Il maniero della Rotta: la storia dietro la storia

Il maniero della Rotta è un antico edificio semi diroccato, con una grande torre angolare merlata ed un massiccio edificio centrale in mattoni rosso cupo di origine medievale situato nel comune di Moncalieri, in provincia di Torino.

Il castello non ha subito modificazioni rilevanti e pertanto ancora oggi si presenta con le sue semplici e funzionali architetture tipiche dei fortilizi difensivi medievali.

Il castello si raggiunge da Moncalieri, da cui dista dieci chilometri, attraverso la strada statale nº 193 di Villastellone: un sentiero polveroso, a destra, porta ad un piazzale in cui sorge l’antico edificio. Il maniero, infatti, è ubicato nel ristretto spazio tra la menzionata arteria nazionale e l’autostrada per Torino, al confine meridionale della circoscrizione comunale di Moncalieri con quella di Carignano, in una pianura delimitata da alcuni fiumi:

L’originaria posizione strategica del maniero si è oggi ridimensionata in uno stretto sito tra due vie di grande traffico, a sud della metropoli piemontese.

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Storia:

Il castello è antico. Fu edificato nel 1452 per volere del Gran Priore Giorgio di Valperga.

Il maniero, quando fu costruito, era posto a difesa del ponte sul torrente Banna, su cui passava la strada romana proveniente da Pollenzo.
Sul suo insolito nome sono state proposte le seguenti spiegazioni:

  • rotta (sconfitta militare) la più plausibile,
  • rotha (roggia, fossa irrigatoria),
  • rotta (rottura di argini, luogo aperto, la via rupta, ovvero la rotta delle navi).

In ogni caso, la costruzione, denominata nel secolo XV Grancia Rupta, si ergeva proprio in una piana aperta e scarsamente abitata.
Ha la forma di un quadrilatero con vasto cortile interno e cisterna centrale, la cappella con volta ogivale, la poderosa torre di vedetta, l’ala conventuale con sala di rappresentanza, il cellario, le stalle, i magazzini e i sotterranei. Il prospetto principale è caratterizzato dall’arcigno torrione, col portale d’accesso sormontato dallo stemma dei 
Valperga, che divide:

  • a sinistra, la parte con il primo piano e finestre rettangolari a sesto acuto su cui si estendono i locali di servizio;
  • a destra, la fabbrica meno estesa con la cappella e altre stanze.

La lapide, murata sul portale d’accesso, raffigura lo scudo dei Valperga con un arbusto sovrastato da un becco (il maschio della capra). Vi fu collocata, nel 1455, dal Gran Priore dei Gerosolimitani Giorgio di Valperga di Masino, con la seguente iscrizione latina:

«Hec est Baptiste sub nomine facta Johannis Mansio quam fieri desertis fecit i agris longobardor, prio ille Georgius ortus ex clara comitum Valpergie stirpe beati Montiscalerii preceptor en ede Johannis cuius in augumentum castrum istud adidit mille quadringenta et quinquaginta duobus religio gaude proque ipso numine adota.»

La storia racconta che il castello fu anche possedimento Templare, infatti fu donato, insieme alle altre proprietà dell’ospedale Santo Spirito, nel 1196 dal vescovo Arduino di Torino all’allora Maestro della milizia del tempio, divenendo di fatto proprietà dei Cavalieri di Malta. Qui i Templari eressero una loro fortificazione. Tracce di questo trascorso storico si trovano nei disegni e nelle scritte. In un grande salone ci sono riferimenti satanici, di riti occulti e disegni che si riferiscono al periodo delle crociate.

croce

I cavalieri del Tempio furono accusati di eresia e negromanzia dalla Chiesa e mandati al rogo, a centinaia, ai primi del Trecento.

Secondo varie leggende, le loro maledizioni in punto di morte colsero nel segno.

I loro Castelli sono spesso immaginati come scenari di incontri segreti e riunioni esoteriche.

Altre fonti, al contrario, ritengono sia stato edificato dopo la soppressione del suddetto ordine. La Rotta, comunque, fu fortificata soprattutto per la difesa dai briganti, poiché nella metà del 1400 erano finiti i conflitti tra comuni o feudi, dato che la pianura piemontese era sotto la giurisdizine del duca di Savoia.

