Intervista a Salvatore Sclafani, emergente e talentuoso regista

Salvatore Sclafani è un giovane e talentuoso “uomo di cinema”, che di film ne ha divorati, realizzati, e continua a farlo. Da attore a regista di cortometraggi, non disdegna anche attività di direzione della fotografia o montaggio, lavorando da un bel po’ a Los Angeles, patria di Hollywood, muovendosi con disinvoltura tra i vari binari della settima arte.

Chi era Salvatore da ragazzino, quali erano le sue passioni, come è nato l’amore/incontro della settima arte?

 

Il cinema è una passione innata in me. Adoro particolarmente la satira, il grottesco come generi, Kubrick, Anderson, Monicelli come registi. Quando ero piccolo ho cominciato con le solite cose che si fanno quando si è bambini, cioè gli spettacolini a scuola, io ero quello che ripeteva le scene dei film davanti ai parenti nelle riunioni di famiglia. Ho sempre avuto un certo istrione, mi son voluto sempre mettere in mostra a livello artistico. Ho sempre vissuto questa passione a trecentosessantagradi, ma una vera e propria formazione professionale per me è cominciata all’età di 14 anni, quando ho iniziato a studiare recitazione a Palermo, iscrivendomi alla scuola del Teatro Crystal di Mario Pupella. Da lì ho cominciato a conoscere professionalmente persone del settore, ho trovato la mia agente, che a quei tempi era Caterina Policardi, ed è lei che mi ha introdotto nel mondo del cinema vero, ho fatto provini e da lì ho cominciato a fare dei ruoli per la televisione.

Dove hai recitato esattamente?

 

Ho fatto una piccola apparizione in “Don Matteo”, poi ho iniziato a collaborare con il regista Pasquale Scimeca, poi ho partecipato al suo film “Biagio”, alla serie “Catturandi” sulla Rai. Intanto però ho sempre continuato a coltivare la mia grandissima passione per la regia, la scrittura, la produzione.

Hai recitato anche a teatro?  

 

A parte da piccolo cose amatoriali da scuola, a livello teatrale ho fatto poi un paio di spettacoli, ma senza essere mai particolarmente coinvolto in questo mondo. Certo è che tutte le scuole di cinema che fai le fai dentro dei teatri, è nel teatro che ti fanno lavorare. Ma ho cominciato da adolescente direttamente con il cinema. Il teatro mi poteva allettare, ma non l’ho mai perseguito particolarmente.

E quando hai cominciato ad interessarti di più al mondo della regia e della scrittura che a quello della recitazione?

A 22 anni circa. Ma io anche quando recitavo scrivevo e pensavo di dirigere cose in futuro. Poi da quell’età mi sono allontanato sempre di più dal mondo della recitazione.

Recitare ti ha aiutato ad avere uno sguardo più autocritico oltre che critico nei tuoi lavori di regia, nella gestione degli attori? 

 

Sicuramente le mie conoscenze nel mondo della recitazione continuano ad alimentare in me un punto di vista, quello del regista, unendo quello dell’attore, perché l’attore è tutto, e se in un film non sa recitare si vede e ci perde molto anche il film stesso. Ho capito recitando quelle che sono le dinamiche che aiutano l’attore a raggiungere il risultato desiderato. Per me è una continua scoperta, per me è importante conoscere i processi della recitazione per supportare al massimo l’interpretazione di un attore. Perché il regista può essere il miglior amico, ma anche il peggior nemico di un attore. Tu puoi dire da regista una cosa all’attore che lo aiuta e gli fa capire cosa sta succedendo in una scena, o puoi dirgli qualcosa che lo fa andare completamente nella direzione opposta. Le parole che dici ad un attore sono fondamentali, perché puoi dirgli una cosa e rovinare l’intero lavoro perché lo stai portando nella direzione sbagliata. Ecco perché recitare mi ha aiutato nella conversazione con gli attori che dirigo. Puoi avere le migliori scenografie in un film, un budget elevatissimo, ma se l’attore non c’è, non funziona, non se ne ricava nulla dal film.

Certo, anche se le componenti di un film devono essere tutte ben in equilibrio, la recitazione resta la cosa fondamentale. Qual è stato il tuo esordio come regista? Non ufficiale, sia chiaro, ma il primo lavoro che hai fatto, cioè quando è partito tutto.

 

A 14 anni ho fatto un lungometraggio di 85 minuti quando ero a scuola. È stato un progetto scolastico, ero in terza media. L’ho scritto e diretto io interamente. In seconda media avevo scritto uno spettacolo comico teatrale, “Il Cenerentolo”, versione maschile della più popolare Cenerentola. Ho impiegato per questo i miei compagni di scuola ed era tutto trasposto al maschile. L’anno dopo la professoressa mi ha dato la possibilità di fare come film il sequel. Ho avuto classi vuote che ho arredato per la mia location. Ho fatto praticamente anche da scenografo, ho fatto 4 ruoli parlati, avevamo due camere con cui si girava contemporaneamente.

Alla faccia dei tuttofare Troisi, Nuti, Moretti: complimenti! Questo film è stato proiettato solo a scuola?

 

Grazie (ride). Non solo. È stato mandato ad un paio di festival, come il “Bizzarri” al nord Italia. Comunque è un lavoro a cui resto legato, ma s’avverte la mia inesperienza.

