Intervista The Zen Circus: tra Catene e Panico viviamo Il fuoco in una stanza

Sulla scena musicale da diciotto anni, i The Zen Circus hanno di recente pubblicato il loro nuovo progetto discografico dal titolo “Il fuoco in una stanza”. La band di Andrea Appino è tornata con un album preceduto da “Catene”, il primo singolo estratto, a cui è seguito “Il fuoco in una stanza”, il brano omonimo al disco.

Andrea Appino, Karim Qqru, Massimiliano “Ufo” Schiavelli e Francesco Pellegrini hanno ultimato il giro per gli instore e sono già pronti per il tour che toccherà molte città italiane da nord a sud. Abbiamo avuto modo di intervistarli e grazie ad Ufo abbiamo scoperto di più sull’album e sul tour….

18 anni di carriera, 9 album e un EP all’attivo. Chi sono oggi gli Zen Circus de “Il fuoco in una stanza”?

Bella domanda! Tanti anni fa ci definirono “degli scappati da casa che si sono montati la testa”, oggi direi che siamo degli scappati da casa che si sono montati la testa…battute a parte, gli Zen rimangono basilarmente una band che vuole suonare, vuole lavorare, vuole dire delle cose senza farle cadere dall’alto o inutili orpelli. È vero, sono passati 18 anni, ma a me sembra sia stata un’unica lunghissima tournée.

Molto interessante la copertina dell’album, soprattutto per l’immagine della ragazza nel riflesso circondata dagli affetti familiari. Parlando di famiglia, ho notato che nelle canzoni è molto presente la figura della madre. Come mai questa scelta?

Ti ringrazio. La copertina è frutto di una lunga riflessione insieme alla nostra amica fotografa Ilaria Magliocchetti Lombi, con la quale collaboriamo ormai da un decennio. Volevamo un’immagine straniante, che si potesse leggere in più modi ma che al contempo rimandasse al concetto di fondo dell’album: le relazioni, gli affetti, un focolare che può essere confortevole ma che può anche preludere a un incendio, a un pericolo, a una distruzione. C’è tutto un discorso inoltre sul definire se stessi in base anche ai nostri rapporti con gli altri.

E se tutto, come si dice, comincia dalla famiglia, è naturale che noi ci si ritrovi spesso a interrogarsi sui rapporti familiari, microcosmo politico e sociale. È da molto tempo che lo facciamo, e dopo il climax de “la terza guerra mondiale” era abbastanza conseguente ritornare a una dimensione intima, non intimista, si badi bene.

Le canzoni del disco sono tutte molto interessanti, canzoni che descrivono la generazione dei trentenni di oggi. Ne è un esempio il brano “La Stagione”: come descrivereste questa stagione di trentenni?

Mah, guarda, non abbiamo mai avvertito la necessità di farci portavoce di questa o quella generazione. Cosa che fortunatamente trova il suo riflesso nel pubblico dei nostri concerti, che è veramente trasversale e variegato. Sarà anche perché ognuno trova nelle nostre canzoni quello che ritiene più vicino alla sua condizione in quel momento. Se un trentenne vede qualcosa in noi che lo rappresenta, lo troverai in prima fila ai concerti, accanto ai ragazzi delle superiori. Il pezzo in realtà era un tentativo di specchiarsi nei sentimenti contrastanti e complicati che si provano nella giovinezza, ci ricordiamo bene di quei momenti, e in un certo senso, la stagione del dolore non ha età, per parafrasare Battiato.

Ascoltando il disco si scopre un’anima diversa. In particolare, mi ha colpito l’intensità de “Il mondo come lo vorrei”: a questo proposito, che mondo vorrebbero gli Zen Circus?

Eh! Probabilmente un mondo immaginato da noi sarebbe abbastanza caotico, ma se è per questo anche quello in cui ci ritroviamo a vivere non   brilla per essere un capolavoro di ordine…

Sicuramente ci piacerebbe un mondo con meno preconcetti, superstizioni, e padroni, con più curiosità, più gioco, più desiderio. Il resto più o meno dovrebbe venire da sé.

La canzone “sperimentale” dell’album è “Questa non è una canzone”. Se non è una canzone, allora cosa è?

E infatti non è una canzone, sono tre! In effetti è un brano un po’ fuori dai nostri canoni, ma a pensarci bene anche negli album precedenti avevamo inserito tracce “anomale”, penso per esempio ad “Andrà tutto bene” o ad “Albero di tiglio”, per dirne un paio.

Il fatto è che abbiamo una formazione musicale molto molto eterogenea; io per esempio negli anni ho ascoltato moltissimi album di rock anni ’60 e ’70, e non ci dispiace infilare qua e là rimandi a un’epoca nella quale non si guardava tanto alla durata del brano, o se avesse una struttura poco “pop”, si incideva e basta. Pensa ai Black Sabbath, ai Can, agli Yes…non ci pensavano nemmeno a chiudere un brano nei canonici tre minuti di strofa/ritornello/strofa…Quando Andrea se ne esce con qualche giro particolare o fuori dalle righe, noi ci entusiasmiamo subito, perché ci vediamo la possibilità di sviluppare, divertirci.