Il castello mutò spesso proprietario: dai romani, ai longobardi, ai templari (lo tennero per oltre trecento anni), e nel Cinquecento ai Savoia. Fu testimone di due battaglie:

  • Tommaso Francesco di Savoia, principe di Carignano (da cui discenderanno i re d’Italia), vi subì, nel 1639, una disfatta con l’esercito francese (da qui il probabile nome del castello);
  • nel 1706, mentre il suddetto assediava Torino, fu adibito a deposito di polvere da sparo per rifornire clandestinamente gli abitanti della città.

Vi morì, pazzo, il 30 ottobre 1732, l’abdicatario re di SardegnaVittorio Amedeo II, qui rinchiuso dal figlio Carlo Emanuele III.
Alla fine del Settecento, pertanto, la storia della costruzione come fortificazione era finita e prevalse la destinazione abitativa gentilizia.

Nelle prime decadi del Novecento il castello della Rotta si trovava in stato di abbandono e ciò, unitamente alla solitaria ubicazione e alla circostanza di essere stato a lungo un possesso templare, favorì il sorgere di argomentazioni circa sedicenti presenze soprannaturali che lo infesterebbero.

La costruzione avrebbe una posizione astrologica idonea all’apporto di energie naturali, perché orientata in rapporto alla posizione del sole, della luna e dei pianeti, trovandosi all’incrocio di particolari linee di forze magnetiche terrestri.

Fino al 1980 nessuno di coloro che ne ha parlato ha mai fatto riferimento a storie di fantasmi. E non si tratta solo di storici di professione, ma anche di appassionati di misteri. Alberto Fenoglio, in un testo del 1978, cita il castello come luogo templare, disquisisce a lungo sulla storia dell’ordine, senza riferire di avvistamenti di fantasmi nel castello. Successivamente egli, in un libro del 1986, descrive uno ad uno i fantasmi che appaiono nel castello. Un periodico di settore, la rivista Clypeus, in un articolo del 1976 parla del castello della Rotta per denunciare l’incuria, che ne stava causando il degrado, e l’utilizzo della struttura per inscenare messe nere ad opera di “gente che, per compiere le proprie orgette, ha scelto quel luogo di facile accesso”.

I primi testi che associano il castello alle apparizioni sono due articolidell’agosto 1980, nei quali l’attuale proprietario, che aveva da poco acquistato il maniero e lo aveva in parte fatto ristrutturare, riferisce i suoi incontri con questi fantasmi. Sono citati il cavaliere, la giovane suicida e la processione. Il proprietario è l’unica fonte dei racconti.
Articoli di anni successivi
descrivono le serate organizzate dal proprietario allo scopo di mostrare le apparizioni della casa. Un gruppo selezionato di appassionati di misteri organizza sedute spiritiche e assiste alle apparizioni. Ad una di esse è invitato un giornalista, insieme ad alcuni testimoni scelti da lui. Alcuni di loro riferiscono una breve apparizione di una luce nel buio del cortile, durante una copiosa nevicata, l’unico fenomeno della serata.

Con la diffusione delle notizie al grande pubblico, il castello comincia a essere assediato dai curiosi. La notte dopo la pubblicazione degli articoli su La Stampa e un contemporaneo servizio a Canale 5, il castello è oggetto di un vero assedio del popolo del mistero, con tanto di violazioni di domicilio, intervento della polizia e relative denunce. Gli articoli più recenti riferiscono solamente dei disagi dei proprietari e del loro astio verso i visitatori indesiderati.

Presenze:

A detta degli “esperti”, comunque, il castello avrebbe la fama di essere il più infestato d’Italia (a dire di qualcuno, anche dell’intera Europa),per levisioni e apparizioni descritte da giornali e libri, foto di presunti disincarnati ed entità di un’altra dimensione che richiamano leggende. Questi racconti giustificano le “presenze dell’Aldilà”:

  • un cavaliere armato sul suo destriero (spesso decapitato con tanto di testa fra le mani);
  • la sua amata marchesina;
  • un bambino travolto dai cavalli;
  • un’anziana nutrice;
  • un sacerdote criminale intento a leggere un libro e a pregare;
  • una nobile suicida;
  • una dama vestita di nero;
  • un corteo rituale di ecclesiastici.

