In un mondo sempre più dominato dall’indifferenza è l’empatia a fare la differenza, lo dice la scienza

Vi siete mai chiesti perché davanti ad una persona che piange per suoi motivi personali, anche noi ci ritroviamo spesso coinvolti e con gli occhi lucidi? Eppure le motivazioni che hanno comportato il pianto di quella determinata persona non ci toccano nemmeno. Si fa presto a dire che dinanzi ad una situazione del genere l’interlocutore si immedesima con la persona che piange. A volte, addirittura, ci si lascia trasportare come se si fosse i protagonisti di quella condizione. Non si tratta di un problema, che sia chiaro, si tratta semplicemente di empatia verso il prossimo. Il problema ci sarebbe stato, invece, nel caso opposto. Un celebre proverbio recita così: l’invidia è una brutta bestia, la scienza chiarisce che neanche l’indifferenza scherza a riguardo.

L’empatia dal greco”εμπάθεια” (empátheia) è l’arma migliore che abbiamo contro l’indifferenza.

Composta dal prefiso en- che significa “dentro”, e dalla parola pathos ovvero “sofferenza o sentimento”, l’empatia è una vera e propria capacità che permette ad ognuno di noi di “metterci nei panni dell’altro”. In sintesi, si provano gli stessi sentimenti che sta vivendo una persona a noi vicina, la si capisce, la si appoggia, la si aiuta. Si entra, insomma, nel suo stato psicologico come se fosse il nostro.

Persino il padre della psicoanalisi, Sigmund Freud, nella sua opera del 1921, Psicologia delle masse e analisi dell’Io, aveva trattato dell’empatia. Quest’ultima viene descritta come un meccanismo che una volta innescato nel nostro io, è in grado di far assumere determinati atteggiamenti verso un’altra vita psichica. La monografia di Freud in questione si centra, infatti, sul rapporto psicologico che l’io assume nei confronti del gruppo, o massa, in azione.

In realtà, giacché si tratti di un termine coniato nella Grecia antica, l’empatia era un concetto già ben noto ancora prima dell’invenzione della psicoanalisi. La tematica venne approfondita solo in seguito, per esempio, quando a fine Ottocento,  il filosofo tedesco Friedrich Theodor Vischer, per descrivere il fenomeno di immedesimazione emotiva con un oggetto artistico, utilizzò il termine Einfühlung, che è in sostanza l’empatia così come la intendiamo oggi.

In qualsiasi modo la si voglia chiamare, l’empatia è un atteggiamento normale insito nell’uomo.

Si sottolinea a tal proposito un articolo della rivista Thevision che attraverso un excursus di studi scientifici e psicologici legati all’empatia, spiega perché essa sia normale, al contrario dell’indifferenza che è da considerare scientificamente come una patologia.

Partendo dal presupposto che la società di oggi con i suoi meccanismi frenetici e altamente individualistici renda difficile una vita all’insegna dell’empatia, è possibile comunque constatare come essa abbia una base neurobiologica.

Tale affermazione risiede nella scoperta scientifica dei neuroni a specchio, individuati in prima istanza nei primati e poi diffusi alla scienza cognitiva dell’uomo.

Come suggerisce la loro stessa denominazione, i neuroni a specchio sono neuroni che si attivano o quando si compie un’azione o quando essa è compiuta da altri. Sono, dunque, il principio dello stesso processo di crescita del bambino. Il quale, infatti, imita le azioni dei genitori o di altre fonti primarie di socializzazione ed acquisisce conoscenze comportamentali in tal senso.

Imitare, però, non vuol dire immedesimarsi automaticamente, ma ecco che ancora una volta per comprendere il meccanismo la scienza cognitiva viene in supporto.

I neuroni a specchio nell’uomo si trovano in aree motorie e pre-motorie, nonché nella cosiddetta area di Broca e nella zona che comprende il lobo frontale, quello parietale e dell’insula. L’ultimo lobo citato ha un ruolo determinante nelle funzioni che riguardano l’emotività. Risulta, quindi, evidente, che l’empatia che è una capacità altamente collegata con la sfera emozionale dell’individuo sia naturalmente ad esso associata.

L’empatia non è, dunque, una prerogativa di alcune categorie di persone più sensibili rispetto ad altre. Ma c’è chi non la sviluppa, perché?

Le situazioni e i contesti che possono fare sì che una persona rimanga indifferente dinanzi ad una particolare circostanza sono varie, troppe da poter approfondire in questa sede. In ogni caso, l’indifferenza rappresenta uno stato cognitivo che rende l’individuo disinteressato alla sofferenza o felicità altrui. I sentimenti dell’altro, positivi o negativi essi siano, non vengono presi in considerazione. A lungo andare l’indifferenza rischia, quindi, di sfociare in apatia, ovvero la totale assenza di partecipazione emotiva o affettiva.

Nonostante ciò, si può liberamente decidere di rimanere indifferenti a determinate situazioni, magari per evitare di rimanere ulteriormente delusi o feriti. In tale contesto, l’indifferenza è una scelta e non una mancanza di capacità empatica verso chi ci sta accanto.

Tuttavia, è impossibile non sostenere che l’indifferenza, così come l’empatia – per quanto quest’ultima poggi tra l’altro su basi genetiche – non siano che un prodotto sociale e in quanto tale strettamente legati al fenomeno dell’individualismo. In un mondo in cui ciascuno pensa per sé, per i propri vantaggi anche a discapito dell’altro, è davvero difficile affermare che l’uomo sia per natura empatico. Al contempo, l’indifferenza di un uomo che non si cura di un altro in difficoltà per perseguire i propri scopi, non è assenza di empatia. Si può parlare semmai di egoismo allo stato puro, che in alcuni casi estremi rischia di essere associato alla patologia di cui sopra.

Oggi più che mai a dominare la società con tutto ciò che sta succedendo nel mondo, in Afghanistan – l’esempio più recente – non può essere l’indifferenza. Sarebbe ingiusto e immorale nei riguardi di milioni di persone che avremmo potuto benissimo essere noi.

L’empatia è immedesimazione, è reagire in aiuto dell’altro, è parte di noi, del nostro essere – come diceva Aristotele – un “animale sociale”.

In ogni caso, gli studi, empiricamente testati, hanno dato i loro frutti e allora non si può che concludere dicendo che l’empatia può assumere diversi gradi. C’è, quindi, chi la nasconde e chi, al contrario, la sfoggia fin troppo.

A tal proposito, è giusto fare una considerazione perché, per quanto si fatichi a credere, anche l’empatia è un’arma a doppio taglio. Si cita a riguardo l’esperienza dello scrittore Daniele Sica. Sul proprio profilo Facebook nel spiegare la ragione per cui “l’empatia senza limite è autodistruzione” riporta le parole della sua professoressa di psicologia clinica:

Per capire l’empatia devi fare sempre l’esempio del pozzo. Se c’è uno in un pozzo, tu devi capire che sta male e aiutarlo a venirne fuori. Non devi lanciarti da lui.

Giulia Grasso