seduzione.

Eccola questa bella figlia dell’amor in piena simbiosi con l’esoterico ruolo di Angelica, l’incantevole, sfuggente e volubile principessa pagana del film “Orlando e i paladini di Francia” del 1956. Tre anni dopo, Rosanna impersona la tenera Masha di “Il vendicatore” un film tratto da un romanzo di Alexander Puskin ambientato nel tardo ottocento e nello stesso periodo diventa la procace Nannina di “Ferdinando I° Re di Napoli” dove si ritrovano sul set, circostanza non molto frequente, tutti e tre assieme i fratelli De Filippo. Nel film” Teseo contro il Minotauro”, in modo ambiguo si sdoppia negli opposti ruoli di Fedra e Arianna: nei panni di quest’ultima, innamorata persa del nobile Teseo impegnato nella titanica impresa di uccidere il terribile mostro, alla fine gli dona il filo utile a uscire dall’intricatissimo labirinto cretese e lo lega al suo cuore

Continua la sfilata di figure storiche con l’avventuroso “Lafayette”; seguito dal peplum “Il ratto delle Sabine”, nel quale appare, e come ti sbagli, mostrando le divine fattezze di una Venere contraria alle mire di un tracotante Romolo interpretato da Roger Moore che spalleggiato da Marte (Jean Marais) ordisce e realizza un vero e proprio sequestro di persona in parte giustificato dato che alcune di queste: Mylène Demongeot, Scilla Gabel, Luisa Mattioli e Giorgia Moll, incarnavano beltà  non comuni. Più che a suo agio nell’interpretare il ruolo di donna nella storia, l’attrice ligure preferisce lavorare con produzioni internazionali d’impronta prettamente commerciale. Infatti dopo la capatina risorgimentale di “I briganti italiani “, essa si agghinda nelle vesti di una principessa araba nascosta dai veli nell’epica trama di “Le lunghe navi”; e in rapida sequenza completa quello sfavillante decennio con il trittico” Simon Bolivar”; “El greco” e “L’avventuriero”. Partner d’eccezione rispettivamente: Maximilian Schell, Anthony Franciosa e Anthony Quinn.

Rosanna Schiaffino, però non è tutto questo e nell’arco della sua breve ma intesa carriera, poco più di una quarantina di pellicole, riesce a mostrare sprazzi di inaspettata bravura che molto spesso coincidono con le tante facce della sua bellezza.

Quella ruspante e genuina di una ragazzina nata a Genova nel 1939 che in virtù della sua preponderante fisicità vince facile un concorso di bellezza dopo l’altro. Superate agevolmente tutte le trafile, viene scelta come modella per riviste prestigiose quali Le Ore e Life, prima di approdare fatalmente sul grande schermo dove debutta nel 1956 in “Totò lascia o raddoppia”, in compagnia delle gradevoli Edy Campagnoli, Dorian Gray e Valeria Moriconi, allettanti figure scenografiche che affiancavano il grande comico napoletano.

Quella scapigliata e verace che esibisce a piedi nudi Assunta, la provocante giovane popolana di un basso napoletano, che nel capolavoro di Francesco Rosi La sfida”, “prima irretisce e poi sposa Vito Polara un ambizioso imprenditore che paga con la vita lo sgarro alla camorra, sullo sfondo di una città strangolata dal malaffare.

Quella che diventa inutile, disincantata e quasi selvaggia nel dolente spaccato sociale della triste e deprimente periferia di “La notte brava” di Mauro Bolognini, un magnifico film nel quale Rosanna, assieme alle appariscenti “colleghe” Elsa Martinelli, Annamaria Ferrero, Antonella Lualdi, e ai “ragazzi di vita”, Laurent Terzieff, Tomas Millian, Jean-Claude Brialy e Franco Interlenghi, rende autentico il disagio esistenziale di una malfamata borgata.

Quella elegante che traspare dalle raffinate fattezze della sfolgorante Lucrezia nello spassoso contesto allegorico del medioevale “La mandragola”.

Quella maliarda, sofisticata e falsamente ingenua di Aura, il misterioso alter ego di Consuelo (la raffinata Sarah Ferrati) di “Strega in amore” una intrigante e surreale vicenda firmata dal regista Damiano Damiani.

Quella gioiosa, ironica e avvolgente di “Ettore lo fusto” una garbata commedia che sfocia in una brillante parodia dell’Iliade, dove la Schiaffino, naturalmente nelle vesti della splendida Elena, benché ultratrentenne, regge con disinvoltura la moderna riposizione del personaggio e ancora una volta si distingue in un cast ricco di prestigiose presenze quali Vittorio De Sica, Philippe Leroy, Giancarlo Giannini, Franca Valeri e Vittorio Caprioli.

Alla fine però è proprio la bellezza a prima vista, quella immediata di rappresentanza che diventa effimera a perderla poiché dopo il matrimonio(fallito) con il rude produttore Alfredo Bini, un “padre selvaggio” come ricorda Pier Paolo Pasolini, l’avvenente Rosanna impalmerà in seconde nozze il fascinoso Giorgio Falck e tra i due dopo che sulle prime furono baci e sospiri, vennero poi lacrime e martiri alla stregua, per mantenerci con un riferimento cinematografico, della “Guerra dei Roses”.

Il triangolo Roma (lavoro), Milano (abitazione), Portofino (vacanze) per lei non è mai equilatero ma isoscele e quell’ultimo lato, come recita la canzone: “Love in Portofino”, è il triste gioco del destino che nel 2009 diviene il rifugio delle sue mortali spoglie.

Rosanna Schiaffino, muore a settanta anni dopo una lunga battaglia intrapresa per combattere un tumore al seno scoperto nel 1991. In questo frangente dimostrò tanto coraggio, proprio quello che prima però le venne meno per rafforzare ed espandere al massimo tutte le sue potenzialità di grande star. Se non lo divenne fu forse perché non ne ebbe mai veramente l’intenzione di esserlo, o chissà cosa. Di certo era oppressa e al contempo sollevata dall’ingombrante presenza della madre Jasmine, ma anche disorientata dall’assenza di un costante punto di riferimento maschile che tentò di surrogare con il primo avventuroso matrimonio con un uomo maturo che contava ben tredici anni in più di lei. E la differenza di età molto spesso presenta il conto specie se la donna è tutt’altro che tenera mogliettina come d’altronde il resto della sua vita racconterà.

A lei dedichiamo questo ricordo perché, oltre a omaggiare un’attrice brava ma in sostanza rinunciataria e dunque sottovalutata, ne sottolinieamo lo straripante fascino, tenendo sempre bene in mente l’emblematica e speriamo profetica frase del grande scrittore russo Fëdor Dostoevskij: “La bellezza salverà il mondo”.

Vincenzo Filippo Bumbica