Il mistero degli incendi di Caronia

Il mistero degli incendi di Caronia inizia il 15 gennaio del 2004 dove roghi, scoppiati senza nessun motivo apparente, attirano ben presto l’attenzione di tutta la stampa nazionale. Oggetti senza alcuna motivazione razionale si incendiano: anche apparecchi elettrici non collegati alla presa di corrente così come divani o addirittura piante in vaso. Il caso Caronia si diffonde a livello nazionale, al punto che si interpellano commissioni scientifiche, ingegneri, ricercatori e persino un operatore della NASA. C’è chi sostiene che gli incendi non abbiano una spiegazione paranormale ma siano causati dagli stessi abitanti. Motivazione assurda ma che la stessa Procura di Mistretta prende in considerazione, archiviando il caso, nella costernazione delle autorità locali e dei cittadini vittime del fenomeno.

A distanza di 10 anni, nello scorso mese di luglio gli incendi riprendono, lasciando nello sconforto gli abitanti del paese, che devono combattere contro un nemico invisibile e sconosciuto.

C’è invece chi inizia a pensare che la zona sia obiettivo di esperimenti militari: la presenza dei “falchi neri” dell’esercito militare statunitense, elicotteri militari, intercettati a sorvolare delle zone, hanno sollecitato interrogazioni parlamentari in regione. Presenze di militari e personale in abiti civili che effettuano rilevazioni e piazzano antenne e appareccchiature radar. Cosa stanno cercando gli americani sul nostro territorio? Se si tratta di esercitazioni perchè installare rilevatori dopo i raid degli elicotteri?

Altri avvenimenti risalenti al 2010 hanno riguardato la galleria Tremonzelli sul tratto autostradale che collega Palermo a Catania: all’interno della galleria gli autoveicoli hanno registrato avarie, black out delle componenti elettronica e meccanica; in alcuni casi hanno addirittura preso fuoco, come nel caso di un pullman di studenti, distrutto dal fuoco fortunatamente senza lasciare vittime.

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Campi elettromagnetici? Esperimenti militari?

Recentemente il Prof. Vincent Smiths, eminente e autorevole studioso di elettromagnetismo dell’Università di Bristol, è convinto di aver trovato la soluzione al misterioso problema riguardante i cortocircuiti:

“Ho scoperto, dopo mesi di osservazione, che le cause erano normalissimi cortocircuiti, ma le mie conclusioni mi facevano escludere errori o disattenzioni dei tecnici nella messa in opera dei contatori o guasti negli elettrodomestici. Ho prelevato molti reperti carbonizzati e, con grande stupore, mi sono imbattuto in una sostanza organica bruciata presente in tutti i manufatti che avevano preso fuoco. Analizzando la sostanza al microscopio ho verificato che si trattasse del residuo organico (bava) di un insetto che, dalle verifiche del DNA è stato identificato come mantide religiosa denominata anche mantide europea, una specie molto comune in Italia. L’insetto in questione ha subito una piccola metamorfosi nelle aree interessate; infatti la sua epidermide è divenuta maculata con parti di rame (come delle croste). Molti esemplari rinvenuti nella zona hanno assunto un colore molto simile al metallo in questione, probabilmente per una forma di mimetizzazione. Con i miei colleghi siamo riusciti a conoscere anche il luogo di provenienza, si tratta di un piccolo giacimento di carbosilicato di rame che si trova a soli 15 km dal comune di Caronia”.

La femmina di questa particolare mantide mutata, visibile in foto, predilige zone ricche di rame per nidificare e in alcuni casi, lei stessa, toccando con le sue zampe i manufatti crea i due contatti e, generando un arco voltaico e inevitabilmente fa sviluppare il cortocircuito.

Una spiegazione di tutt’altro spessore è stata invece avanzata dal prof. Marzio Mangialajo che fin dai primissimi episodi ha approcciato ai fatti studiandoli e cercandone una causa scientifica.

