Il Fu Mattia Pascal: a teatro una vivace trasposizione dell’opera pirandelliana

Il Fu Mattia Pascal al Metropolitan di Catania

Tratto dal romanzo di Lugi Pirandello, il 25 gennaio, è stato rappresentato al Teatro Ambasciatori di Catania lo spettacolo “Il Fu Mattia Pascal”, spettacolo della compagnia Buio in Sala con regia di Giuseppe Bisicchia e Massimo Giustolisi , sull’adattamento di Irene Tetto.

Come nel romanzo la voce narrante è quella di Mattia Pascal, interpretato sulla scena da Marcello Montalto, il quale racconta il suo “stano caso” rivolgendosi direttamente agli spettatori (sta infatti scrivendo un libro sulla sua bizzarra vicenda). Ben presto però i personaggi da lui descritti e richiamati entrano anch’essi in scena per rappresentare se stessi e dare vita ai dialoghi. Con questa alternanza tra narrazione onnisciente (monologo di Mattia Pascal) e scene dialogate tra gli attori viene ricostruita nello spettacolo l’intricata storia del protagonista che è morto e rinato per ben due volte.

Se la parte relativa alla sua prima vita, quella appunto di Mattia Pascal, giovane “scioperato” e con poca testa sulle spalle, che si fa coinvolgere e irretire suo malgrado in una fitta rete di pasticci di donne e matrimoni, è rappresentata sulla scena nei toni di commedia farsesca; la seconda, invece, che racconta la seconda vita dell’uomo, dopo l’apparente morte a cui tutti, compreso lui, vogliono credere, è volutamente resa attraverso dialoghi tesi e drammatici. Questa seconda “rappresentazione” adottata dalla regia teatrale è volta ad evidenziare l’illusione di libertà che Mattia Pascal ha coltivato dentro di sè, dopo l’assurda notizia della sua scomparsa, appresa dai giornali. Ben presto, infatti, l’uomo comprende con dolore e vergogna che finché “recita” di avere un’altra identità, questa non potrà mai appartenergli realmente, anzi, la finzione gli sarà sempre d’ostacolo. Così con codardia rinuncia anche a questa seconda vita. In un crescendo tortuoso, tipico del relativismo pirandelliano, egli si accorgerà che anche riassumere la sua vecchia identità gli è ormai impossibile. La conclusione è che egli vive in una sorta di limbo fatto di molteplici identità, che in fondo ha costruito lui stesso attraverso la sua inettitudine nel non voler mai scegliere definitivamente.

Come dicevamo lo spettacolo teatrale, concepito inizialmente per le scuole, ha un duplice registro, come le due diverse vite del protagonista. Così la recitazione degli attori: pop e sopra le righe nel rappresentare la famiglia di Mattia Pascal, il suo amico Pomino, (Massimo Giustolisi), timido e impacciato; lo sgradevole e odioso Batta Malagna (Antonio Caruso), la vulnerabile Romilda (Irene Tetto) e l’insopportabile e lamentosa vedova Pescatore (Nadia Trovato); molto più austera e contenuta nel descrivere le avventure di Adriano Meis nella seconda vita di Mattia Pascal a Roma, a casa della famiglia Paleari. Qui gli stessi attori che avevamo visto interpretare i ruoli centrali della prima vita, vestono anch’essi, come il protagonista Marcello Montalto, nuove “maschere”: da quella dello stravagante padrone di casa Paleari (Antonio Caruso), a quella della timida, ma delicata Adriana (Irene Tetto), fino a quella del perfido e cinico Papiano (Massimo Giustolisi). Ben reso il cambiamento espressivo da parte degli attori. Buona sia al livello attoriale che scenico la conversazione con Paleari sulla Lanterninosofia, che viene spiegata ad Adriano Meis, durante la sua cecità post-operazione.

Molte delle ambientazioni sceniche dello spettacolo sono costruite attraverso le immagini di un proiettore ( visual show, curato da Andrea Ardizzone). Si tratta di tratti semplici, che appaiono come disdegnati su una lavagna (sempre su sfondo nero) e fungono da fondale. Vengono utilizzate ad esempio per creare l’ambiente del treno, oppure per rappresentare alcune scene come quella in cui  Mattia Pascal decide di cambiare identità, appresa la sua morte sui giornali (in quel caso, nel momento in cui egli immagina il cadavere, lo sfondo si anima assecondando la sua immaginazione e delineando la sagoma di un corpo); oppure quella ambientata a Montecarlo. Interessante anche il loro utilizzo per descrivere con delle maschere appese a dei fili i vari ruoli dei personaggi incontrati da Mattia Pascal nelle sue due vite (attraverso un’immagine molto pirandelliana). Nelle scene di narrazione onnisciente da parte di Mattia Pascal lo scenario è spesso costituito da una libreria tridimensionale, proiettata sullo sfondo, la quale, si apre come un libro, tramite un’animazione, lasciando il posto alle ambientazioni delle scene dialogate, sempre proiettate con visual show, rese anche con una buona, mai ingombrante integrazione sonora. Altri elementi di scena, libri e scaffali, sono sempre presenti sul palco servono a rammentare che la storia vista dagli spettatori è in realtà un racconto scritto dal protagonista nella biblioteca in cui egli lavora. Per quanto riguarda il personaggio di Mattia Pascal, è concepito in maniera un po’ diversa dal romanzo: appare un po’ più spavaldo. 

Lo si nota in diverse scene: come quelle in cui prende in giro la vedova Pescatore, oppure quando si vanta della sua fama di conquistatore di donne. Sebbene non manchino nel romanzo momenti che mettono in luce la vivacità e l’esuberanza del protagonista, il quale è anche dispettoso, egli appare meno sicuro di se e più travolto dagli eventi, che fautore di questi ultimi. Certo, come nel romanzo, anche nello spettacolo la sua incertezza va aumentando quando si trova alle prese con la sua seconda vita, che come la prima fallisce miseramente. Sul finale il ritorno di Mattia Pascal alla sua prima vita è rappresentato in maniera nuovamente comica e farsesca: forse questa caratteristica è un po’ troppo marcata in questa parte dello spettacolo e sebbene fedele a molte battute del romanzo, stempera’ il messaggio relativistico dell’autore. 

La recitazione infatti è un po’ troppo sopra le righe, conferendo al finale un tono di commedia, che fa percepire meno l‘amarezza di fondo della riflessione pirandelliana, ironica, ma pur sempre amara, per cui l’uomo non fa che recitare una parte, indossare una maschera; ma se gli si leva questa maschera, che cosa rimane davvero della sua identità? Il ritorno di Mattia Pascal a casa non è solo assurdo, paradossale, quasi grottesco ma reca in se il fallimento totale del protagonista: un miscuglio tra rabbia, desiderio di rivincita, delusione per il mancato riconoscimento e infine rassegnazione. La scelta di mantenere i personaggi come delle macchiette, rende un po’ meno forte questo messaggio, facendo prevalere forse più il riso che l’amarezza, una scelta questa, che può essere vista in relazione al fatto che lo spettacolo è pensato in primo luogo per le scuole, come la scelta di dare grande ritmo e vivacità alla trasposizione, mai noiosa, ma animata continuamente da immagini, video e suoni.

Francesco Bellia