Leggende:

Augusto Olivero, professionista a Torino, proprietario del castello dice: «Nei primi tempi avevo un certo timore, poi ci siamo abituati tutti agli scricchiolii, ai rumori sinistri che si accompagnano alle grida delle civette e all’ululare dei gufi. La corsa sfrenata di un cavallo per i saloni fà un fracasso agghiacciante, e gli zoccoli del cavallo rimbombano per le volte antiche. Suggestione, ipnosi? Non so, tutto può essere, ma l’ombra di quello scheletro a cavallo con la spada in mano e la grande croce al petto era inconfutabile…»

  • Un cavaliere armato sul suo destriero e la sua amata marchesina:

La leggenda del «frate della Rotta» viene raccontata da almeno quattro secoli. Narra le vicende di un bel giovane che si era follemente innamorato di una marchesina bella come un raggio di luna nella foresta. Quando fu annunciato il fidanzamento ci fu grande festa al castello e gli invitati giunsero da tutta la contea.
Mentre si intrecciavano danze e balli il maniero fu assalito dai saraceni. La principessa si rifugiò sulla cima della torre, e per sfuggire ai barbari si lanciò nel vuoto. Il signorotto combatté tutta la notte e al mattino, quando riuscì a sconfiggere gli invasori, scoprì accanto al ponte levatoio il corpo senza vita della sua promessa sposa. Sconvolto dal dolore si fece frate e andò a combattere gli infedeli in Terrasanta.
Le cronache del tardo Medioevo non riportano altre notizie sul giovane, ma leggende locali affermano che dopo aver combattuto i Mori il prete tornò in queste terre per morire.

cavaliere templare

Questa leggenda è conosciuta anche in un’altra versione:

Al Castello della Rotta giunse una marchesina proveniente dalla Francia: era una fanciulla giovane e delicata. E arrivò a Moncalieri per diventare la sposa del padrone del maniero: un uomo vecchio e zoppo, che aveva però bisogno di un erede a cui lasciare il castello.
La marchesina era consapevole del destino che la attendeva. Ma nonostante tutto si innamorò di un nobile e aitante cavaliere: la croce rossa dipinta sul mantello bianco le parlava di terre lontane e pericolose, di avventure e pericoli, di un uomo forte e coraggioso che li aveva affronti a testa alta.
Il cavaliere aveva giurato fedeltà al padrone del maniero. Ma fu più 
forte di lui: ricambiò l’amore della marchesina. I loro incontri erano fugaci e passionali. Tanto che non gli importava di essere in pericolo.
Il signore del maniero sapeva: li aveva visti. E giurò vendetta. All’inizio fece finta di niente. Poi, con una scusa qualunque, attirò l’ignara marchesina nella torre. Chiuse la porta, in modo che nessuno li disturbasse. L’attirò alla finestra. E mentre lei stava ammirando il panorama, pensando al suo amato, con uno spintone improvviso la scaraventò giù dalla torre.
Ancora ebbro della sua 
follia e del dolce sapore della vendetta, fece seppellire il corpo. Mandò egli stesso un messo dal cavaliere, avvertendolo che la marchesina era stata vittima di un incidente, un crudele scherzo architettato dal destino.
L’animo del cavaliere fu straziato dal dolore. Versò in una sola notte tutte le lacrime che un uomo poteva piangere in un’intera vita. Si fece frate e il giorno successivo partì alla volta della Terrasanta, a combattere contro i Mori.
Ma giurò a sé stesso che sarebbe tornato. Le sue spoglie avrebbero riposato nella stessa terra dove era stata sepolta la marchesina. E avrebbe 
vegliato per sempre sulla sua anima.
Il cavaliere viene seppellito con tutto ciò che ha, una croce, una spada e il suo fedele destriero.
Di questa triste fanciulla non resta che un pallido fantasma, uno spettro 
solitario che si aggira per i dintorni del castello o viene visto affacciato a una delle finestre del maniero.

donne-alla-finestra

  • Un bambino e l’anziana nutrice:

La povera nutrice del Castello della Rotta stava ormai per perdere la pazienza: era tutta la giornata che correva dietro a quella piccola peste del figlio dei padroni. Il bambino era irrequieto, indemoniato: correva a destra e a manca, nascondendosi nei luoghi più impensabili dell’antico maniero. E lei, dall’alto dei suoi quarant’anni suonati, cominciava a non sentire più le forze per star dietro alle intemperanze del bambino.

