Perché le donne non sanno dire no al lavoro extra

Le ricerche dimostrano che le donne si sentono più in colpa degli uomini se dicono no o rifiutano il lavoro extra. Temono problemi, e non hanno torto visto che i dati dimostrano che il rifiuto delle donne ha ripercussioni negative sia sulle valutazioni professionali che sulla carriera. Ma anche dire sempre “sì” è controproducente: certi atteggiamenti sacrificali,  così naturali nelle donne, le penalizzano in un mondo lavorativo ancora fortemente connotato al maschile. E quindi come uscirne? La psicologa ci spiega alcune strategie vincenti,

Una recente ricerca della società statunitense di Psicologia del lavoro rileva che le donne incontrano maggiori difficoltà, rispetto agli uomini, a dire “no” al lavoro supplementare. Sono più propense ad accettare impegni e responsabilità che esulano dalle loro mansioni ordinarie. Lo studio evidenzia che questo atteggiamento non è correlato a differenze di personalità ma di genere, sulla base di norme sociali condivise.

Decidere di accettare o rifiutare incarichi extra è una questione che riguarda tutti, però impatta maggiormente sulle lavoratrici. I risultati evidenziano che il rifiuto delle donne ha alcune ripercussioni negative nei loro confronti, sia per le valutazioni delle prestazioni lavorative, sia perché vengono segnalate di meno per eventuali promozioni. E riscuotono minor simpatia.

“Le donne sono in genere ritenute aiutanti, collaboratrici, dire no è contrario a quello che ci si aspetta da loro” sostiene Katharine O’Brien, uno degli autori dello studio, ricercatrice presso il Baylor College of Medicine in Texas. La ricerca ha sottolineato inoltre che le donne sentono più degli uomini il senso di colpa si rifiutano. Stanno male quando si sottraggono a delle richieste. E hanno timore di essere criticate, disapprovate da dirigenti e collaboratori. E queste sono le ragioni forti che le inducono ad accettare il lavoro extra.

Eppure dire sempre “sì” è comunque controproducente. Può voler dire non finire mai, caricarsi di responsabilità insostenibili, non adempiere bene alla propria mansione, non procedere. Fornire a responsabili e colleghi un lascia-passare per chiedere ancora di più, stressarsi e guadagnarsi la reputazione di inaffidabile. Insomma alla fine attirano comunque commenti negativi.

Ci sono però delle strategie che possono essere apprese per gestire le richieste lavorative che esulano dai propri compiti, suggerisce la dottoressa O’Brien. Intanto evitare risposte istintive ma prendersi del tempo per decidere. E poi imparare a dire “no” non dicendo “no” ma ricordando per esempio al “capo” di cosa ci si sta occupando, oppure della possibilità di organizzare bene il lavoro e di dare priorità alle vere urgenze.
Certi atteggiamenti sacrificali, spesso così naturali nelle donne, in ogni caso non aiutano. Anzi penalizzano una possibile affermazione, anche nel mondo aziendale ancora fortemente connotato al maschile. Riecheggiano di antichi modelli femminili arrendevoli, disponibili, accomodanti. E di condizionamenti culturali a nostro svantaggio.

Soprattutto ci fanno capire quanto siamo impreparate in assertività. Insufficienti nella capacità di esprimere le nostre vere esigenze, di manifestare contrarietà, intenzioni, preferenze. Ciò che effettivamente pensiamo. Farci spazio tra gli altri, anche sul lavoro. Che non vuol dire sgomitare, aggredire o non partecipare, non aiutare gli altri. In questo senso ci si riferisce al diritto di essere ascoltate, se riusciamo a farlo per prime con noi stesse. Far iniziare la nostra vita da noi e non dall’approvazione degli altri.

La passività ci viene insegnata fin da piccole, passata come buona educazione, rinforzata – com’è brava, disponibile, gentile …-. Siamo portate a fare le aiutanti, come dice l’autrice della ricerca, e questo in un certo senso è uno dei volti della nostra forza. Perché essere accomodanti, comprensive e disponibili ci favorisce nel mondo delle relazioni. È una ricchezza. Quando siamo noi a sceglierlo però. Non quando diventa l’unico modo di rispondere alle richieste degli altri. Saltando le alternative, le possibilità, noi stesse. Quando diciamo “Si” perché non siamo in grado di dire mi dispiace ma proprio non posso, non mi va, non riesco. Poi ci sentiamo insoddisfatte, risentite verso quel qualcuno che ci ha costrette, obbligate, incastrate. Ma alla fine siamo noi ad aver giocato male. Gli altri osano fintanto dove noi lasciamo campo aperto.

E’ vero che ci sono aspettative sociali svantaggiose che pendono su di noi, però sta a noi rinegoziarle. Svestendoci di ruoli gregari, andando oltre le paure di complicazioni, ritorsioni, abbandoni, rifiuti. Di essere considerate incompetenti, incapaci. I rapporti che reggono sulla nostra arrendevolezza, passività sono destinati a crollare. Si può essere assertive avendo cura delle relazioni, mantenendo rapporti positivi e saldi. Anche in ambito lavorativo, gestendo con tatto le domande dei colleghi.

Riflettiamo sul fatto che si ha sempre il diritto di rifiutare una richiesta che ci porta via troppo tempo o risorse dai nostri impegni, di non soddisfare sempre le aspettative altrui, di dire “No” senza sentirsi in colpa. Di dire “non capisco” a chi non ci dice chiaramente cosa si aspetta da noi, di dire “non mi interessa” quando non vogliamo essere coinvolte in iniziative di altri, di dire “non so” se ci viene richiesta una competenza che non sappiamo. Questi sono aspetti fondamentali per appropriarsi di se stesse e valorizzarsi.

redazione