Nel complesso godibile, anche se non certamente il migliore della serie e non esente da difetti, il quinto episodio di “Pirati dei Caraibi” si configura nella prima parte come un reboot, nel senso che ripropone, a tratti quasi allo stesso identico modo, le dinamiche del primo film della saga “La maledizione della prima luna”.
Henry (Brenton Thwaites), il figlio di Will ed Elizabeth Turner è un giovane marinaio imbarcatosi nella marina inglese al fine di trovare un modo per infrangere la maledizione che affligge suo padre, costretto a servire l’Olandese Volante. L’unico rimedio sembra essere “il tridente di Poseidone”, un manufatto antico in grado di spezzare qualsiasi anatema. Solo una ragazza, Karina Smyth (Kaya Scoledario) è in grado di leggere la mappa che può portare all’antico tesoro. Dopo essersi incontrati, i due, assieme a Barbossa (Geoffrey Rush) e Jack Sparrow (Johhny Depp) saranno impegnati nella ricerca della mitica arma. Sul loro cammino dovranno scontarsi con il terribile Salazar (Javier Bardem): un fantasma che, dopo essersi finalmente liberato dalla sua maledizione, reclama vendetta contro Jack Sparrow.
Analizzando a posteriori la trama del film è indubbio che vi siano alcuni punti poco chiari: ad esempio l’oscuro legame tra la bussola nera di Sparrow e la prigionia di Salazar nel triangolo del diavolo, oltre che alcuni personaggi un po’ forzati e scialbi come il comandante della marina inglese, o la strega (Golsifteh Farahani), che poi spariscono nel nulla. Quest’ultima è un po’ un deus ex machina per far ricomparire la bussola nera di Jack. Anche alcuni spostamenti dei protagonisti non sono del tutto lineari nel loro andirivieni.
Pur non essendo all’altezza dei primi tre film di Verbinski, di cui questo capitolo rappresenta per certi versi una chiusura, però , non si può negare che al livello visivo abbia alcune trovate interessanti. Come tutti gli episodi è incentrato sul fascino del personaggio di Jack Sparrow, pirata poco credibile e dalla pellaccia dura, ubriaco e inaffidabile, spesso vittima di ammutinamenti, che viene coinvolto in tutte le strane vicende che si verificano per mare: la sua figura è ben resa anche in questo episodio. Memorabile e divertente ad esempio la scena della “banca itinerante” che distrugge mezza città. L’ironia del film è tangibile, come lo spirito di avventura che animava la trilogia originale. Per non rischiare troppo i due registi norvegesi Joachim Rønning e Espen Sandberg hanno puntato su uno script che riproduce il primo episodio. Due giovani di bell’aspetto, lui coraggioso e un po’ ingenuo; lei volitiva e “saputella” si accompagnano all’imprevedibile Jack Sparrow in una nuova avventura contro una ciurma di fantasmi (nel primo era quella di Barbossa).
Nonostante le sbavature, la formula è piacevole e d’intrattenimento. Simpatica la ricostruzione del passato di Jack Sparrow. Finalmente svelata l’origine del suo soprannome e della sua investitura come capitano, beffarda e casuale, un po’ come tutti i successi del personaggio (convincente la resa del giovane Sparrow con la computer grafica, migliore anche di quella di Star Wars Rogue One). Certo la qualità del film è altalenante. Ci sono scene che potevano essere tolte, altre che mancano; ma tutto sommato scorre bene e regala inseguimenti, fughe, voltafaccia pirateschi, battute nonsense, come da copione del format. L’intervento della marina inglese, invece, appare del tutto superfluo nella vicenda.
Javier Bardem, il cattivo, non è certo ai livelli di Skyfall o di “Non è un paese solo per vecchi”: è un po’ sbiadito (ma del resto è un fantasma) e ovviamente non regge il paragone con Davi Jones. Convincente invece l’idea della nave fantasma, diroccata e distrutta, che letteralmente fagocita quelle dei nemici; movimentato lo scontro dei protagonisti con questa nave, così come d’impatto la scena d’azione finale che si gira sul limite di una spaccatura tra i mari in procinto di richiudersi. La parte action e le dinamiche degli scontri sono quindi ben rese, rocambolesche e caotiche come i “Pirati dei Caraibi” ci hanno abituato in passato: la scena della ghigliottina con Jack protagonista è a dir poco “goliardica”. Il film non manca di alcune invenzioni fantastiche interessanti, come l’isola-firmamento che rispecchia il cielo. Sul finale anche un po’ di pathos Disney, un po’ inverosimile, che però in fondo non guasta (del resto Disney è la produzione). Per concludere, se si cerca l’intrattenimento, senza troppo badare ai singoli passaggi e senza avere aspettative sproporzionate, “La vendetta di Salazar” è un film divertente che si fa seguire. E’ lo sforzo ultimo, complessivamente non fallimentare, di proseguire una saga, arrivata già al suo limite. E’ forse incompleto, a tratti un po’ distratto e superficiale, ma non può dirsi insensato. Chiude a suo modo il cerchio. Interessanti anche i due giovani che fanno le veci rispettivamente di Kiera Kniglty e Orlando Bloom. La ragazza in particolare, interpretata da Kaya Scoledario, già vista in “The Maze Runner”, dimostra di avere maggior “carattere” scenico. Ben più evocativo il titolo originale della pellicola che tradotto suona: “Gli uomini morti non raccontano storie”.