Non solo Bond: il talento di Mr. Connery

Da qualche tempo a questa parte gli autunni non sono più malinconici. Il fattore climatico della lenta agonia delle foglie che ingialliscono oltrepassa il mese di settembre che diventa così convenzionalmente riconoscibile per altre ricorrenze.

È infatti il periodo in cui ogni anno si svolge a Venezia il Festival del Cinema e anche quello nel quale comincia un’altra nuova stagione televisiva che, oltre ad annunciare eclatanti novità, propone la replica di vecchi programmi a uso e consumo di un pubblico trasversale ansioso di consumare il rito quotidiano davanti al totem domestico. In questo contesto per allietare gli appassionati del genere avventuroso e non solo, molto opportunamente e ormai da un paio d’anni, sulla tv satellitare viene riproposta la visione, a getto continuo e per un mese di seguito, dei ventiquattro film della serie di 007 dedicata al culto dell’agente segreto più famoso del mondo.

Eleganti e raffinati, fascinosi e affascinanti, coraggiosi e temerari, arguti e ironici, rubacuori e dongiovanni, imperturbabili e impuniti, ognuno per la sua parte, sfilano in ordine sparso sullo schermo tutti e sei gli attori che hanno interpretato James Bond: l’irresistibile Sean Connery; il mite George Lazemby; il sardonico Roger Moore; il frenetico Timothy Dalton; l’implacabile Pierce Brosnan e l’atletico Daniel Craig.

Il primo della lista, uno scozzese nato a Edimburgo nel 1930, era un ex lucidatore di bare con tutto un corollario di lavori improvvisati: culturista, bagnino, muratore, lavapiatti, guardia del corpo e infine modello che, dopo qualche piccola esperienza teatrale, nel 1962 i lungimiranti produttori Albert Broccoli e Harry Saltzman si trovano di fronte per assegnare la parte dell’agente segreto britannico nel primo film della serie tratto da un romanzo di Ian Fleming:” 007- Licenza di uccidere”. Il provino lo promuove a maggioranza, decisivo risulta il parere della moglie dello scrittore, e così quell’attore semisconosciuto viene scelto grazie alle sue innate qualità caratteriali e fisiche: “Il mio nome è Bond, James Bond”, diventa lo slogan perfetto adeguato al naturale portamento e alla raffinata attrattiva di Sean Connery che in questo ruolo si trova più che a suo agio: sicuro, seducente, intelligente e scaltro, attraverso i sei film successivi, egli impone un personaggio unico nel suo genere che, poco a poco, con le sue mirabolanti gesta entra a pieno diritto nella storia del cinema, della cronaca e del costume, diventando un mito che, come il primo amore, non si scorda mai.

Un uomo di quella personalità si vuole però espandere e ben presto si sente costipato nel solito schema cinematografico dove nei panni sempre più stretti dell’agente segreto, deve compiere missioni quasi impossibili; sedurre donne dalla bellezza travolgente; scappare dalle grinfie del cattivo dopo essere stato catturato; compiere prodezze automobilistiche degne del miglior rallista e infine bere Martini a gogò.

Così Connery comincia a evadere dal personaggio e nell’intervallo tra: “Dalla Russia con amore” e il successivo “Missione Goldfinger”, le sue incursioni in altri generi cinematografici iniziano nel 1964. Il film si chiama “Marnie “di Alfred Hitchcock e nella parte di un uomo flemmatico ma dai forti sentimenti, Connery redime la ladra compulsiva Tippi Hedren. Già che c’è, nello stesso anno gira “La donna di paglia” accanto alla bella Lollobrigida che invece, cinico e cattivo, quasi riesce a incolpare di omicidio. L’anno seguente nel bellico film di Sidney Lumet” La collina del disonore”, fuoriescono quasi per intero le sue notevoli qualità artistiche e nel frattempo continua la sua attività di controspionaggio in “Thunderball-Operazione tuono”, dove nell’esotico scenario delle Bahamas aggiunge Claudine Auger, alla lista delle sue conturbanti prede, le cosiddette Bond Girl, inaugurata con la prorompente Ursula Andress e poi confermata dall’italiana Daniela Bianchi, già splendida Miss Universo. Subito dopo ironico e scanzonato si esibisce nella brillante commedia “Una splendida canaglia”, al fianco della soave Joanne Woodward, inframezzando così le due apparizioni successive nei panni del solito Bond: “Si vive solo due volte” e “Una cascata di diamanti”.

