Intervista a Giuseppe Addamo: vi presentiamo VAIA, il suono che fa del bene

Nell’ottobre del 2018 Federico, il fondatore di Vaia, vede gli effetti catastrofici della tempesta abbattersi sulla sua città natale. In quel frangente non solo scopre sulla sua pelle la gravità e la tangibilità dei cambiamenti climatici in atto, ma si rende conto che bisogna agire per svegliare la coscienza collettiva. La domanda è: come? Decide allora di produrre un oggetto iconico: una piccola cassa che amplificasse il messaggio sul tema ambientale. Un prodotto realizzato con una materia prima finora inadoperata: il legno caduto durante la tempesta.

Federico coinvolge così Paolo, conosciuto durante la laurea magistrale a Ferrara, e Giuseppe, incontrato nel festival dell’impresa di Vicenza. Dopo un anno di lavoro, i tre fondano la Vaia srl e ad oggi è tutta una continua scoperta, fatta di amore per l’ambiente che ci circonda e voglia di riscattare il mondo in cui ci ritroviamo.

Com’è nata l’idea di VAIA e quanto tempo e lavoro ci sono voluti prima di arrivare al prototipo finale?

La start-up prende il nome da questo uragano anomalo che si è abbattuto nella notte tra il 30 e il 31 Ottobre 2019 sulle Dolomiti. La sua potenza è stata tale da riuscire a sradicare milioni di alberi in tutto il triveneto. Federico, che è uno dei founder insieme a me di questo progetto, è trentino e quando ha appreso della desolazione lasciata da questa catastrofe naturale, ha pensato subito ad un progetto che potesse aiutare il suo territorio e la sua comunità. Proprio lui da piccolo aveva ricevuto un amplificatore artigianale in legno da parte del nonno e gli era sempre piaciuto il significato intrinseco dell’oggetto: quello di riuscire ad amplificare dei suoni in modo naturale attraverso la natura del legno.

Siamo riusciti così a fondere tutte queste cose creando il nostro prodotto VAIA, recuperando il legno degli alberi sradicati e creandone un oggetto che potesse acquisire delle valenze simboliche, cioè quello di andare ad “amplificare” il discorso sull’ambiente e sulla natura. Prima che l’idea diventasse progetto e prima che quest’ultimo assumesse la veste di start up, è trascorso un anno in cui abbiamo lavorato perché tutto potesse funzionare al meglio. Volevamo che una parte del ricavato della vendita di VAIA fosse trasferito agli anche artigiani dei territori colpiti. Oggi per ogni VAIA cube venduto un nuovo albero viene piantato nelle zone colpite.

Come funziona Vaia Cube?

Il legno che utilizziamo per realizzare i VAIA cube sono due: il larice e l’abete, che poi sono anche le qualità che sono state più duramente colpite dalla tempesta. In particolare, l’ abete con cui noi costruiamo la cassa, viene chiamato “abete di risonanza”, perché ha la caratteristica naturale di amplificare il suono. Con il larice, invece, creiamo il cono direzionale del suono. Si tratta di qualcosa di interamente naturale perché VAIA cube non ha bisogno di energia elettrica per funzionare. Basta inserire il proprio cellulare nella fessura apposita e “come per magia” la musica si propaga.

Uomo, tecnologia e natura: un connubio ancora vincente nel ventunesimo secolo?

Credo che la tecnologia sia uno strumento: questo implica che in sé non abbia né del bene, né del male, ma che dipenda da chi la utilizza e da quale sia la sua volontà dietro al suo uso. I recenti avvenimenti ci stanno dimostrando che dobbiamo necessariamente riconsiderare il nostro modo di produrre e soprattutto il nostro modo di consumare, ridando una giusta priorità all’ambiente e alla natura. A tal riguardo credo che qualsiasi tipo di tecnologia possa essere funzionale a questo tipo di obiettivo e cioè di connubio positivo tra uomo e natura. Noi giovani abbiamo la responsabilità di trovare soluzioni originali e funzionali a questo dilemma e al grandissimo impatto ambientale di cui siamo causa.

