La malinconia del replicante. In ricordo di Rutger Hauer

Si è spento a 75 anni Rutger Hauer, attore olandese dalla notevole intensità recitativa, con alle spalle una lunga carriera cinematografica. Tra le sue interpretazione è rimasta celebre quella del replicante ribelle in Blade Runner, film di fantascienza dell’ 82′ di Ridley Scott (qui la nostra recensione del sequel).

«Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi:navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione, e ho visto i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser. E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo, come lacrime nella pioggia. È tempo di morire».

Questo il celebre monologo che chiude il film e che rappresenta una delle scene più significative della pellicola, il cui incipit “Io ne ho viste di cose che voi umani…” è entrato a far parte del parlato comune, come un vero e proprio detto o una citazione involontaria.

Nella pellicola, tratta da “Ma anche gli androidi sognano pecore elettriche?” di Philip Dick, sono le parole malinconiche di un clone, un prodotto della tecnologia del futuro, difettoso e per questo destinato ad essere epurato e distrutto dal cacciatore di androidi, Rick Deckard (Harrison Ford).

Il clone interpretato da Hauer ha una forza straordinaria ed una pulsione vitale che non ha niente da invidiare a quella di un vero essere umano, nonostante egli sia soltanto una copia. Anzi, il suo bisogno di vivere e trovare risposte è anche superiore, per una vita troppo intensa che si avvicina inesorabilmente al suo termine.

Il suo tempo vitale, infatti, è notevolmente ridotto rispetto a quello degli uomini. Egli, anche quando scampasse alla caccia che lo vede come bersaglio sarebbe succube della limitata durata della sua vita. E’ stato programmato per morire in anticipo. La sua fuga violenta nella metropoli nebbiosa e iper tecnologica descritta dal regista con una scenografia ed una tecnica visiva che è rimasta indelebile nella storia del cinema, della fantascienza e del cyberpunk, si risolve infine in una fuga cieca e senza sbocco, che termina sul tetto di un grattacielo in rovina.

E’ qui che l’androide, insanguinato, per le ferite subite, il cui corpo reca i segni della violenza che durante la fuga lo ha anche portato ad uccidere (ha ucciso il suo creatore che lo creato difettoso), proprio quando potrebbe vincere sul cacciatore che per tutto il film ha cercato di distruggerlo lasciandolo cadere nel vuoto, inaspettatamente lo salva per parlargli. Conscio, al contrario degli altri suoi simili, meno intelligenti, più simili a macchine, dell’imminente termine della sua vita, è pronto a fermarsi e a fare i conti su ciò che rimane della sua vita.

Il suo monologo finale è un rimpianto, ma anche una presa d’atto della meraviglia che nel suo breve tempo è riuscito a scorgere con i suoi occhi. Un modo ultimo di sancire la sua presenza nel mondo ed il fatto che nonostante sia una copia egli mantenga anche delle sensazioni proprie, una meraviglia che appartiene a lui e a nessun altro (da qui “ho visto cose che voi umani non potete nemmeno immaginare).

In questa bellissima scena Ridley Scott, forte della superba interpretazione di Hauer rende con efficacia l’interrogativo profondo e conturbante che sta alla base del romanzo di Philip Dick: qual è il solco che permette di distinguere un androide, una macchina dalle sembianze umanoidi, da un essere umano?

Il protagonista Rick Deckard rimane turbato dalla morte naturale dell’uomo che egli stesso doveva uccidere, il quale al termine della sua breve vita da clone appare ben più umano di chi gli da caccia. La colomba che vola dal tetto, nella scena del film che abbiamo descritto, sottolinea la purezza del clone, le cui ultime lacrime si perdono nella pioggia della metropoli; in qualche modo forse anche il fatto che egli, macchina, possa avere un’anima…

Come si evince dalla colonna sonora di Vangelis, si tratta del momento più filosofico e alto del film, l’apice dell’inseguimento che, infine, in questo noir fantascientifico, viene svuotato di ogni conflittualità, dinnanzi alla spontanea dipartita del “nemico” o meglio della preda, la quale si spegne dimostrando di essere ben di più di semplice ferraglia malfunzionante, perché dotata di empatia e di emozioni.Risultati immagini per lady hawke

Non è la sola interpretazione memorabile di Hauer, come si diceva un attore dal grande carisma, in grado di unire alla naturale algidità della sua figura, una grande partecipazione emotiva e attoriale. In Lady Hawke, affascinante fiaba medievale, è un cavaliere in cerca di vendetta, costretto dalla crudele maledizione di un empio vescovo a mutarsi in lupo di notte, mentre la sua amata, (la bellissima Michelle Pfeifer) si trasforma in falco di giorno, costringendo i due ad un eterna divisione, in quanto è impossibile per loro coesistere da umani, se non in brevissimi momenti quando il giorno sta per tramutarsi in notte.

Tra le altre pellicole di Huaer anche diverse collaborazioni col regista olandese Paul Verhoven, tra cui Fiore di Carne, uno dei film olandesi di maggior successo di sempre. E’ invece un terribile autostoppista psicopatico nel thriller ad alta tensione The Hitcher- La lunga strada della pauraDi tutt’altro stampo “I colori della Passione” di Majewski, film d’autore che narra la storia di alcuni dei 500 personaggi dipinti nel quadro Salita al Calvario del pittore fiammingo Pieter Bruegel il Vecchio. Tra questi anche Rutger Hauer. Come si evince da alcuni dei film citati ricordiamo un attore molto poliedrico che si è cimentato in moltissime prove durante la sua lunga carriera. Tra i suoi ultimi film ad esempio un western: “I fratelli Sisters” di Jacques Audiard, in cui interpreta il Commodoro che commissiona gli omicidi ai due fratelli del titolo.

Francesco Bellia