Katarina Witt: splendore sul ghiaccio a fil di lama

Cincinnati (Usa) 1987, Campionati mondiali di pattinaggio artistico: un’aggraziata figura di donna riflessa sul lucido specchio gelato scivola via; volteggia soave e disegna graffi che sembrano arabeschi con le lucide lame dei pattini; si ferma un attimo per poi avvitarsi flessuosa in frenetiche trottole e infine si slancia leggera in aria a comporre eleganti figure che tra salti precisi e svolazzanti piroette dipingono l’armonica fusione fra arte e sport sottolineata anche da sfarfalleggianti note musicali. Katarina Witt compie il suo capolavoro e con questa fantastica esibizione si riappropria del titolo mondiale ceduto
l’anno prima all’americana DebbieThomas, ora costretta al secondo posto, mentre sull’ultimo gradino del podio sale l’altra atleta stelle e strisce, Caryn Kadavy: un successo dalla doppia valenza questo ottenuto della statuaria pattinatrice teutonica poiché ottenuto a casa delle sue più irriducibili rivali.

Lillehammer (Norvegia) 1994, Olimpiadi invernali: quasi trentenne, ma ancora ambiziosa, si qualifica per l’esercizio finale grazie alla sua esperienza e sulle malinconiche note di Sag mir wo die Blumen stehen” (Dimmi dove sono andati i fiori), traccia sul ghiaccio traiettorie sicure arrotondandone i contenuti con movimenti collaudati poiché appare un po’ più appesantita dagli anni. Sfumature e dettagli che in questa rigida disciplina fanno punteggio: lo smalto vincente con cui colorava le sue impareggiabili danze è solo un romantico ricordo e non va oltre il settimo posto. Eppure la bella Katarina, ritornata per l’occasione alle competizioni ufficiali, esegue il suo esercizio libero suscitando una notevole impressione artistica e al contempo lancia un messaggio di pace per Sarajevo, luogo della sua prima vittoria olimpica dieci anni prima.

Il tempo passa, le carriere pesano e i miti a volte ritornano, soprattutto quando desiderano dimostrare ancora qualcosa di loro. La pattinatrice del secolo come da più parti è stata definita, riuscì pur con oggettive difficoltà, a esprimere la sua soggettiva visione dell’arte del pattinaggio artistico con quel certo non so di suggestivo che  rese esclusiva anche se non vincente quell’ esibizione. In quell’ultimo guizzo c’era il ringraziamento per il suo pubblico, la voglia di ripercorrere le tappe di una carriera straordinaria e il piacere di ritrovarsi con la sua storica allenatrice: l’inflessibile Jutta Muller.

Costei un giorno si ritrovò davanti a una bimbetta di cinque anni dotata per lo sport proveniente dalla Kinder- und Jugendsportschule e da pragmatica sassone, bellicosa gente di spada e azione, riuscì ad affilarne il talento, come una dura pietra che provoca splendidi scintillii a contatto con il metallo. Da quel momento, Katarina Witt, nata il 3 dicembre 1965 a Staaken (oggi zona di Berlino), fu tesserata per il club SC Karl Marx Stadt e poco dopo cominciò a gareggiare per la Repubblica Democratica Tedesca.
A diciannove anni, già campionessa olimpica e mondiale, fu votata come”atleta femminile dell’anno di quella nazione, dai lettori del quotidiano Jungle Welt. Tra l’affermazione ai giochi olimpici invernali del 1984 a Sarajevo e quella di Calgary quattro anni dopo, con i suoi ripetuti successi diventò uno dei simboli del regime comunista oltre cortina, prima dell’abbattimento del muro di Berlino e susseguente unificazione. Oltre le due pregiate medaglie d’oro olimpiche, l’inarrestabile Witt collezionerà ben quattro allori iridati, più due argenti che sommati ai sei titoli europei e agli otto nazionali la fanno diventare una delle pattinatrici di figura più famose, carismatiche e vincenti della storia.

Nel 1988, dopo il doppio trionfo a cinque cerchi e quello del mondiale, iniziò la carriera professionistica, cosa impensabile fino allora per gli atleti della Germania Orientale, con una fortunata tournèe triennale assieme a Brian Boitano, anch’esso oro olimpico, al Madison Square Garden ; continuò con lo spettacolo Holiday on Ice e divenne attrice nel film:” Carmen on ice” dove sviluppò e reinterpretò l’esercizio vincente di Calgary  vincendo un Emmy Award.

Diede l’addio definitivo alle gare nel 1995, un anno dopo di quella coraggiosa e indimenticabile apparizione a Lillehammer, dove gareggiò finalmente con i colori della Germania unita e fu subito inserita nella World Figure of Fame (il Gotha dei pattinatori sportivi).Oltre a essere stata una straordinaria sportiva, Katarina Witt, si distinse per un’avvenenza che sfociava in una sensualità dirompente. Nel suo anno d’oro il 1988 posò nuda per Playboy e il numero con le sue foto è il secondo della storia della rivista ad andare esaurito, dopo di quello su cui erano raffigurate le attraenti fattezze di una certa Marilyn Monroe.

Nessuna meraviglia per una donna che con disinvoltura e personalità, usava costumi da gara giudicati troppo teatrali e sexy: non conformi ai regolamenti ISU (International Skating Union) che sfidò ancora e per l’ultima vota nel 1994, quando in una competizione ufficiale su un programma ispirato a Robin Hood, indossò al posto della gonna una tunica corta e degli scaldamuscoli.

Perfino ai giorni nostri benché cinquantunenne, la Witt appare smagliante, prosperosa e in perfetta forma fisica: temprata dalla disciplina sportiva; esaltata dal gusto di giorni felici; baciata dalla generosità di madre natura e soprattutto donna realizzata si gode l’autunno dorato della sua vita, dopo aver vissuto periodi impegnativi tra il dovere e la scelta, come ha scritto nella sua autobiografia: Erano gli anni tra obbligatori e liberi.

“Che bello Katarina, l’anno prossimo dimostra di essere sempre la migliore”. In questo suo inderogabile karma si manifestò in tutto e per tutto la sua leggendaria carriera punteggiata dall’apostrofo rosa di una godibilissima presenza.

Vincenzo Filippo Bumbica