Si sedette solo per un attimo nel cortile del castello, troppo esausta: aveva bisogno di riprendere fiato. Ma il suo cuore era comunque in apprensione: erano ormai diverse ore che non vedeva più la piccola peste. E aveva addosso una strana sensazione, come un tetro presentimento, che non la lasciava in pace, come una mosca ronzante e fastidiosa.

Fu lo stesso bambino a comparire da solo, dall’altra parte del cortile, con un sorriso allegro e strafottente stampato sulla faccia. La nutrice si lasciò sfuggire un colorito rimprovero e si rimise in piedi, pronta a dargli nuovamente la caccia.

E poi furono solo due cose: un’immagine improvvisa rumore assordante.
L’immagine era quella di una carrozza trascinata per il cortile da cavalli imbizzarriti. Il rumore era quello della carrozza stessa che si schiantava contro il muro dove pochi secondi prima il bambino la stava salutando, sorridente.
La povera nutrice 
cadde in ginocchio. Vi fu un silenzio irreale. Seguito da grida allarmate, sconvolte. Da un confuso vociare. Da persone che si accalcavano per il cortile, facendo una gran confusione. E lei era in mezzo a quel caos di uomini e donne, inginocchiata a terra, e negli occhi ancora quel sorriso spensierato e strafottente che può dipingersi solo sul volto di un bambino di otto anni.
L’
anima della donna morì in quel preciso momento. Ma il senso di rimorso rimase impresso nella carne del suo corpo. La nutrice non fu vista da nessuno, in quel marasma di persone. Andò nelle cucine. Prese il coltello più grande e affilato che le capitò di trovare. E se lo piantò nel cuore.
Con ancora gli occhi e il 
sorriso di quel bambino. Un senso di rimorso che non si è ancora placato: l’anima della nutrice suicida continua a vagare per il Castello della Rotta, alla ricerca del bambino, lasciando dietro di sé un delicato profumo di rose e di gigli.

nutrice

  • Un sacerdote criminale:

Quando un sacerdotesentì i passi che si avvicinavano alla sua cella, capì subito cosa stava per accadere. Le mura del Castello della Rotta, già fredde, divennero gelide come la morte. Come la morte che lo stava aspettando.

Entrarono due uomini, con uno sguardo torvo e feroce. Uno di loro srotolò una pergamena e cominciò a leggere. La testa del frate ronzava come un vespaio inferocito, e le sue orecchie non poterono che cogliere solo alcune delle parole pronunciate dal carceriere: “anno del Signore”, “sevizie”, “omicidio”, “abuso carnale”.
Tutte accuse che pesavano su di lui come dei macigni. Per un attimo nel suo cervello si fece un piccolo vuoto, una frazione di secondo in cui riecheggiarono le 
grida disperate di una giovane fanciulla, insieme alle preghiere e alle invocazioni di pietà proferite da un povero vecchio. Ma fu solo questione di attimo: il brusio riprese, incessante e assordante.
Gli uomini lo sollevarono a forza dal pagliericcio lercio su cui era sdraiato. Lo condussero di peso attraverso corrodi di pietra tutti uguali che scendevano nelle viscere del Castello della Rotta, meandri illuminati fiocamente da torce stanche. Finché non si arrestarono di fronte a una nicchia aperta nel muro. Abbastanza grande da ospitare un essere umano.
Pronunciarono nuovamente la sentenza. Una condanna così terribile da togliergli anche la forza di urlare. Gli legarono mani e piedi e lo imbavagliarono. Lo deposero in quella che sarebbe diventa la sua bara, legandolo a un anello infisso nel muro. Due manovali presero malta e mattoni. E cominciarono a 
murare la nicchia con il frate dentro. Un mattone dopo l’altro, il frate vedeva la sua vita che si allontanava. I suoi occhi grondavano lacrime e sangue. Un mattone dopo l’altro, la luce e l’aria erano sempre di meno. Finché fu solo il buio più totale. Ed è proprio di tale frate l’ombra che legge un libro e prega nel cortile o nelle stanze del castello.