 

Non c’era l’esperienza, ma non mancava nemmeno la creatività, che ti ha portato diversi anni dopo a fare “Idda” che invece tu consideri il tuo primo vero esordio. Racconta la genesi di questo corto e il tuo incontro con Daniele Ciprì, relativamente anche a questo lavoro.

  

Daniele, regista e direttore della fotografia di molti film della coppia comica Ficarra & Picone, ma anche de “Il primo Re” ha vinto due David di Donatello, è molto esperto. Allora, innanzitutto diciamo prima che fra “Cenerentolo 2” e “Idda” ci sono state varie cose, vari corti, fino a quando nel 2016 con la Piccioli mia compagna abbiamo fondato una casa di produzione chiamata “First Child”. Abbiamo cercato in tutti i modi il modo per trovare fondi per fare i nostri primi film. Intanto io stavo continuando la mia formazione, dalla recitazione alla direzione, poi ho fatto anche il direttore della fotografia, e lo faccio ancora dove vivo ora da tre anni, a Los Angeles. Dopo la laurea al DAMS di Roma mi sono trasferito qui dove faccio di tutto: dalla produzione al montaggio alla fotografia, ma ancora non ho diretto niente qui.

Partecipai a un mini workshop nell’ambito di un festival in Basilicata ed è lì che realizzai il mio grande desiderio di incontrare Daniele. È stata una bellissima esperienza di lavoro con Daniele che ci ha parlato del suo lavoro, facendoci vedere anche estratti di film in cui ha lavorato. Ho cominciato così a familiarizzare con lui. Mi ha detto poi di un altro workshop in cui avrebbe poi partecipato, organizzato invece dal regista Marco Bellocchio, ho partecipato anche a questo che si è tenuto a Bobbio, si chiamava “Fare Cinema”.

L’obiettivo del workshop era realizzare un corto diretto da Bellocchio. Ogni studente partecipante compreso me ha dovuto far vedere agli insegnanti almeno un lavoro fatto in precedenza. A Daniele e Marco ho mostrato un corto che avevo realizzato da poco chiamato “Self control”, un corto fatto prima di “Idda” che mi ha dato comunque parecchie soddisfazioni e parla di bulimia al maschile.

A Daniele è piaciuto tanto. A quel punto gli ho accennato dei miei progetti futuri, chiedendogli di collaborare. Da lì è nata la collaborazione per “Idda”, per esempio, questo corto sull’amore di due ragazze di cui Daniele ha curato la fotografia.

 

Complimenti davvero per tutto, e per “Idda” che ho tanto amato, trattando con delicatezza e coinvolgimento emotivo una storia tanto verosimile quanto amara. Ti sei lasciato ispirare da un fatto realmente accaduto?

“Idda” è nato da un’improvvisazione su “Umiliati e offesi” di Dostoevskij.

In quel libro c’è un triangolo amoroso con una donna e due uomini, mentre nella nostra storia abbiamo riadattato avendo due donne e un uomo, allontanandoci tantissimo dal libro, stavamo improvvisando in un teatro che avevo appositamente affittato per alcuni giorni. Stavamo io e le due attrici, io leggevo il libro in quel periodo, e così improvvisamente è nato questo lavoro che è stato esattamente completato nel 2019.

 

Le cose che nascono per caso sono in effetti le migliori. Tra l’altro, anche se non è passato avanti, ha partecipato di recente all’ultima edizione del “CortoDino Film Festival” di Torre Annunziata (NA), riscuotendo comunque un discreto successo vista proprio la tua partecipazione voluta dagli organizzatori nell’ambito di una delle “puntate” del festival. E non è l’unico festival, un inizio promettente, fresco. Ma vediamo un po’, quali sono ora i tuoi progetti per il futuro?   

 

 

Ho due progetti completati, uno è “Don Gino”, un altro corto che sta girando in molti festival, è stato in selezione a Cortina d’Ampezzo e negli USA. Anche questo ha la fotografia di Ciprì. Poi l’anno scorso ho realizzato il lungometraggio “Il talento”, ma con la chiusura dei cinema è difficile capire ora dove distribuirlo, quindi siamo in attesa per questo. Poi come produttore per “First Child” c’è “Giusto il tempo di una sigaretta” di Valentina Casadei, che sta avendo anche diverse vittorie. Intanto io continuo a scrivere diverse cose e devo vedere se riesco a produrle negli USA.

 

La situazione che viviamo sembra bloccarci “il talento” come si suol dire, per riderci su metaforicamente. Ma il tuo talento troverà la sua strada, e ne ha già fatta. Se dovessi dirigere un attore in un film chi sceglieresti?

 

È una scelta difficile perché l’attore è dettato da quello che realizzo. Preferisco avere prima il personaggio e poi trovare l’attore che lo può rappresentare meglio.

 

 

Ottima riflessione, profonda. Complimenti ancora, grazie ed in bocca al lupo per tutto!

Grazie di tutto, davvero, del tempo concessomi.

 

E grazie ancora da parte mia a Salvatore, disponibile, discreto e onesto, tra belle chiacchierate e pensieri personali sulla realtà cinematografica di oggi, che rivelano uno spiccato senso critico e d’importanza del confronto.

 

Le foto, che lo riguardano, sono state gentilmente concesse dal regista tuttofare.

Christian Liguori