Intervista a Michele Serra, il giornalista è a teatro con “L’Amaca di domani”

Da anni ogni giorno Michele Serra è sulle pagine de La Repubblica con “L’amaca”, rubrica in cui commenta i fatti di cronaca e di attualità con il suo stile tagliente e sarcastico. Ma Michele Serra, classe ’54, non è solo giornalista ma anche autore televisivo e scrittore. Il suo ultimo libro, pubblicato per Feltrinelli Editore, è “Le cose che bruciano” che ha riscosso molto successo per raccontare la storia di un politico che si ritira dalle scene e si reinventa la vita imparando un lavoro.

Non volendo far mancare nulla alla sua carriera lavorativa, il suo ultimo progetto lavorativo ha a che fare con il teatro. Michele Serra ha deciso di cimentarsi in uno spettacolo teatrale dal titolo “L’amaca di domani”, monologo teatrale comico e sentimentale dedicato alla sua celebra rubrica su La Repubblica.

Abbiamo avuto il piacere di intervistarlo, cercando di conoscerlo di più e provando ad andare oltre l’idea del giornalista. Sta a voi dire se ci siamo riusciti…

È in libreria con “Le cose che bruciano”, su La Repubblica da anni ogni giorno con “L’amaca”, scrive spesso per diversi giornali e da poco è a teatro con uno spettacolo. Ha tempo libero Michele Serra? E quali sono i suoi hobbies?

Tempo libero ahimé poco. Ma quel poco tutto dedicato a giardinaggio e lavori agricoli: abito in Appennino. Alterno computer e trattore.

Parliamo di libri. Il protagonista di “Le cose che bruciano” è un politico che si ritira in campagna senza vitalizio ed intento a reinventarsi. Il protagonista in “Gli sdraiati” è l’adolescente di oggi. Generazioni a confronto: cosa non ha capito il politico italiano del giovane di oggi e viceversa? E cosa servirebbe per avvicinarli?

Difficile accostare la letteratura alla politica…Comunque proviamoci. L’ex politico protagonista delle Cose che bruciano non rifiuta i giovani o gli adulti o quant’altro. Rifiuta la società mediatica nel suo complesso, i social, i dibattiti televisivi, le parole a vanvera. Preferisce il silenzio e la solitudine. Diciamo che è una scelta “monastica”, molto letteraria. Non sarei capace di farla, e forse è proprio per questo che ho scritto un libro così radicale…

 

Il suo è un lavoro di parole da ricercare, da maneggiare e che messe l’una accanto all’altra cercano un senso. Se non avesse fatto lo scrittore, chi sarebbe stato oggi Michele Serra?

Con il senno di poi, sarei stato un giardiniere o un contadino. Comunque avrei fatto un lavoro d’ordine, di disciplina manuale e mentale. Mi piacciono i filari delle mie piante officinali quando sono ordinati e puliti, proprio come le righe sulla pagina.

 

A proposito delle parole, da anni è su La Repubblica con la rubrica “L’amaca”. Un articolo tutti i giorni. Mi chiedo: come avviene il processo di scrittura? Accade mai che ha il blocco dello scrittore o non sa di cosa parlare?

Certo che accade. Lo supero grazie al fatto che devo scrivere per contratto: è un lavoro. Questo ridimensiona eventuali vanità o narcisismi, c’è il giorno in cui sono molto felice di quello che ho scritto, il giorno che lo considero come un semplice compito svolto.

 

È anche autore televisivo. Oggi che c’è un’ampia offerta di programmi, quali sono le regole che si dà per un programma? C’è qualcosa che cerca di mantenere della Tv del passato?

Sono stato autore, è stato bello, ho lavorato con Fazio, Celentano, Morandi, Albanese e tanti altri. Ora sono contento di non farlo più. È un lavoro entusiasmante ma spesso impreciso, distratto, non c’è tempo per la concentrazione, per approfondire i temi. È  un lavoro da giovani.

 

Il 2019 l’ha vista debuttare a teatro. Ci racconta com’è nata l’idea e di cosa si tratta?

E’ un monologo sulla fatica di scrivere tutti i giorni. Un monologo sulla scrittura, la sua imperfezione ma anche la sua moralità. L’idea è nata da precedenti letture in pubblico, mi è venuta voglia di calare un po’ meglio nella realtà teatrale le mie parole. Mi ha dato una grossa mano Andrea Renzi, regista dello spettacolo, aiutandomi a stare davanti a un pubblico. Senza diventare un attore – non lo sono – ma capendo che stare su un palcoscenico comporta qualche fatica in più.

 

A chi vorrebbe fare il giornalista, cosa consiglierebbe? E soprattutto ha ancora senso far il giornalista?

Ha senso scrivere. Cercare di mettere ordine dei pensieri e nelle cose che accadono, comunicare la propria fatica agli altri. Questo può essere giornalismo, può essere narrativa, può essere teatro o cinema o altro. Ma è sempre scrittura. È sempre desiderio di fare un poco di ordine nel caos che ci circonda.

Sandy Sciuto