Dopo essersi laureato in Fisica presso l’Università di Torino, si trasferisce a Milano dove viene assunto come Ricercatore al CISE (allora Centro di ricerca nucleare della aziende elettriche private e quindi diventato di proprietà dell’ENEL). A Milano, per conto del Cise, il dott. Mangialajo si occupava della sperimentazione di Fisica del Reattore nell’ambito del Progetto Cirene oltre a prestare assistenza all’Esercitazione di Fisica sia all’Università che al Politecnico.
“Mi sono interessato fin dal 2004 dei problemi di Canneto di Caronia, cercando, come tutti in Italia, di capire cosa stesse succedendo. Il mio approccio è stato energetico, nel senso di voler identificare, con priorità assoluta, una fonte energetica delle scariche elettriche.
La maggiore fonte energetica della zona è sicuramente l’energia cinetica della zolla africana che si muove verso Nord alla velocità di circa un centimetro l’anno. Velocità bassa, ma massa non trascurabile. Va subito detto che la zolla africana comprende, geologicamente parlando, quasi tutta la Sicilia, con l’eccezione di Messina, e i suoi confini nord-orientali salgono verso Nord dall’Etna a Stromboli e da Stromboli piegano verso Ustica.
La zolla africana è soggetta, nel suo confine settentrionale costituito dal fondo marino del basso Tirreno compreso tra Stromboli e la costa siciliana, a fenomeni di subduzione e scorrimento che, provocano fenomeni sismici e vulcanici, che raggiungono spesso livelli di notevole pericolosità.
Comincia pertanto una ricerca bibliografica per vedere se il movimento della zolla avrebbe potuto provocare anche fenomeni elettrici. In un primo tempo pensai ad un effetto piezo-elettrico, ma dovetti scartarlo perché l’espansione degli elettroni prodotti era omnidirezionale e perché i materiali circostanti avrebbero immediatamente riassorbito gli elettroni, impedendo loro di diffondersi a lunga distanza.
Seguitando a cercare mi sono imbattuto in numerosi articoli scientifici dello scienziato americano F.T. Freund che, sulla base di precise sperimentazioni in laboratorio, dimostrava che, senza ombra di dubbio, una lastra di roccia, sottoposta a compressione lungo un asse centrale perpendicolare alle due superfici principali, era soggetta ad alterazioni molecolari che comportavano la liberazione di elettroni che abbandonavano la roccia lungo l’asse di compressione e alla creazione di lacune elettroniche (p-holes) nelle molecole che stavano cedendo gli elettroni in fuga verso l’asse di compressione. Le molecole caratterizzate dalle formazioni di p-holes si rifanno però sulle molecole circostanti catturando un elettrone che sostituisce quello in fuga sull’asse.
Continuando la compressione gli elettroni seguitano a risalire lungo l’asse e le parti esterne della roccia seguitano a fornire elettroni alla parte centrale della roccia stessa. Ci sono quindi, dentro la roccia, una corrente elettrica di elettroni negativi dall’esterno verso l’asse e lungo questo verso esterno e una corrente di p-holes (positivi) verso l’esterno. Il p-holes però non è libero di muoversi come un elettrone, perché fa parte di una molecola e quindi l’espansione dei p-holes si ferma sulla superficie della roccia, ma, se la compressione continua, aumenterà il numero di p-holes presenti sulla superficie ed è questo il problema grave di Canneto.
I p-holes prodotti negli strati di roccia sottomarini si espandono in tutte le direzioni disperdendosi lentamente, ma quelli che raggiungono il fondo del mare non entrano in acqua e si muovono su di esso in tutte le direzioni. Se la costa è vicina la investono e vanno a disperdersi sulla terraferma.
C’è però un problema. I p-holes che incontrano una casa si insediano nei muri e lì rimangono, accumulando cariche elettriche positive fin quando continua la compressione; un altro problema, non ancora completamente chiarito, è costituito dal ruolo che la linea ferroviaria svolge per impedire che i p-holes provenienti dal mare la superino per andare ad espandersi verso monte come di fatto succede a Canneto.
Conclusione. I fenomeni di Canneto sono prodotti dall’accumulo di p-holes (cariche positivamente) nei muri nei pavimenti delle case e gli incendi che si verificano sono prodotti dalla loro presenza. Infatti basta che un corpo metallico sia vicino ad un muro carico di p-holes perché nel suo interno si verifichi una separazione di cariche elettriche. Gli elettroni si spostano verso i p-holes del muro e dall’altra parte del corpo metallico si avrà invece una carenza di elettroni.
Man mano che la superficie del muro si carica con i p-holes la parte metallica prospiciente il muro stesso si carica sempre di più di elettroni che aspettano con ansia di potersi scaricare sui p-holes. Gli incendi di Canneto sono provocati dalla scarica elettrica degli elettroni del metalli sui p-holes del muro e, di solito, se la scarica elettrica è oltre un certo limite d’intensità, provoca l’incendio di materiali infiammabili circostanti.
L’incendio è sostanzialmente un fenomeno elettrostatico, come 10 anni orsono aveva subito intuito Tullio Martella della Protezione civile siciliana. Lui pensava però che i muri fossero carichi di elettroni e questo non poteva avere alcun riscontro, perché gli elettroni arrivano dall’esterno al momento della scarica”.
redazione