Voi che siete una StartUp da trionfo e addirittura indicati da Forbes come giovani promettenti, cosa avreste da consigliare a tutti quei giovani che, come voi, hanno sogni chiusi nel cassetto e pronti per spiccare il volo?

Abbiamo avuto la fortuna e l’onore di essere nominati da Forbes, ma in realtà siamo dei semplicissimi ragazzi che hanno creato una star up in cui hanno creduto fin dal primo istante. Credo che il nostro progetto sia necessario per il mondo in cui viviamo, soprattutto perché cerchiamo di trasmettere il nostro valore primario, cioè quello di trovare un modo differente e naturale di impattare nel mondo che ci ospita. La più grande lotta con cui dobbiamo confrontarci è quella di trovare il nostro spazio nel mondo, avendo il coraggio di inseguire i propri sogni. Non è facile e comporta tanta fatica nonostante il poco tempo, ma dobbiamo trovare le energie per farlo perché il tempo giusto è l’adesso.

Quali sono le tappe per sviluppare una start-up che abbia successo? Avete riscontrato tante difficoltà?

La risposta sincera è: sì. Fondare una start up in Italia non è facile. Esistono tanti bandi, ma poi quando si cerca di lavorare per giungere al progetto finale, la documentazione che viene richiesta è assurda. Sicuramente per fondare una start up ci vuole un’idea originale, ma ancora di più un team che possa fare la differenza. Senza Federico, Paolo e tutti gli altri ragazzi che lavorano con noi, con cui si è creata una sinergia straordinaria e una fiducia unica, VAIA non sarebbe ciò che è oggi. Il nostro progetto non ha mai avuto bisogno di investitori esterni, ma esistono delle realtà che possono aiutare concretamente chi ne ha bisogno.

Credete che l’Italia sia un Paese stimolante e che investe adeguatamente per progetti come il vostro?

Se parliamo di governo, di istituzioni politiche o di pubblica amministrazione, noi non abbiamo avuto un esito favorevole. D’altro canto io non credo ci sia un Paese più stimolante dove fondare una start-up. So che può essere un discorso un pò contraddittorio, ma io sono cresciuto e ho studiato in Italia e per questo ho sempre sperato di poter portare ricchezza in Italia. Percepisco un senso di gratitudine che mi lega a questa terra e che ho sempre voluto ricambiare.

Fondare una start-up in Italia credo sia una vera e propria sfida: significa incontrare delle difficoltà che magari non troveresti in altri Paesi, ma poi riscontri anche una sensibilità per certe tematiche, una voglia di partecipare ai progetti e un “sentire” che è solo nostro. Tutto questo ti appaga di ogni cosa che non è andata liscia come avresti voluto. L’Italia è uno dei Paesi più stimolanti al mondo: mi sento italiano e sono felice di esserlo.

Ormai siete famosi in tutto il mondo per l’invenzione di VAIA, ma adesso a cosa state lavorando di nuovo? Ci sono altri progetti di cui vorreste parlarci?

Sicuramente il VAIA Cube richiede ancora attenzioni, dato che è un mercato che stiamo ancora esplorando e che può essere interessante in altri Paesi. Ci piacerebbe pensare ad altri oggetti, sempre in legno, che in qualche modo rispecchino i valori della nostra start-up: comunità, resilienza e rinascita. La linea di fondo è sempre quella di voler trasformare un evento negativo, come una tempesta, in qualcosa di positivo che generi benefici per tutto l’ecosistema. Quindi sicuramente questo tipo di “business alternativo”, che non va a togliere ma aggiungere nel sistema in cui opera, è l’ambiente in cui vorremmo crescere ancora. Ci piacerebbe intervenire anche in altre realtà, quelle in cui si riscontrano disequilibri ambientali, recuperando ciò che viene additato come spreco e scarto dalla produzione e dargli nuova dignità.

A breve lanceremo anche nuovi oggetti, sempre in legno, che riprenderanno il tema di VAIA Cube, ma di questo ve ne parleremo nella prossima intervista!

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Alessia Cavallaro