monaco che prega

  • Una nobile suicida:

Non si sa bene di quale donna del passato sia il fantasma che si aggira il cui spettro si vedrebbe affacciarsi all’attuale balcone del terzo piano.

Secondo diverse storie la nobile, che più volte durante le sue apparizioni ha interagito con i visitatori del maniero ponendogli domande, sarebbe una giovane sposa suicidatasi lanciandosi dalla torre. Una scelta forzata dalle continue violenze ed angherie del marito.

dama suicida

  • Una dama vestita di nero:

Durante l’inverno, chi viaggia in macchina sulla strada che passa accanto al Castello può vedere una misteriosa dama passeggiare nella campagna per poi svanire nel nulla.

anima

  • Un corteo rituale:

L’evento principale, che ogni volta attira centinaia di curiosi, è un corteo formato da queste figure e spettri che dalle zone limitrofe si dirigono verso il maniero ogni anno nella notte tra il 12 e il 13 giugno.
Sono spettri di incappucciati in processione, vaganti nelle notti di giugno, con fiaccole intorno al Castello, come monaci in funzione sepolcrale.

corteo

Testimonianze:

  • Sua madre gli aveva detto più volte di tenersi lontano dal Castello della Rotta. E per convincerlo gli aveva raccontato tante storie spaventose: c’erano i fantasmi in quel vecchio maniero, rapivano i bambini e non li facevano più tornare a casa. Ma ciò non fece altro che infiammare ancora di più la fantasia di un bambino di otto anni.
    Sgattaiolò fuori casa una sera in cui i suoi genitori erano a cena al piano di sotto con alcuni amici. Si infilò un maglione pesante per non prendere freddo e uscì con il cielo che ormai si stava tingendo di nero. Poteva anche intravedere le prime stelle. Si incamminò per quelle stradine di campagna che conosceva bene, deserte a quell’ora. Arrivò al Castello della Rotta. Non era come gli aveva detto sua madre: quel rudere non faceva per niente paura. Era solo grande e nero. Ma niente di più. Si avvicinò sempre di più al castello, osservando curioso e quasi rapito dalle mura screpolate e i mattoni divelti, insieme all’inferiata che chiudeva il cancello e impediva l’accesso al maniero.
    La sua fantasia stava già volando, immaginando battaglie grandiose combattute ai piedi delle mura tra i feroci assedianti e i coraggiosi cavalieri che difendevano il castello. Quando si sentì sfiorare una spalla. Fu un momento. Si voltò. Di fronte a lui c’era un ragazzino, più o meno della sua stessa età. Un ragazzino come tanti. Ma la sua pelle era pallida, diafana. E nel suo sguardo c’era come una straziante nota di tristezza. Anche la sua voce era triste. Disse che gli dispiaceva di essere scappato. Gli dispiaceva che la sua nutrice lo avesse cercato per tutto il castello, che magari lo stesse ancora cercando. Ma ora lui era lì: quei cavalli che lo avevano travolto non gli avevano fatto niente. Ora voleva solo ritornare da sua madre. E guardare nuovamente la pianura circostante dalla torre del castello, come faceva sempre. Il bambino sentì le lacrime che gli salivano agli occhi, senza sapere bene il perché. Fece per parlare, per dirgli qualcosa. Ma il ragazzino sparì, d’un tratto. Lasciandogli addosso solo una grande tristezza.
    In talune notti, specialmente d’inverno, sono molti gli abitanti di Moncalieri che affermano di aver visto il fantasma di questo bambino. E tutti lo descrivono con gli stessi, identici tratti somatici.

