shopping disabili

Lo shopping di chi non può farlo ed è costretto a comprare quasi solo online

“L’ultima volta che sono andata a fare shopping con mia madre era l’estate del 2014. Avevo 20 anni, scivolando dentro e fuori da un camerino di T.J. Maxx, provando i vestiti per uno stage a New York. Fuori dal camerino, mia madre trovò un posto per sedersi: una manna dal cielo. Per il mio compleanno, a luglio, mi inviò a New York un paio di pacchetti – incluso un lungo abito nero che avevo provato ma non avevo acquistato perché troppo caro, per passeggiare per la città, mi disse. Ho tenuto tutti quei vestiti perché mi ricordano quel momento: quando fare shopping e vestirsi era più facile, e quando mia madre era più forte“.

Natalie Daher è la figlia coraggiosa di una mamma affetta da sclerosi multipla. Una semplice casalinga di un piccolo paese che ruota attorno ad una solidale comunità parrocchiale, pochi negozi a conduzione familiare che vendono gli stessi prodotti da generazioni e un centro commerciale dove fare acquisti per tutta la famiglia. Sempre più consapevole delle difficoltà di fare acquisti dapprima con e poi per lei, Natalie ha cominciato ad interessarsi ai modi in cui le aziende stanno cercando di risolvere questo scoglio mentale e strutturale.

Dall’Inghilterra c’è la storia di Katherine Vero: “Mia madre aveva cominciato a soffrire di demenza e la malattia ci stava togliendo tutte le cose belle e straordinariamente che abitualmente facevamo insieme, come lo shopping. Ma io non volevo rassegnarmi: volevo che mia mamma fosse parte del mondo e non si isolasse. L’esperienza dello shopping mutò mano a mano che mia madre diventava sempre più una cosa separata dal mondo reale e io mi ero ritrovata a dover mediare tra lei e lo staff del negozio che non sempre ci capiva”.

L’idea ha portato alla creazione di Slowshopping  un’iniziativa volta a supportare e seguire durante il processo d’acquisto tutte quelle persone che hanno bisogno di un aiuto e di molta pazienza: persone che soffrono di demenza o di disturbi mentali, con disturbi del linguaggio, persone anziane o con disabilità intellettive.

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Il primo negozio che ha accettato la sfida di Katherine Vero è uno dei supermercati della catena “Sainsbury”, in particolare la filiale di Gosforth a Newcastle-upon-Tyne in Inghilterra.
L’azienda ha investito più di 50 000 ore  alla formazione dei suoi dipendenti in tema di disabilità,  per imparare ad avere un primo approccio positivo con la persona, creando un legame d’empatia e riconoscendo le difficoltà reali e psicologiche di queste persone. Sono disponibili delle sedie ad hoc all’interno del negozio e vi sono delle postazioni di assistenza in cui uno staff, preparato e consapevole dei bisogni degli utenti, riesce a dare un valido aiuto a chi come Katherine subiva un senso di isolamento e frustrazione accompagnando familiari e amici a fare compere.

Spesso la difficoltà per chi si muove con la carrozzina e con i deambulatori è anche la sensazione di ”ingombro” tra la ressa che crea un senso di inadeguatezza e di imbarazzo che scoraggia gli acquisti; così alcune aziende, come J. Crew, permettono ai clienti di prenotare un appuntamento gratuito in negozio con un commesso, utile perché in grado di guidare gli acquisti senza perdite di tempo e con i consigli giusti di chi conosce già taglie, colori e modelli dei prodotti.

Nonostante sia stato fatto molto lavoro in termini di barriere architettoniche, c’è anche chi sfortunatamente non ha alcun modo di accedere fisicamente ai negozi. Una ricerca di una società inglese ha rilevato come otto su dieci su un campione di 850 000 persone affette da disabilità residenti nel Regno Unito definiscano lo shopping come la loro attività preferita, ma di come uno su quattro di loro abbia smesso di far compere dopo la diagnosi. Dobbiamo considerare che una malattia o una disabilità non ci trasforma in persona senza desiderio di interazione con l’altro, senza bisogno di autonomia tanto meno di ricerca di appagamento personale.

Per questo motivo l’azienda di abbigliamento American Eagle sta testando un’app per chi ha nostalgia di questa esperienza; si tratta un’applicazione che consente ai clienti di entrare virtualmente in negozio attraverso una webcam, potendo godere dell’esperienza di acquisto mentre i commessi la guidano collegati da remoto. Il cliente da casa vedrà camminare i commessi da uno scaffale all’altro  e sbirciare gli altri clienti fare shopping sullo sfondo.

Il mondo dell’e-commerce è già un enorme supporto per coloro che hanno difficoltà a muoversi autonomamente da casa; le maggiori catene di supermercati hanno già attivi da anni i portali di acquisto e di spedizione degli alimenti in meno di 24 ore direttamente a casa del cliente.

Ad esempio, Coop ha attiva ”La spesa che non pesa”, la versione virtuale di un normale supermercato della catena “reale” con un assortimento di prodotti alimentari e non, con un ”plus” di notevole importanza; la consegna della spesa è gratuita per i disabili in possesso dell’attestato di invalidità, per spese superiori ai 40 euro.

La giovane Natalie ha anche portato alla luce una triste realtà dal mondo dei non vedenti; le persone non vedenti possono comprare on line servendosi di uno screen reader, cioè un software in grado di leggere il testo sullo schermo di un computer. Tuttavia, gran parte dei siti di e-commerce non sono pensati in quest’ottica di lettura: le finestre creano confusione al lettore, spesso i colori vengono letti come sequenze di numeri, cioè come da linguaggio di programmazione della pagina.

Quale sintomo di cecità più evidente se non quello della nostra stessa società?

Lucrezia Vardanega