“L’ansia rimane / Il disagio lo stesso/ Nelle ciabatte di Gucci / Nello swag del momento” cantate in “Rosso o nero”. Siamo quindi diventati tutti conformisti che seguiamo le mode pur restando irrimediabilmente infelici?

Ahimè, direi proprio di sì, ammesso e non concesso che i modaioli di ogni epoca e latitudine si siano mai effettivamente divertiti in vita loro.

Trovo molto interessante osservare le persone che, senza il minimo imbarazzo, si rifanno armadio e acconciatura al volo, da un giorno all’altro. Mi domando sempre: ma se poi cambia la moda, che farà ‘sta gente? Boh, non ho le idee molto chiare in proposito. Capisco che per molte persone sia di estrema importanza essere “à la page”, ma stai parlando con uno che si veste uguale a come si vestiva al liceo, che tecnicamente mi qualifica come una specie di relitto stilistico.

Siete molto attivi su i social. Cosa pensate di questi strumenti? Siete stati mai vittime dei cosiddetti “haters” che impazzano sul web?

Sui social abbiamo in realtà cominciato a muoverci con una certa disinvoltura da non molto. Ci siamo arrivati con un certo ritardo rispetto ad altre realtà musicali che, si vede bene, sono molto ma molto più scafate di noi nell’utilizzo di questi mezzi.

Riteniamo che offrano possibilità che quando abbiamo iniziato questo mestiere erano, semplicemente, impensabili. Abbiamo pochissima documentazione disponibile sui nostri esordi, proprio perché non avevamo mezzi per conservare o immortalare quello che ci capitava; potevi avere un’agendina, una macchina fotografica usa e getta, nulla più. Non parliamo poi delle possibilità promozionali! Non vogliamo fare i cantori dei bei tempi andati, era un vero ginepraio, e se avessimo avuto delle piattaforme comunicative o dei telefoni decenti ci saremmo risparmiati un sacco di fatica e perdite di occasioni.

Per la questione “haters”, credo che ce ne tocchi un certo quantitativo a testa, è fisiologico, ma con noi sono tutto sommato abbastanza clementi.

La parte maggiore di essi è composta, prevedibilmente, da altri musicisti, che probabilmente ritengono scandaloso che un gruppo dopo diciotto anni di tour estenuanti e dieci album abbia addirittura un pubblico!

Ma, appunto, è la nostra storia a parlare per noi, le ciance social sono un brusìo che bisogna accettare e tenere sullo sfondo.

La musica italiana oggi: se volessimo fare un analisi clinica, secondo voi, come sta e come si pone nei confronti  del panorama internazionale? L’ indie e la trap sono i nuovi orizzonti nello scenario musicale italiano?

La musica in Italia oggi gode di salute eccellente, e chi dice il contrario è in malafede, o fa parte dei musicisti di cui sopra.

Sconta purtroppo, questo sì, una certa distanza dall’ambiente internazionale, distanza che si teme di colmare per comodità, per timore, o chissà cos’altro, è significativo a riguardo che una delle pochissime band che canta in inglese ad essere uscita sulla ribalta in questi tempi, è sostanzialmente una cover band. Ma va detto anche che sono ragazzi e hanno un margine amplissimo per inventarsene di ogni.

Bisognerebbe lavorare di più in un’ottica internazionale, non basta più fare come faceva Mina o Ramazzotti: ti ricanto tutto l’album in spagnolo e festa finita. Prima o poi verranno fuori altre band come i Mellow Mood che stanno facendo sfracelli in giro per il mondo.

Sono molto soddisfatto dei passi da gigante che ha fatto il rap in questi anni, da esordi molto artigianali, di cuore ma sostanzialmente grezzi, siamo passati a un livello parecchio alto. Molti artisti italiani a livello di basi e di show non hanno niente da invidiare ai colleghi anglosassoni.

La trap è una sfinge, è ancora presto per capire se è una fissa collettiva o se è qualcosa destinato a fissarsi in un canone, in uno stile. Di sicuro ragazzi in gamba come Ghali dureranno ben oltre questo momento. Posto per tutti tutti comunque non credo ci sarà.

Sulla musica indipendente si è detto di tutto in questi 20 anni…è morta, è viva, ha la bronchite, è diventata il pop, anzi è il pop che è diventato indie…sospendo la questione e preferisco parlare di MUSICA ITALIANA AUTOPRODOTTA, mi sembra più consono.

Avete finito gli instore e a breve inizierete un tour. Potete anticiparci come sarà e soprattutto quali sorprese riserverete ai vostri fan? Magari, qualche ospite con voi sul palco?

Finalmente torniamo in tour! Per noi è un momento imprescindibile, è una cosa importantissima. Tenteremo di mettere in scaletta quanti più brani possibile, per accontentare gli aficionados degli album precedenti ma anche lasciando il giusto spazio ai brani nuovi.

Sarà uno spettacolo molto, molto “rock”, anche visivamente. Inizieremo con sette appuntamenti speciali in grandi location nelle maggiori città, poi seguirà ovviamente una tranche estiva nelle piazze e nei festival…riguardo agli ospiti, chi può dirlo? Chi frequenta i nostri concerti sa bene che gli ospiti vanno e vengono…

Sandy Sciuto