mano buio

  • Secondo un uomo, che non aveva mai creduto ai fantasmi, tutte quelle storie servivano solo a spaventare i bambini e gli sprovveduti. La strada che passava nei pressi del castello era la più veloce per tornare a casa e tanto gli bastava.
    Tra l’altro, avrebbe anche fatto meglio a sbrigarsi: il sole stava ormai calando. E da quelle parti, in aperta campagna, di notte si potevano fare incontri molto più brutti e concreti di qualche pomposo “fantasma”. Si mise a pedalare con maggiore lena, cercando di controllare la sua sgangherata bicicletta sulla strada sterrata.
    Era assorto nei suoi pensieri quando lo colpì un rumore: un suono sordo, soffocato. Un suono che lui conosceva bene: uno zoccolo di cavallo che scalpicciava. Alzò istintivamente lo sguardo a sinistra, nella direzione da cui gli sembrava che fosse provenuto il rumore. Vide la mole imponente e tenebrosa del Castello della Rotta, con la sua torre e i suoi muri erosi del tempo.
    Ma vide anche qualcos’altro. 
    Una croce di ferro. Una pesate croce di ferro che pendeva dal collo di un cavaliere: tunica bianca con una croce rossa in mezzo. In sella a un imponente stallone grigio. Entrambi erano lì, sotto la volta del portone d’accesso al castello. E lo stavano fissando.
    Egli non credeva ai fantasmi. Ma il buon senso gli suggerì di 
    scappare. E così fece: la sua bicicletta volava sulla stradina sterrata, noncurante di buche e zolle. Giunse a casa stravolto, bianco come un cencio. Ma si vide bene dal parlare con la moglie e la figlia di quello che aveva visto. Accampò una scusa e si mise a tavola con la sua famiglia.
    Non disse una parola durante tutta la serata. E gli bastarono quelle delle due donne: riportavano dicerie di 
    altre persone del paese che avevano visto “qualcosa” al Castello della Rotta. Egli si impose di non pesarci più.
    Ma qualche tempo dopo, quando venne a sapere che nei pressi del castello erano stati ritrovati 
    i resti di un cavaliere Templare con una croce di ferro al collo insieme al teschio di un imponente cavallo, per diversi mesi non riuscì più a dormire.

Cavaliere templare

  • Gli abitanti della vicina fattoria, che fanno anche da custodi, raccontano che a mezzanotte in punto talvolta vengono svegliati dal rumore del galoppo di un cavallo. Qualcuno ha avuto il coraggio di entrare a quell’ora nell’interno del maniero e racconta di aver visto lo scheletro di un uomo, con una grossa croce di ferro sul petto, armato di una lunga spada cavalcare un destriero per le sale deserte del castello.
    Per la favola del castello della Rotta il colpo di scena si è avuto qualche tempo fa, quando una pala meccanica, scavando ai piedi della torre ha portato alla luce lo scheletro di un uomo accanto a quello di un cavallo. Inutile aggiungere che l’uomo aveva sul petto una grossa croce di ferro e al fianco una spada con gli stessi particolari descritti dalla leggenda.
    Uno spettro che numerose testimonianze riportano anche senza testa e che si diverte a correre a tutta velocità dentro e fuori il castello.

scheletro

Inoltre:

Al Palazzo Reale di Moncalieri sembra aggirarsi il fantasma della “Bella Rosin”.
Un’antica leggenda narra che si aggira ogni notte turbando il sonno degli allievi Carabinieri del Battaglione Piemonte camminando lungo il perimetro del muraglione di cinta del Castello Reale; pare che anche sua figlia fosse stata uccisa, mentre il Re riuscì a fuggire da una delle varie gallerie sotterranee che, narra sempre la leggenda, collegavano il castello alla Cittadella di Pietro Micca.
Anche in questo caso si narra del fantasma del Re che appare nelle gallerie sotterranee sulla carrozza trainata da dieci cavalli.

Comunque, se abitate vicino a Moncalieri e siete alla ricerca di emozioni forti, armatevi di coraggio e andate a vedere questa notte con i vostri occhi…dato che apparizioni, rumori di passi, voci e grida di spettri sono all’ordine del giorno, chissà che vi capiti di vedere qualche strano “personaggio”…

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redazione