In this Feb. 2, 2015 photo, former Stanford student and athlete Brock Turner appaers in a Palo Alto, Calif., courtroom. A fledgling campaign to recall the judge who sentenced the former Stanford University swimmer to six months in jail for sexually assaulting an unconscious woman gained momentum Friday, June 10, 2016, as three prominent political consultants joined the effort. (Karl Mondon/San Jose Mercury News via AP) MANDATORY CREDIT

Io sto con la vittima: lo stupro di Stanford

Questa, è una delle tante storie di stupro che sentirete al telegiornale o leggerete di sfuggita su qualche testata online. Per farla breve, un anno e passa fa, a Stanford, una ragazza (che chiameremo Emily) accompagna sua sorella minore a una festa.

Emily balla, si diverte, beve e si sveglia in ospedale, coperta di abrasioni, terriccio e aghi di pino. Le dicono che è stata violentata, lei non capisce, non connette. Va in bagno, fa per abbassarsi gli slip ma non li trova. E in quel momento, in quel contatto mancato con la stoffa delle sue mutandine, capisce che qualcosa non va. Qualche giorno dopo, leggendo su internet, scopre che è stata ritrovata da due studenti svedesi accanto a un cassonetto dell’immondizia, mentre qualcuno era sopra di lei e abusava del suo corpo inerme.

Quel qualcuno è Brock Turner, studente ventenne giovane promessa del nuoto. Che se ci pensate, il fatto che sappia nuotare piuttosto bene è un dettaglio irrilevante, ma a quanto pare non poi così tanto.

Perché Brock ha un padre ricco con un concetto tutto suo di “decenza“, per il quale lo stupro commesso da suo figlio (da lui definito “20 minuti di azione, nulla di più“) è stato solo un incidente, un effetto collaterale dell’abuso di alcool. E questo è un dramma, ma non per la povera scema ubriaca che dovrà vivere l’inferno per il resto della sua vita, no! PER LUI! Per il suo Brock! Perché ora che su tutti i suoi documenti compare la scritta “denunciato per molestie sessuali” (povera stella!) il suo futuro da piccolo campione del nuoto è irrimediabilmente compromesso! Non potrà realizzare il suo sogno olimpico, che diamine!

Per fortuna, quel brav’uomo del giudice, ha ben compreso che Brock ha un animo gentile e che la colpa di tutto è imputabile all’alcool e che troppo tempo in gattabuia lo avrebbe traumatizzato per sempre. Sei mesi di carcere, un buffetto sulle manine e Brock sarà libero! Giusto in tempo per il prossimo semestre! Chi lo sa, magari a Brock capiterà ancora di trovare una ragazza ubriaca, di rovinarle la vita per caso perché “se è incosciente, non può dire no” e quindi vale il silenzio-consenso. Magari, stavolta, non verrà nemmeno scoperto e interrotto da due ficcanaso svedesi e potrà finire l’opera. Che poi, oh, stiamo parlando di un bravo ragazzo, eh. Cioè, voglio dire, se non fossero arrivati i due ragazzi a soccorrere Emily, sono sicura che lui l’avrebbe riaccompagnata a casa lasciandola sulla soglia, scostandole gli aghi di pino con una carezza e baciandola teneramente augurandole la buona notte.

Sarebbe andata così, sicuramente

E Emily, invece? Emily, stacce.

Perché è colpa tua, non prendiamoci in giro! Perché indossavi un provocante cardigan giallo, perché sei andata a una festa, perché ti sei ubriacata.

Le ragazze che non vogliono essere stuprate non escono di casa, né vanno alle feste, né si ubriacano! La tua leggerezza è costata il futuro a un povero ragazzo che voleva solo divertirsi un po’ (e che aveva bevuto. Ma per lui l’alcool è un’attenuante, per te una colpa. Perché sei femmina, stacce).

Del resto, lo stupro è solo sesso a sorpresa, no?

No??

No.

Emily (il cui vero nome non è stato rivelato per difenderne la privacy) ha scritto una letteradiventata virale, rivolta a Brock, alla sua famiglia e a tutte le ragazze del mondo. A tutte quelle che vivono o hanno vissuto l’inferno. E vi assicuro che sono tante. Siamo tante.

Perché loro, quegli schifosi, si faranno sei mesi/un anno/cinque di carcere, ma la nostra è una sentenza definitiva, una condanna a vita che non conosce buona condotta, ora d’aria o sconto di pena.

Perché noi, dal nostro corpo violato, non possiamo uscire.

Perché quando sei una donna, quando sei stata violentata, devi sentirti dire che è stata colpa tua.

Colpa tua, perché sei uscita a quell’ora.

Colpa tua, perché eri da sola.

Colpa tua, perché eri vestita così.

Colpa tua, perché hai bevuto.

Colpa tua, perché hai provocato.

Perché quando sei una donna, quando sei stata violentata e lo denunci perché, cazzo, vuoi giustizia, devi rispondere a domande squallide fatte apposta per confonderti e sviarti.

Ti è piaciuto?

Sei sicura di non averlo voluto?

E, giuro, non mi sto inventando nulla.

Lo stupro è uno dei crimini più crudeli che si possano commettere, ma anche uno dei crimini per i quali si paga meno. E questa cosa, questo schifo, non può e non deve continuare. Perché la colpa non è dell’alcool, delle feste o dei vestitini scollati. La colpa è solo di chi stupra, di chi violenta. Che sappia nuotare o meno.