Sean Connery che però ha già scoperto l’altra faccia della luna cinematografica, imbocca definitivamente la sua traiettoria ideale. Interpreta con altrettanta bravura del suo partner Richard Harris il ruolo di ambiguo minatore nel drammatico contesto di” I cospiratori” di Martin Ritt. Per poi sciorinare in rapida sequenza pregevoli ritratti di personaggi delle specie più varie. Ecco il thriller” Riflessi in un occhio scuro” del 1972; l’avveniristico Zardoz”; il drammatico” Ransom” e lo storico “Il vento e il leone” di John Milius, dove nel ruolo del carismatico Raisuli, egli combatte il nemico con la sciabola mentre duetta in punta di fioretto nei colloqui con l’intensa ed espressiva Candice Bergen. Chiude infine quella scintillante parentesi sfoderando due delle sue migliori performance recitative: prima nel capolavoro di John Houston:” L’uomo che volle farsi Re” e poi nel crepuscolare” Robin e Marion”, partner d’eccezione Audrey Hepburn.

Agli inizi degli anni ottanta, Sean Connery, ormai maturo, è diventato così un protagonista indiscusso dell’universo del cinema e nella sua piena evoluzione di attore, riesce perfettamente ad adeguare a questa realtà i ruoli successivi perché affina ancora di più il suo stile e ribadisce la sua sostanza alla luce dell’acquisita esperienza. Non inganni perciò il suo estemporaneo rientro, dopo aver conosciuto giorni migliori in quel ruolo, dovuto solo a ragioni puramente commerciali, tra le file del servizio segreto inglese MI 15, per girare, il suo ultimo film della serie 007: “Mai dire Mai”, dove nonostante sia imbolsito e pesantemente goffo, trova la misura per contrastare il cattivo di turno e lo charme per attrarre l’abbagliante Kim Basinger. Infatti a metà di quel decennio la sua autorevolezza artistica riprende colore sul set di “Highlander” nel quale giganteggia al cospetto di un cotanto avversario (Cristopher Lambert) nell’epica sfida per la sopravvivenza eterna; si conferma nel tetro ambiente medievale dell’intricato “Il nome della rosa” e risplende fulgida nel poliziesco “Gli intoccabili” di Brian De Palma. Per aver incarnato in quel film lo spirito indomito di Jimmy Malone, un irlandese coraggioso, nel 1987 a Sean Connery viene assegnato l’Oscar per il miglior attore non protagonista.

Alla stessa stregua di leggere un qualche buon libro, il quasi sessantenne attore scozzese gira qualche buon film: “Indiana Jones e l’ultima crociata”; “Sono affari di famiglia” con la regia dell’affezionato Sidney Lumet e con l’avvento del nuovo decennio l’immmarcescibibile Sean spara le sue ultime cartucce cinematografiche, “La casa Russia”;  “Mato Grosso”; “Sol levante”, “Il primo cavaliere” e” The rock”, prima di ritirarsi dalle scene come assoluto protagonista della  fantastica trama di “La leggenda degli uomini che fecero l’impresa “nel 2003.

Da quel momento il tempo che ha conosciuto non è più quello che lo rappresenta: aumenta l’impegno e la corrispettiva munificenza a favore dell’amata Scozia e dopo l’apparizione all’Edinburgh Festival nel 2008, dirada sempre più la sua presenza in occasioni mondane per scomparire definitivamente dai radar pubblici. In fondo, per carattere, la sua vita privata è sempre stata il contrario di quella del baldo personaggio al limite del ribaldo che a lungo lo ha rappresentato. Sean Connery, ha da poco raggiunto il ragguardevole traguardo degli ottantotto anni e siccome un giorno dopo l’altro il tempo se ne va, tanto vale che fin da ora sia considerato un simbolo di assoluta bravura che con la sua presenza oggi e la sua assenza domani, non smetterà mai di incantarci raccontando la sua lunga storia d’amore col cinema.

Vincenzo Filippo Bumbica