Say their names: la moda si inchina davanti a rivolte e proteste

Il 25 maggio 2020 avviene l’omicidio per soffocamento di George Floyd, uomo afroamericano arrestato per reati minori, ad opera dell’ufficiale di polizia Derek Chauvin. Questo episodio, palesemente razzista, ha scatenato una serie di rivolte e proteste in tutta l’America (e non solo). Proteste pacifiche si sono alternate a rivolte aperte che hanno velocemente coinvolto anche il mondo della moda, andando a colpire i negozi dei brand del lusso.

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I luxury stores sono stati saccheggiati e le vetrine distrutte o imbrattate. Gli esempi in questo non mancano: la boutique di Alexander McQueen è stata saccheggiata sfondando la porta (30 maggio), così come quella di Marc Jacobs. Sono anche comparse diverse scritte per rivendicare, un minimo, le vite di uomini e donne di colore ingiustamente interrotte. Una fra tutti Sandra Bland, la donna suicidatosi nel 2015 in carcere dopo aver subito episodi di razzismo.

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C’è da dire che la rivolta era già nell’aria. Troppe volte i diritti delle persone di colore, o comunque non “bianche”, sono stati calpestati. Proteste e rivolte sono solo una naturale conseguenza di un disagio latente. Basti pensare che questo desiderio di rivoluzione supera la paura di una pandemia. 

L’attacco al fashion system

L’attacco al mondo della moda però non è completamente ingiustificato questa volta. Gli stilisti e le case di moda sono accusati infatti di non aver prontamente reagito prendendo una posizione. Alcuni brand sono anche stati accusati di poca sensibilità, per usare termini gentili. Uno fra questi è proprio la maison Louis Vuitton che, in pieno periodo di rivolte, ha lanciato la campagna per la sua nuova creazione: la borsa Ponte 9. Stupenda ma effettivamente potevano scegliere un periodo migliore. Solo successivamente il brand si è schierato a favore delle rivolte e delle proteste di Black Lives Matter, pubblicando su Instagram un video di un uomo di colore a cavallo. Non dobbiamo dimenticare dopotutto che lo stesso direttore creativo della casa di moda, Virgil Abloh, è di colore.

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Alessandro Michele non è stato meno fortunato. Nonostante si sia schierato in prima persona a favore delle azioni del movimento Black Lives Matter i negozi di Gucci sono stati ugualmente distrutti e saccheggiati. Gucci aveva infatti pubblicato su Instagram un post che recitava una poesia dell’artista nera Cleo Walde. Il designer e il CEO del brand, Marco Bizzarri, hanno quindi deciso di rincarare la dose donando, insieme a Kering e a tutti i brand del gruppo, un’ingente somma di denaro a delle associazioni che si occupassero di diritti civili. Un gesto bello e soprattutto utile, dal momento che spesso i movimenti antirazzismo e le loro associazioni non hanno sufficienti fondi. Oltre a ciò tutte le attività dei negozi Gucci e degli stabilimenti si fermeranno per dare ai dipendenti una giornata di riposo e riflessione in onore di George Floyd.

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Un altro stilista che ha esternato un messaggio di supporto e vicinanza dopo aver subito le conseguenze di rivolte e proteste è stato Michal Kors. E non possiamo dimenticare Prada che il 2 giugno ha condiviso un post su Instagram con una forte presa di posizione di solidarietà e vicinanza. Sono tantissimi gli stilisti in realtà che si sono dichiarati a favore: Jacquemus, Piccioli, Versace ecc. Pensate a un qualsiasi grande del mondo della moda: ci sarà. 

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Nike e Adidas

Sono Nike e Adidas però a vincere la gara della solidarietà online: eterni nemici in campo vendite ma non quando bisogna difendere la loro subcultura di riferimento, lo streetwear. Dovete sapere infatti che lo streetwear è una subcultura nata nell’ambito della cultura nera e surf americana.

Nike ha infatti pubblicato un tweet che invita a non ignorare il razzismo solo perchè è più semplice e a non rimanere in silenzio. Adidas successivamente a ricondiviso il post in un gesto semplice ma molto più significativo di quello che può sembrare.

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Il segnale di un cambiamento?

è evidente che avvenimenti di questo genere non sono solo la conseguenza di una ribellione, ma un chiaro segnale di una società che ha sempre più bisogno di una moda più etica e meno estetica. C’è bisogno di una moda più attenta, e soprattutto reattiva, ai bisogni sociali e ai cambiamenti delle persone.

Se ci pensiamo non è la prima volta che si accusa il fashion system di comportamenti razzisti o comunque poco attenti alle culture diverse da quella Occidentale. Basti pensare allo spot di Dolce&Gabbana che aveva come protagonista una ragazza orientale o alla collezione “Black Face” di Prada.

È arrivato probabilmente il momento che i marchi di moda scendano in prima persona in campo contro il razzismo. Non è più sufficiente creare collezioni di moda ispirate a mondi esotici e lontani. C’è bisogno di un segnale forte da ciò che tutti conosciamo, cambiamo e viviamo ogni giorno: la moda stessa. La vera domanda ora è: accadrà? Quanto dovremo aspettare ancora? Che siano davvero questi i primi segnali di cambiamento? 

Rebecca Bertolasi