La “fame batterica”: perché ci sentiamo sazi?

Forse possiamo anche smettere di sentirci in colpa quando, a mezzanotte già suonata da un minuto o due, veniamo colti dall’irresistibile desiderio di un panino ben imbottito! La fame potrebbe essere un fenomeno non totalmente dipendente da noi.
Fino ad ora si è pensato che la regolazione del senso di fame fosse strettamente collegata al bilancio energetico dell’organismo e che fosse un’alterazione ai danni principalmente di questo sistema a condurre a condizioni patologiche come anoressia e obesità. Negli ultimi anni, invece, il mondo scientifico si sta interessando con forza sempre maggiore al microbiota umano, ossia l’insieme dei microrganismi che abitano l’apparato digerente dell’uomo. Sono, infatti, oltre 400 le differenti specie di batteri “inquilini” del nostro intestino, tra anaerobi ed aerobi. Essi si comportano, essenzialmente, come simbionti: ricavano da noi nutrienti ed energia restituendoci, in cambio, vitamine, alcuni amminoacidi e un’intensa attività di protezione del nostro corpo da batteri patogeni e danni di vario genere. Come è facile immaginare, prima della nascita ciascun individuo risulta essere completamente sterile. La colonizzazione batterica ha inizio al momento del parto attraverso il contatto del neonato con i batteri materni, durante il parto naturale, o prevalentemente con quelli ambientali, quando si parla di parto cesareo. Per quanto piccola, anche questa differenza si riflette nei primi mesi di vita del bambino. Un bambino nato naturalmente, infatti, vedrà il suo microbiota stabilizzarsi in modo più rapido.

 

Secondo un recentissimo studio dell’Università francese di Rouen, a decidere quando è effettivamente ora di pranzo potrebbero essere i nostri batteri simbionti. Gli E. coli presenti nel nostro organismo decidono per noi attraverso la secrezione di alcune sostanze in grado di indurre, da parte delle nostre cellule, la produzione di Dipeptide YY. Si tratta di un ormone, quindi una molecola coinvolta nella trasmissione di segnali anche a lunga distanza, di piccole dimensioni che, sfruttando il circolo sanguigno, raggiunge l’ipotalamo, la zona del nostro cervello deputata al controllo dell’omeostasi energetica.  Qui, il dipeptide YY inibisce il rilascio di un’altra molecola dal nome simile, ma dalla funzione totalmente opposta: il Neuropeptide Y, coinvolto nella stimolazione dell’appetito.
In parole povere, E. coli è in grado di far capire al nostro cervello quando è ora di smetterla con il cibo! Quando il livello di nutrienti presente nel nostro corpo è, a suo giudizio, soddisfacente, l’inquilino segnala al padrone di casa che può anche posare la forchetta ed allentare la cintura ai pantaloni.

 

 

La prova effettiva del fenomeno ha necessitato della collaborazione di alcuni assistenti animali. Incredibilmente, le secrezioni dei nostri simbionti, quando somministrate a topi tenuti a digiuno, sembrano esercitare un effetto simile a quello ipotizzato nell’uomo. Gli animali, sebbene liberi di accedere autonomamente al cibo, scelgono infatti di non usufruirne, dimostrando che è effettivamente attivo un meccanismo che inibisce il senso di fame.

Le nuove scoperte sul ruolo dei batteri simbionti nella regolazione dell’appetito potrebbero aprire un nuovo capitolo nella storia della cura delle patologie associate all’alimentazione. Ciò richiede la chiarificazione degli aspetti legati all’alterazione della flora intestinale e al modo in cui, se possibile, questa condizione potrebbe influenzare anche le nostre abitudini alimentari. Ciò non deve portarci a pensare, tuttavia, che la gestione dei pasti sia qualcosa che non dipende da noi. È certamente collegata ad una serie di fattori sociali, psicologici e ambientali, ma la forza di volontà rimane il fattore determinante nella lotta contro le cattive abitudini!

Silvia D'Amico